di René Manusardi
già Direttore del Laboratorio ANS di Sociologia
& Scienze della Meditazione di Castellanza (VA)
Articolo apparso sulla Rivista di Sociologia La
Società in Rete, Anno 2006, N° 3 , pagg. 46-49, parzialmente inserito nel
vol. R. Manusardi, L’Arte Zen della Direzione Aziendale. La pratica del mind
management per l’eccellenza delle risorse umane, Maggioli 2009, pagg.
176-180
Le ragioni di
Wilfredo Pareto.
Quando
negli anni ’70 il socialismo reale dei paesi della cortina di ferro dell’est
europeo da una parte e le dittature nazional-popolari di ispirazione fascista
greca, portoghese e spagnola dall’altra, alimentavano nei circoli politici
giovanili ed extraparlamentari italiani il mondo della “alternativa” e dell’antagonismo radicale al capitalismo nordamericano,
nessuno nel mondo universitario nazionale credeva più all’affermazione
paretiana secondo cui “sono le elite che
fanno la storia”. L’opinione pubblica italiana era allora intrisa dai due
assiomi del pensiero unico
post-togliattiano, secondo cui “i
fascisti sono il braccio armato del capitalismo” e “le Brigate rosse sono un incidente di percorso”, citando a tal
proposito Lenin il quale aveva sempre sostenuto nei suoi scritti che l’estremismo era la malattia infantile del
comunismo. Erano queste due affermazioni categoriche, attraverso le quali
il PCI era certo di dominare la giovanile piazza politica scaturita dalle rivoluzioni culturali del ’68 francese e
del ’77 italiano, attraverso l’agitazione della bandiera di una presunta
leadership della Resistenza al
nazismo e al fascismo nell’ultimo conflitto mondiale, a cui invece avevano
consistemente partecipato con uomini, dirigenti e tributo di sangue anche le
ali democristiana, repubblicana e socialista dell’allora arco costituzionale.
Tale egemonia culturale venne demolita a sinistra nel 1977, dai sassi extraparlamentari degli studenti
bolognesi dell’Autonomia operaia e degli Indiani metropolitani, scagliati
contro l’allora Segretario generale della CGIL Luciano Lama. Questa utopia
egemonica, si infranse poi definitivamente qualche anno dopo sui cancelli di
Mirafiori, dove il sogno berlingueriano
di “compromesso storico”, già denervato dall’assassinio da parte delle BR
dell’onorevole Aldo Moro, venne travolto dalla manifestazione dei colletti bianchi, quel settore
impiegatizio prevalentemente di sinistra ma che diceva il suo “no!” ad una
lotta di classe ormai antistorica e finalizzata solo verso il recupero della opinione pubblica operaia dalla “tentazione
brigatista”. La classe operaia, invece, era ormai andata in paradiso, il quarto
stato si era finalmente volatilizzato. Al contrario, il benessere del boom economico
degli anni ‘60 aveva prodotto un ceto
medio stratificato, di largo spessore e ormai consolidato, la cui
estensione partiva dalle maestranze operaie industriali e artigiane per
concludersi a quella dei dirigenti di piccolo calibro delle grandi fabbriche
del nord Italia, saldato come in un sol corpo alla grande schiera di artigiani,
piccoli commercianti, agenti di commercio e liberi professionisti, i quali
rappresentavano la novità assoluta nella forza di economia produttiva
dell’Italia repubblicana.
Il Comitato centrale del PCI, i vertici
comunisti delle BR e quelli neo-fascisti di autodifesa organizzata dei NAR, la
loggia P2 e Gladio, il KGB e la CIA, l’interesse delle multinazionali straniere
e quello dei gruppi dell’alta finanza italiana: queste minoranze organizzate
sono state la parte trainante e sommersa della movimentata storia dell’Italia
di quegli anni. A mente serena e a giudizio storico postumo, tutte queste
società elitarie hanno infine dato ragione e valore alle tesi del grande
sociologo Wilfredo Pareto, perchè hanno dimostrato vera la sua affermazione
secondo la quale solo le elite, solo le minoranze politiche ed economiche
guidano, determinano e condizionano il corso della storia, anche se il
suffragio democratico elettorale in molti casi ne limiterà gli eccessi o, come
nel fenomeno del terrorismo, ne favorirà una lotta politica ed istituzionale
unitaria scaturita nell’alleanza parlamentare e civile detta di emergenza nazionale.
Sociologia: da
analisi disincarnata (theoria) a creatrice di elite rivoluzionarie (praxis).
Nessuno
si sarebbe immaginato che nel passaggio dalla teoria alla prassi, la sociologia
universitaria degli anni ’70 sarebbe diventata un incubatore della lotta armata
e del terrorismo ideologico di gruppi comunisti come le BR, Prima linea o la
RAF tedesca. Nonostante il finanziamento da parte dei servizi segreti sovietici
e cecoslovacchi e il retroterra culturale, almeno italiano, di figli dei delusi della Resistenza,
queste elite rivoluzionarie nacquero, si alimentarono e progredirono
nell’ambiente di alcune università italiane, tra cui quello della facoltà di Sociologia
dell’Università di Trento, sotto l’egida teoretica del pensiero forte
marx-engeliano e leninista di Renato Curcio e Margherita Cagol, rivisitato e
aggiornato per quei tempi anche dalla chiave riflessiva e strategica dei guru
socio-filosofi marxisti della Scuola di Francoforte.
Oggi
la sociologia non vive più dei miti marxiani degli anni ’70, tranne che nei
meandri di alcune cattedre di facoltà italiane rette da inossidabili e
nostalgici professori sessantottini adorniani e marcusiani o da settantasettini
foucaltiani e seguaci del suo migliore allievo, il cattivo maestro Toni Negri, la cui analisi dell’estabilishment
mondialista attuale e delle sue rilevanze sociologiche, l’Empire come lui lo chiama, è comunque di una acutezza straordinaria
nonostante le prassi barricadiere di resistenza no-global a cui poi si lascia
andare, che per alcuni versi ricordano le tesi evoliane del cavalcare la tigre, e per altri un
ritorno allo spontaneismo pre-marxista della Comune parigina del secolo XIX.
Sulla
lunga distanza e nonostante il tempo trascorso, la tesi generale dell’analisi
paretiana sulle elite, ora non più tacciata di pensiero sovrastrutturale liberale
e borghese, unita alle lucide analisi di Toni Negri, sembrerebbero in realtà le
uniche teorie filosofico-politiche e socio-economiche intelleggibili, capaci di
resistere agli urti della globalizzazione e in grado di darne una spiegazione
chiara anche se incompleta, proprio a causa di una loro intrinseca ed elevata
oggettività di analisi della odierna mutazione
sociale, senza peraltro correre il rischio di cadere in una dietrologia dai
connotati fantastici e surreali.
La svolta
antropologica della Sociologia italiana negli scenari attuali e futuri.
É di questi ultimi anni l’interesse e lo
sviluppo della Sociologia italiana verso l’uomo inteso come micro-società, come
società interiore, ad intra. Un
interesse, questo, di ordine teoretico e pratico nello stesso tempo. O meglio,
un interesse teorico stimolato da necessità pratiche legate alla ricerca di una
nuova professionalità di ordine sociologico, di tipo socio-terapico o, per
essere più precisi, socio-salutistico.
Dopo il crollo dell’utopia freudiana nei
primi anni ’90 e l’affermarsi della visione olistica che ha rimesso in
discussione la binarietà antropologica corpo-mente
a favore di una tridimensionalità corpo-mente-coscienza
spirituale, il passo successivo, quello cioè di considerare l’uomo come
prima manifestazione microsociale, è stato breve. In questi ultimi venti anni
la globalità del sapere psicologico nazionale non ha saputo smarcarsi dalla
ormai antica visione propria di Freud, cioè quella di psicologia intesa come intervento terapeutico sulle patologie.
Nel frattempo la società italiana, come tutto il resto del mondo occidentale, è
passata rapidamente da società
industrializzata a società
post-industriale informatica e multimediale. Le modificazioni a livello
sociale e socio-economico di tale passaggio
sono ancora in atto, tuttavia l’atomizzazione del corpo sociale è andata via
via aumentando fino a creare una nuova condizione di tensione sociale, radicata questa volta non tanto all’interno delle
strutture sociali ma ramificata profondamente all’interno della individualità
umana: tale tensione è conosciuta come Sindrome
da Stress o, più semplicemente, Stress.
Lo Stress
è oggi così universale ed universalmente conosciuto nel mondo occidentale ed
occidentalizzato, tanto da essere stato definito ormai da molto tempo come il male oscuro del XXI secolo,
nell’ambito polisettoriale dell’accademismo scientifico internazionale. Lo stress come tensione pervadente e onnicomprensiva, capace di permeare e
inficiare la vita individuale, i rapporti interpersonali e di lavoro, la
convivenza sociale e la stessa civiltà, a causa di questa sua universalità avrebbe
però rapidamente perso i suoi connotati patologici, divenendo infine un fattore
di partnership obbligatoria e quasi connaturale alla vita delle città e dei
grandi circuiti metropolitani. Lo stress oggi è considerato così “normale”, al
punto che l’opinione pubblica e il sentire della gente comune di questo ultimo
decennio sono riusciti, attraverso un rifiuto istintivo e motivato, a “far
mettere in solaio” ogni soluzione psicologica e psicoterapica, a favore di
pratiche olistiche di ogni genere, le quali vedono nel raggiungimento del Benessere (Wellness) e non nella “cura
della patologia”, il fondamento e il fine ultimo di ogni loro agire
salutistico.
In questo nuovo contesto storico-sociale è
sorto e si è concretizzato da alcuni anni il nuovo interesse per la Sociologia
italiana nei confronti dell’uomo come micro-società e unità olistica tripartita
in corpo-mente-coscienza,
sociologicamente intelleggibile, comprensibile e giustificabile come cellula minor precedente e fondante la cellula major della famiglia naturale
monogamica ed eterosessuale. Senza trascurare i settori di analisi e di
intervento sociale in cui è da sempre storicamente posizionata, la Sociologia
nazionale ha anche operato una autentica svolta antropologica attraverso il
grande lavoro che la ANS – Associazione Nazionale Sociologi, soprattutto
attraverso l’opera continua ed indefessa del suo dinamico Presidente Pietro
Zocconali, porta avanti per il riconoscimento di un Albo e di un Ordine
nazionali.
Il ritardo, ora rivelatosi provvidenziale,
di questo riconoscimento professionale, unito ad un’opera sistematica di
scavalcamento da parte di psicologi ed assistenti sociali della nostra
professione, ha comunque confinato queste due categorie nel settore patologico
e socio-patologico (nonostante i loro tentativi
di recupero teorico attraverso
l’istituzione della Psicologia sociale, come di recupero pratico attraverso la creazione e la gestione della figura
del counselor psicologico) lasciando alla Sociologia italiana la verde ed
infinita prateria della possibilità di gestione del Benessere individuale e
sociale.
In questa linea, da almeno dieci anni si è
mosso il nostro collega sociologo Dr. Andrea Rocca, Direttore del Laboratorio
ANS di Sociologia di Roma (il primo in Italia), ora investito anche di
personalità giuridica propria col nome di A.R.CO.S. - Associazione Romana di Counseling Sociologico
e delle Scienze Umane. Il Dr. Rocca, nel corso dell’ultimo Convegno Nazionale
ANS svoltosi a Roma il 18 Dicembre 2006, ha potuto esordire presentando ai
colleghi sociologi la nascita della figura professionale del Counselor
Socioanalitico, segnando così una grande vittoria per una attuazione pratica e
originale della nostra professione di Sociologi (per ulteriori info vedi: www.arcoscounseling.it).
Una particolare menzione va data al collega
ANS Dr. Giuseppe Milia, sociologo clinico e socioterapista, fondatore
dell’Istituto di Ricerche Sociologiche di Barletta, che ha sviluppato da anni
un notevole lavoro di ricerca e di codificazione dell’aspetto metodologico e
tecnico nel campo della socioterapia, del counseling familiare, del mobbing
aziendale e della mediazione dei conflitti., oltre ad avere dimostrato una
elevata competenza e vitalità “sul campo” come professionista di prassi
socioterapeutica (per ulteriori info vedi www.socioterapia.org).
Nel campo dell’Olismo si è invece orientato
il nostro lavoro trentennale di ricerca, sfociato infine nella creazione del Laboratorio
ANS di Sociologia & Scienze della Meditazione di Castellanza (VA) e nel contemporaneo
riconoscimento, da parte del Direttivo Nazionale ANS del giugno 2005, della Sociologia olistica quale parte
integrante della Sociologia italiana nell’ambito dello studio, della ricerca,
della analisi e della consulenza.
(per ulteriori info vedi: http://socioclinica.blogspot.it/)
La Sociologia olistica è essenzialmente
prassi, è la risposta di coloro che vogliono contribuire alla trasformazione
della società operando sull’uomo essere individuale
e di relazione sociale, e che si
pongono come obiettivo una globalizzazione
dal volto umano fatta di solidarietà e di giustizia sociale. Nel recente
passato, come abbiamo già sottolineato, psicologi e assistenti sociali ci hanno
superato e spesso ostacolato, creando con largo anticipo albo professionale e
sbocchi di lavoro concreti, mentre noi privati ancora di tali aspettative ci
dibattevamo tanto teorici quanto spesso squattrinati nella ricerca statistica e
nell’analisi sociale. Per certi versi oggi non siamo ancora molto cambiati,
visto che oltre l’80% dei sociologi italiani per vivere praticano attualmente
un doppio lavoro o una diversa professione. É venuto il tempo di voltare pagina, di rioccupare con dignità e
fermezza professionale quegli spazi comuni che ci sono stati negati ma che sono
a pieno titolo anche pertinenza della Sociologia, poiché la Scienza non è
divisa in compartimenti stagni, ma è Una, è interdipendente, è collegata tramite
synapsy e nessuno si può arrogare il
diritto di farla propria e di escluderne gli altri.
Con queste finalità, la Sociologia olistica vuole
operare sull’uomo per promuovere la pace
sociale attraverso i suoi filoni costitutivi essenziali:
- la
bio-sociologia, quale conoscenza delle basi
genetiche e delle forze inconsce insite nell’agire sociale dell’uomo;
- la
neuro-sociologia, come studio del cervello socializzante e delle
possibilità di influenzarlo positivamente attraverso l’uso di strumentazioni
scientifiche quali le Brain Machines,
le C.E.S. (cranial electrical stimulation) e l’Audio Hi-End;
- la
sociologia
meditativa, quale uso
scientifico-sperimentale di consolidate tecnologie meditative di colloquio
interpersonale e di rilassamento, finalizzate al superamento dello stress
nel common people e al benessere
individuale ed interpersonale. (per ulteriori info vedi: http://socioclinica.blogspot.it/)
Lo sbocco concreto professionale del counselor sociologico, realizzato con
maestria e grandi sacrifici da parte del primo Laboratorio ANS, quello di Roma,
guidato dal Dr. Rocca e dai suoi collaboratori, come pure dall’insigne opera
del Dr. Giuseppe Milia, troveranno nel nostro Laboratorio ANS di Castellanza
piena collaborazione al fine di fare del Sociologo una delle chiavi di volta
della nuova Scienza integrata che
caratterizzerà questo nostro inquieto ma anche bellissimo XXI secolo.
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