Esicasmo e Preghiera del Cuore



© by René Manusardi and © Roberto Rondanina and © Giuseppe Galliano
É vietata la riproduzione anche parziale del testo senza la dovuta citazione dell'Autore del testo stesso: https://socioclinica.blogspot.it/p/note-legali.html


La Via dell’Esicasmo 

Una fonte di interesse fenomenologico che caratterizza la ricerca nel campo della Socioclinica neuromeditativa, capace quindi di suscitare interrogativi sulla struttura della coscienza e sulla capacità di immergersi in essa, è dato da quell’insieme di tecniche spirituali cristiane a forte valenza psicosomatica che ruotano attorno alla realtà dell’Esicasmo. Ossia, quel mondo contemplativo che trovando il suo esordio storico nei primi secoli della Chiesa con l’ascetismo, si propaga poi gradualmente attraverso le correnti spirituali di anacoretismo, eremitismo, monachesimo e pellegrinaggio mistico, con la caratteristica singolare di essere il portatore di una ricerca della esychia ossia la quiete: tranquillità e pace interiore. Questa spiritualità, tuttora viva e fiorente all’interno del cristianesimo orientale e ben consolidata in quello occidentale, rappresenta uno dei segni distintivi della Chiesa ortodossa e della sua gloriosa storia. 


Nella spiritualità dei Dodici Gradi del Silenzio, l’emersione della coscienza come luogo spirituale di contatto e di relazione col divino, avviene attraverso una attenzione di tipo iconoclastico, che prevede una battaglia di purificazione mentale en tranchant senza esclusione di colpi, come abbiamo già visto nella pagina dedicata a questa corrente spirituale in "WS/Testi". 

Nel caso dell’Esicasmo, vissuto come Preghiera del Cuore attraverso la ripetizione continua del nome di Gesù, ci troviamo invece di fronte ad un corollario di vere e proprie tecniche psicofisiche le quali, oltre a rappresentare un trait d’union tecnologico tra Oriente e Occidente, ci portano ad identificare la coscienza come luogo del cuore. Molto interessante a tal riguardo, è la chiarificazione che ci propone Tomàs Spidlìk, affermando il primato della psicologia dell’uomo orante all'interno di questa tradizione esicasta propria del monachesimo orientale:

«Tutte le professioni e tutte le attività umane organizzano prima o poi la loro disposizione secondo le necessità o l’utilità dello scopo che esse perseguono. Sarebbe strano che la vita religiosa sfuggisse a questa legge. L’eremitismo, il monachesimo, l’esicasmo classico sono nati dalla preoccupazione di rispondere alle esigenze della preghiera o di allontanare le distrazioni e le loro cause. Dal momento che la preghiera è un dialogo con Dio, due considerazioni determineranno il suo “contesto”, come il suo “comportamento fisico”: il rispetto per il Dio che è pregato e la psicologia dell’uomo che prega. Entrambi si uniscono spesso nella realtà, ma spesso anche si separano o l’una vince sull'altra. Il monachesimo orientale, con il suo ideale di preghiera “pura”, continua, è più impegnato nella seconda direzione. In questa scelta, il rispetto di Dio e della sua volontà è evidentemente, per un certo aspetto, in ultima analisi principale; ma praticamente, e per la coscienza limpida, ciò che si afferma di più è l’aspirazione ad uno stato di preghiera caratterizzato da un insieme di elementi psicologici e sperimentali. Con delle sfumature diverse e a gradi diversi, il monachesimo universale si dà per scopo delle esperienze di questo genere. Diciamo “monachesimo universale”, termine che può convenire ad un gran numero di pratiche, dallo “yoga” indù fino agli Esercizi di Ignazio di Loyola. 



«Tra i pericoli che minacciano l’uomo spirituale nell'utilizzazione di un metodo, il più insidioso è il seguente: che sotto la preoccupazione di essere scrupolosamente fedele al suo metodo, questo sia messo così al centro della propria attenzione da dimenticare il rispetto dovuto al Dio che si prega e la ricerca della sua volontà. Allora il dialogo con Dio degenera in un monologo e, se si continua a chiamare una tale meditazione “trascendentale”, è una contraddizione in termini. Inoltre, una mentalità tecnica e “ragionatrice” si libera difficilmente dalla tendenza a pensare secondo “la causa efficiente”; ci si domanda dunque che cosa possa causare il controllo della respirazione, la ripetizione di una formula, ecc. Così si abbassano i metodi a mezzi puramente psicologici e si trascura il loro carattere spirituale. In Oriente, al contrario, si ama considerare le cose sotto l’aspetto della “causa esemplare” e, davanti a ciò che succede, ci si domanda piuttosto che cosa questo significa. Tale atteggiamento è fondamentale per l’uso dei metodi della preghiera; gli elementi che mettono in opera giocano solo il ruolo di “immagini sacre” che si superano continuamente per andare dal typos all'Archétypos, nel dialogo con Dio Padre a cui è rivolta ogni preghiera. Se vi è il pericolo di una idolatria nelle impressioni sensibili e nelle idee dell’intelletto, l’idolatria del proprio corpo è la più nefasta, ed è facile cadervi. Grazie alle consolazioni sensibili si immagina simbolicamente lo stato di una unione intima con Dio. Ma se la vita morale non va di pari passo con il grado della preghiera, questa incoerenza produrrà una specie di schizofrenia spirituale, cioè di follia, denunciata dallo pseudo Simeone. “Finché non si è purificati e rinnovati dallo Spirito — scrive Ignatii Brjancaninov — la prudenza consiste nel non riconoscere come corretta nessuna sensazione, nessun sentimento del cuore tranne il sentimento del pentimento, la salutare afflizione per il peccato, misto alla speranza nella misericordia di Dio”. Le deviazioni e i pericoli non dovrebbero tuttavia scoraggiare coloro che quaggiù cercano di ritrovare l’armonia primordiale tra lo spirituale e il materiale, la divinizzazione dell’uomo intero. Cassiano ha tracciato questo ideale: “Tale deve essere lo scopo del solitario, ciò a cui deve tendere ogni suo sforzo: meritare di possedere in questa vita una immagine della beatitudine futura, e di avere come un’anticipazione, nel suo corpo mortale, della vita e della gloria del cielo”». [1] 

Esicasmo e Luogo del Cuore 

La spiritualità dell’Esicasmo, offre, attraverso la ricerca della pace interiore, una seria psicologia a fondamento della ricerca del luogo del cuore e degli ostacoli psicofisici che ne impediscono l’accesso e la continua permanenza. Roberto Rondanina, Responsabile generale dei Ricostruttori nella Preghiera, ci dona qui una sintesi della spiritualità esicasta, capace di stupire per la sua profondità psicologica e in grado di destinare materiale di ricerca e di sviluppo alle tematiche proprie della Socioclinica neuromeditativa che sono l’approfondimento della struttura della coscienza come “centro” antropologico e “luogo” di contatto col divino, e una metodologia socioclinica di studio e di superamento dei vizi capitali che originano nell'anima e condizionano per estensione tutta la struttura psicosomatica ed energetica dell’essere umano: [2]

«(...) Il desiderio di imitare il più possibile la preghiera di Gesù, preghiera di amore, di lode e di obbedienza nei confronti del Padre estesa quanto la sua vita, sarà proprio già degli apostoli e attraverserà, in seguito, tutta la millenaria storia della spiritualità cristiana. È in quest’ottica che sono da leggere i consigli e i “metodi” che i grandi maestri di spiritualità, come la semplice pietà popolare, sapranno elaborare nel corso dei secoli per facilitare tale cammino di imitazione, per corrispondere al monito dell’Apostolo di pregare incessantemente (1 Tess 5,17) e per conseguire quello “stato” di preghiera, inteso come “comunione col Padre e col Figlio Suo Gesù Cristo” (1 Gv 1,3) nello Spirito Santo, che costituisce la meta della vita cristiana. È all’interno di questo ordine di idee e di atteggiamenti spirituali, orientati ad una imitazione della preghiera «solitaria» di Gesù, che occorre inquadrare una delle correnti più antiche della spiritualità cristiana: l’Esicasmo (...) 

«La storia dell’Esicasmo si confonde con le origini stesse del monachesimo e, stando a quanto emerso da alcuni recenti studi, [3] accanto alla scontata impronta biblica e cristiana dei metodi di preghiera e dei percorsi ascetici che gli sono propri, sembra occorra evidenziare il legame, soprattutto sul piano delle pratiche ascetiche, che unisce l’Esicasmo all'antica filosofia greca. Già in quest’ambito si erano sviluppati metodi di preghiera che, utilizzando le energie psicofisiche dell’uomo, erano orientati verso l’unione estatica con la Divinità. Inoltre le diverse antropologie presenti nelle principali scuole filosofiche greche avevano già evidenziato l’importanza del “cuore” quale “centro” psicofisico dell’uomo e, a un più alto livello, come “luogo” privilegiato dell’esperienza spirituale. Da qui il legame di affinità e continuità tra la cultura spirituale dell’antica Grecia e l’Esicasmo, il quale è innanzitutto caratterizzato da una particolare forma di preghiera chiamata appunto «preghiera del cuore» [4]. Il termine esychia (quiete - tranquillità - pace - riposo) connota l’Esicasmo come una forma di spiritualità eminentemente contemplativa che tende all'unione con Dio attraverso la ripetizione continua, nel cuore, di una breve formula di preghiera che diviene in tal modo katastasis, ovvero stabile disposizione interiore [5]

«Gli studiosi generalmente distinguono cinque periodi dell’Esicasmo: 
1) l’epoca dei padri del deserto, 
2) la fase sinaitica, 
3) la corrente spirituale legata a Simeone il Nuovo Teologo, 
4) la fase athonita, 
5) l’epoca moderna e contemporanea dalla diffusione della Filocalia ai giorni nostri. 
Personaggio simbolo, celebrato in tutta la letteratura ascetica quale autentico padre dell’Esicasmo, fu Arsenio, nato a Roma intorno al 354. Arsenio, attesta la tradizione, dopo aver trascorso una vita alquanto dissipata alla corte di Costantinopoli, rientrò in se stesso e “pregò dicendo: Signore guidami nella via della salvezza. E giunse a lui una voce che disse: Arsenio fuggi, taci, rimani tranquillo (esycaze)” [6]. La vicenda di Arsenio verrà sempre in seguito ricordata e meditata da tante generazioni di esicasti perché nelle tre brevi parole (fuggi - taci - rimani tranquillo) viene espresso in modo straordinariamente sintetico e pregnante l’intero percorso spirituale dell’Esicasmo, caratterizzato, appunto, da solitudine, silenzio e pace del cuore. Questi tre elementi, sperimentati a livelli di radicalità diversa nelle varie fasi storiche dell’Esicasmo e a seconda delle concrete situazioni di vita dei praticanti (inizialmente e per molto tempo esclusivamente religiosi, in epoca moderna anche laici), costituiranno sempre gli ingredienti ascetici principali di una corrente di spiritualità che riconoscerà come condizione indispensabile per raggiungere il “luogo del cuore” la fuga dal mondo e la pratica del silenzio (...) 

«(...) sul piano pratico viene un po’ da tutti riconosciuto che la piena efficacia spirituale dell’invocazione del Nome, ed eventualmente anche di altre giaculatorie, si ha quando la preghiera cessa di essere semplicemente vocale e mentale per essere preghiera del cuore, ossia recitata e celebrata nel cuore. Proprio per questo l’Esicasmo si presenta come una sorta di strategia per scoprire il “luogo del cuore”, per rimanervi dentro, per combattere tutto ciò che impedisce di rimanervi e per passare dalla cosiddetta “preghiera di sforzo”, ancora distratta e deviata dalle passioni, alla preghiera nello Spirito Santo. Le tecniche psico-fisiche, cui si è accennato in precedenza, sono da vedere precisamente come degli aiuti, adatti soprattutto ai principianti, per riuscire con maggiore facilità ad individuare il luogo del cuore e per fissarvi l’attenzione. Le indicazioni presenti a questo riguardo nei padri esicasti sono sempre molto scarne, in considerazione anche del fatto che normalmente i metodi di preghiera venivano trasmessi oralmente da maestro a discepolo [7]. (...) Preso atto, quindi, del problema della riservatezza relativa alla trasmissione dei metodi e delle esperienze spirituali propri dell’Esicasmo, è, tuttavia, possibile raccogliere attraverso le testimonianze scritte, alcuni elementi preziosi sulle caratteristiche e la finalità della preghiera del cuore, pur senza presumere di poter giungere ad una sua piena conoscenza solo dall’esterno. 

«Innanzi tutto: che cosa significa pregare per gli esicasti? “La via verso Dio”, scrive un celebre autore russo, “è un pellegrinaggio interiore compiuto dalla mente nel cuore” [8]. Per l’Esicasmo l’essenza della preghiera consiste nel rimanere alla presenza di Dio con la mente nel cuore ed è perciò “elevazione della mente e del cuore verso Dio” [9]. Occorre arrivare a pregare non con “la mente nella testa”, ma “con la mente nel cuore” [10]: “la cosa principale è di restare davanti al Signore con la mente nel cuore [...] L’essenziale è dimorare in Dio e questo camminare in presenza di Dio significa che tu vivi con la convinzione costantemente presente alla tua coscienza che Dio è in te, così come è in ogni cosa; vivi con la ferma certezza che Dio vede tutto ciò che è in te e che ti conosce meglio di quanto tu stesso non ti conosca” [11]

«La preghiera del cuore diventa preghiera incessante quando si esprime in un “vivere continuamente in Dio con attenzione e sentimento” in modo tale da “consacrare tutte le nostre attività a Lui che vede tutto e che è presente dappertutto” [12]. Se si è in grado di rimanere costantemente in questo stato si diventa dei “reclusi” spirituali: “Cosa significa essere un recluso? Vuol dire che la tua mente racchiusa nel cuore, resta in adorazione davanti a Dio e non prova nessun desiderio di abbandonare il cuore» [13]. Per tutta la tradizione esicastica è un dato scontato che la porta del cielo e la porta del cuore siano la medesima porta. Scrive Isacco di Ninive: «Entra nella stanza del tesoro che è in te e così vedrai la stanza del tesoro del cielo: sono infatti la stessa cosa e c’è un’unica entrata per tutte e due» [14]. (...) Per l’Esicasmo il cuore è il centro oltre che della nostra vita fisica anche di quella affettiva e spirituale: “là dove provi tristezza, gioia, ira e ogni altra emozione: rimani lì con attenzione [...] Resta nel tuo cuore con la certezza che anche Dio è là, ma non indagare su come Egli è là” [15]. Il cuore fisico viene dai padri esicasti visto come il semplice supporto materiale del “cuore profondo” luogo della nostra vita affettiva e spirituale. Per Nikodemo Aghiorita la centralità del cuore si manifesta a vari livelli: sul piano fisico il cuore è in posizione centrale rispetto al resto del corpo; su quello psichico è luogo di convergenza delle sensazioni e delle potenze del corpo e dell’anima (psyché); sul piano spirituale in esso confluiscono e si scontrano le forze del bene e del male [16]

«Caratteristica peculiare del cuore è di contenere, per questo motivo è detto “sede”, “talamo”, “trono”, “cella dell’anima”, “stanza del cielo”, “tempio” [17]. È nel cuore che attraverso il battesimo abita la Grazia, “in esso si trovano la consapevolezza, la coscienza, l’idea di Dio e della nostra assoluta dipendenza da Lui, e tutti i tesori eterni della vita spirituale» [18]. Di questi tesori Macario l’Egiziano parla in questi termini: “Il cuore è un piccolo vaso, ma ogni cosa è contenuta in esso: Dio è là, e anche gli angeli, la vita, il Regno, le città del cielo e i tesori della Grazia” [19]. Se, quindi, il cuore è “centro” e “dimora” dell’essere umano, quando viviamo al di fuori di esso viviamo in una sorta di condizione alienata della quale, per lo più, non si è nemmeno consapevoli. Teofane il Recluso scrive a questo proposito: “Quando siamo nel nostro cuore, siamo a casa nostra, quando non siamo nel cuore siamo dei senza tetto” [20]. La difficoltà a dimorare nel cuore, stando a quanto attestato da tutta la letteratura esicastica, dipende essenzialmente dalle “malattie” dell’anima, dalle passioni non controllate, in ultima analisi dal peccato che soffoca il “germe” di vita divino ricevuto mediante il battesimo. Già i padri del deserto sottolineavano che nel cuore si annidano tre mostri terribili: l’oblio, la pigrizia, l’ignoranza [21]. L’uomo vive normalmente in una condizione di sonno spirituale, di mancanza di consapevolezza della realtà. La realtà che facilmente si dimentica è che Dio esiste, che è dentro di noi, che, presente in ogni cosa, tutto sostiene e che l’uomo è sempre sotto il Suo sguardo amoroso. Teofane il Recluso ammoniva di tenere sempre “gli occhi della mente rivolti verso Dio [...] tutti gli errori della vita dipendono dall’ignoranza di questo principio” [22]. Ogni istante della vita trascorso senza il ricordo di Dio è vissuto nell'ignoranza. Quando ciò si verifica, l’uomo vive nella propria immaginazione, nei propri pensieri, ma non nella realtà. La preghiera incessante, la preghiera di Gesù inserita nel respiro, ha innanzitutto la funzione di aiutare l’uomo a ricordare la verità essenziale: Dio c’è e in Cristo Gesù si è fatto uomo.

«(...)la via della quiete, l’Esicasmo, non costituisce una tendenza irrazionalistica della spiritualità cristiana: la ragione umana non deve essere abolita, ma purificata e il «luogo» della purificazione è precisamente il cuore. Si tratta in definitiva di pervenire ad una riunificazione della componente psichica con quella affettiva-spirituale dell’uomo con l’aiuto determinante, oltre che dei sacramenti, della preghiera. “La mente e il cuore”, afferma Teofane il Recluso, “devono essere uniti: solo allora potrà cessare il vagabondaggio dei pensieri e si troverà un timone per dirigere la barca dell’anima, una leva con la quale mettere in moto tutto il mondo interiore” [23]. Da qui l’importanza di una vigilanza continua sui pensieri che caratterizza la disciplina interiore dell’Esicasmo. In esso l’intera ascesi (la dieta, il dormire per terra, i digiuni, ecc.) ha essenzialmente lo scopo di facilitare il controllo dei pensieri. I termini che ricorrono con maggiore frequenza nei testi di spiritualità sono quelli di “custodia del cuore”, “sobrietà”, “attenzione”, “vigilanza”. I padri esicasti sono spesso chiamati «neptici», dediti cioè alla sobrietà (neptis) intesa, appunto, come vigilanza sui pensieri. Secondo un’immagine tradizionale, il vero asceta deve custodire il cuore come il monaco portinaio deve custodire la porta del convento o l’Angelo quella del Paradiso. Evagrio Pontico ammonisce: “Sii portinaio del tuo cuore e non lasciar entrare alcun pensiero senza averlo prima interrogato. Ad ogni pensiero chiedi: Sei dei nostri o dei nostri avversari?” [24]

«Sulla scia di Evagrio che aveva elencato otto pensieri negativi da combattere (gola, lussuria, avarizia, ira, tristezza, accidia, vanagloria, superbia), gli autori spirituali hanno elaborato una psicologia molto raffinata che descrive in che modo un pensiero si trasforma gradualmente in passione. È persuasione comune a tutta la tradizione monastica antica che l’origine di un pensiero negativo non possa essere che esterna alla natura umana e debba, pertanto, ricercarsi in suggestioni provenienti dai demoni. Si tratta di tentazioni che mettono alla prova l’uomo, ma che possono agire solo attraverso il libero consenso della sua volontà. La letteratura spirituale orientale distingue, per lo più, sei momenti attraverso i quali un pensiero passa prima di trasformarsi in passione. 
- Dapprima c’è la suggestione: un pensiero negativo che si affaccia nella mente. 
- A questa segue il colloquio con l’immagine negativa. 
- Se l’immagine non è respinta si giunge al consenso: è il momento del peccato vero e proprio. 
- Il momento della lotta precede o segue quello del consenso. 
- Alla fine della sequenza c’è la prigionia che è attrazione violenta del cuore nei confronti del pensiero negativo. 
- Quest’ultima, se non contrastata, conduce alla “passione” intesa come abituale inclinazione al male preceduta da tutta una serie di consensi. 
È quindi nella mente che occorre esercitare, attraverso la pratica della preghiera continua, una costante vigilanza, o sobrietà. Teofane ce ne lascia una descrizione in questi termini: “Dopo aver scacciato dalla mente ogni pensiero mediante il ricordo della presenza di Dio, resta sulla porta del cuore e sorveglia attentamente tutto quello che passa di lì (...), non permettere che il cuore si attacchi a nient’altro che a Dio” [25]. Per gli autori esicasti c’è vita spirituale se c’è questo impegno, illuminato dalla Grazia, ad esercitare una continua vigilanza sui pensieri.». 

I metodi psicofisici della Preghiera del Cuore 

Giuseppe Galliano,[26] missionario del Sacro Cuore, promotore di molteplici gruppi di preghiera carismatica in Italia e all’estero ed esperto di lungo corso nel campo della Preghiera del cuore, ha saputo interfacciare da più decenni questo metodo di contemplazione cristiana con il mondo dell’Olismo e con quello del pensiero positivo. All’interno dei suoi incontri, attraverso una concreta sperimentazione spirituale, Padre Galliano è stato in grado di coniugare istruzione preliminare, meditazione guidata e musicoterapia di fondo in una originalissima versione molto contemporanea, venendo così incontro alle problematiche di salute psicofisica della società postmoderna, soprattutto dei fedli che seguono i suoi incontri.

Nel paragrafo “I metodi dei vari maestri”, della sua Tesi di licenza e specializzazione in Teologia spirituale, egli ci offre un sintetico mosaico di citazioni dei Padri dell’Esicasmo, riguardo i metodi psicofisici della Preghiera del Cuore, che qui abbiamo interamente riportato:

«“I cristiani in generale, hanno trascurato troppo i metodi di raccoglimento, in quanto ricerca, nella fede, di questo Dio che abita in noi (...) Ritrovare questi metodi che numerosi maestri di preghiera cristiani hanno insegnato nel corso dei secoli e perfezionarli è assai augurabile e anche urgente” [27]. Così si esprimeva Henri Caffarel anni or sono, parlando della preghiera, a Parigi. Gli fa eco la “Lettera su alcuni aspetti della meditazione cristiana”, dove si legge: “L’esperienza umana dimostra che la posizione e l’atteggiamento del corpo non sono privi di influenza sul raccoglimento e la disposizione dello spirito. E' un dato al quale alcuni scrittori spirituali dell’Oriente e dell’Occidente cristiano hanno prestato attenzione (...) Nella preghiera è tutto l’uomo che deve entrare in relazione con Dio, e dunque anche il suo corpo deve assumere la posizione più adatta per il raccoglimento [28]. Tale posizione può esprimere in modo simbolico la preghiera stessa, variando a seconda delle culture e della sensibilità personale. In alcune aree, i cristiani, oggi, stanno acquisendo maggior consapevolezza di quanto l’atteggiamento del corpo possa favorire la preghiera” [29]. Questi metodi furono ben presto elaborati dai monaci, per favorire i processi di introspezione; furono trasmessi oralmente durante i primi secoli del monachesimo, poi sono stati messi per iscritto a partire dal XII secolo. I più antichi teorizzatori della Preghiera di Gesù, come legata a metodi psicosomatici, sono Niceforo Monaco (XIII sec.), Simeone il Nuovo Teologo (XIII sec.) e Gregorio il Sinaita (XIII –XIV sec.). 

«Niceforo Monaco nel suo “Discorso sulla sobrietà e la custodia del cuore” definisce la funzione della respirazione: “Tu, dunque, siediti, raccogli l’intelletto e introducilo, per la via delle narici, per cui entra il respiro del cuore, e spingilo e costringilo a scendere insieme con l’aria che viene inspirata nel cuore. Quando sarà giunto là non seguirà più nulla che sia privo di gioia e di grazia” [30]. Concentrato in se stesso, con animo sereno, il monaco deve porre tutta la sua attenzione sulla formula della preghiera: “Da quel momento tu non devi tacere e stare inattivo, ma avere come opera e invocazione incessante, la preghiera: Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me” [31].

«Nel trattato “Le tre forme di preghiera” che la Filocalia attribuisce erroneamente a Simeone il Nuovo Teologo, la postura del corpo è descritta dettagliatamente. L’autore suggerisce di sedersi in una cella silenziosa e di distogliere il proprio spirito da ogni pensiero: “a questo punto appoggia sul petto la mascella inferiore, cioè il mento, per esercitare l’attenzione in questo modo all’interno di te stesso con il tuo intelletto e i tuoi occhi sensibili. Trattieni un poco il tuo respiro così da tenere lì il tuo intelletto, per trovare il luogo dove sta il tuo cuore, e là stia interamente anche il tuo intelletto. Là, al principio, ti troverai dentro una grande oscurità, insensibilità e durezza. Ma, quando avrai realizzato questa opera dell’attenzione, incessantemente, notte e giorno, troverai — meraviglia! —una gioia incessante. Poiché l’intelletto per questa lotta raggiungerà il luogo del cuore e subito vedrà là dentro quelle cose che mai aveva visto e conosciuto, poiché vedrà l’aria che si trova là dentro nel cuore e vedrà tutto se stesso luminoso e pieno di ogni prudenza e discernimento. Da quel momento in poi, da qualunque parte si affacci e appaia qualche pensiero, prima ancora che entri e sia oggetto di riflessione o di raffigurazione, subito l’intelletto lo caccia di là e lo distrugge con il nome di Gesù, cioè col “Signore, Gesù Cristo, abbi pietà di me”. Da allora l’intelletto dell’uomo comincia ormai ad avere rancore, passione e guerra incessante contro i demòni e solleva contro di loro l’ira naturale, dà loro la caccia, li colpisce e li distrugge. Ciò che in seguito accade, lo imparerai da solo con l’aiuto di Dio, per esperienza, mediante l’attenzione dell’intelletto e tenendo nel cuore Gesù, cioè la preghiera, poiché dice un padre: “Siedi nella tua cella ed essa ti insegnerà tutto” [32]. In questo passo si distinguono tre fasi: il rallentamento della respirazione, seguito dalla concentrazione, l’esplorazione dell’interno di sé per trovarvi la sede del cuore e l’invocazione del nome di Gesù, volta ad annientare ogni minimo pensiero.

«I “Racconti di un pellegrino russo” devono parte della loro popolarità alle precisazioni sul metodo. Il pellegrino impara a pregare attraverso tre tappe. La prima è anzitutto quantitativa per abituarsi a recitare la formula con la bocca: lo starets gli ordina di recitare la preghiera, inizialmente, tremila volte al giorno, per poi passare a seimila e ancora a dodicimila; dapprima riuscì a malapena a recitarle tutte, ma poi “La recitai fedelmente dodicimila volte al giorno e all’abitudine si aggiunsero ben presto la gioia e la soddisfazione” [33]. La seconda tappa consiste nel far passare la preghiera dalla bocca alla mente, ripetendola silenziosamente; la terza e ultima tappa introduce la preghiera del cuore, mettendo in relazione la scoperta della sede del cuore con la recitazione della formula: “Cercai prima di tutto di trovare la posizione del cuore. Chiusi gli occhi e contemplai con la mente il mio cuore, tentando di rappresentarmelo quale esso è, nella parte sinistra del petto, e di ascoltarne attentamente il battito. Ripetevo questo esercizio varie volte al giorno, per mezz’ora, e dapprima non percepivo che buio. Presto però cominciò ad apparirmi il cuore e colsi il suo movimento; poi riuscii a introdurre nel cuore la Preghiera di Gesù e a farmela uscire, seguendo il ritmo del respiro: guardando con la mente nel mio cuore, aspiravo lentamente l’aria, dicendo: Signore, Gesù Cristo, poi la espiravo, dicendo: abbi pietà di me” [34]. In principio è un fatto meccanico, poi diventa spontaneo: “Dopo un certo tempo sentii, non so come, che la preghiera passava da sola dalle labbra al cuore: il cuore, cioè, con il suo battito regolare, si metteva in certo qual modo a scandire da se stesso le parole della Preghiera; per esempio, uno: Signore, due: Gesù, tre: Cristo e così via. Smisi allora di dire la Preghiera con le labbra e cominciai ad ascoltare con attenzione ciò che diceva il mio cuore (...)” [35].

«Come leggiamo, nel metodo del pellegrino si incontrano due elementi fisici: il battito del cuore e la respirazione. Da Niceforo ne vengono segnalati altri come la posizione del corpo, la fissazione dell’attenzione a certe parti del corpo (cuore, ombelico), il controllo della respirazione, l’ambiente adatto. Elementi fisici che vengono messi in relazione diretta con certi effetti psichici come visioni luminose e prontezza nel discernimento. Ciò nasce dalla convinzione che anche la più alta esperienza spirituale ha nel corpo il suo veicolo, si direbbe il suo sacramento, il suo segno visibile e operativo. Tale principio si basa sulla pratica sacramentale e sulla considerazione che la salvezza in Cristo riguarda l’uomo nella sua totalità di corpo, anima e spirito. L’individuo trova espressione nel corpo e la dualità di corpo e anima, che tanto ha segnato il pensiero occidentale, non è né biblica, né cristiana. Il Cristianesimo è la religione dell’incarnazione, la vita in Cristo non può venire disincarnata. Che il corpo possa partecipare alla preghiera costituisce una necessità, perché l’uomo è tutto votato obbligatoriamente ad essere riunificato. É inoltre un dato di fatto che, quando preghiamo, cominciamo con il corpo (segno della Croce, genuflessione...), quindi questo non è da considerare come un soprabito da appendere all’attaccapanni, per entrare tutto spirito nella preghiera. Il minimo da richiedere al corpo è che non si opponga alla preghiera, con la stanchezza, la tensione, l’irrequietezza; bisogna quindi riportarlo alla calma, alla distensione, a uno stato di allerta gioiosa verso il Signore che viene. Andando più avanti si deve ottenere una collaborazione positiva, accompagnando o suscitando la preghiera con i propri atteggiamenti.

«Così pure il respiro. I termini “respirare e vivere” in molte lingue sono sinonimi. Unire il nome di Gesù ad ogni respiro significa avvertire come la realtà di Cristo penetra e dà vita a tutto ciò che esiste. La regolarità del respiro coordinata con il pensiero è un esercizio naturale per chi non desidera altro che gustare le parole della preghiera nel ritmo della propria vita, del suo cammino sulla terra. La respirazione che conserva il suo ritmo calmo, in mezzo a tutti gli incontri della vita, è un simbolo della hesychìa vera, della pace con Dio in mezzo alle tribolazioni. “Il respiro comporta tre fasi: aspirare, ritenere, espirare. Chi aspira vive la sua dipendenza dalla vita del mondo. Unire questa fase con la preghiera a Gesù significa sentire la dipendenza da Lui, che è la vita del mondo nel senso spirituale. Espirare è un sollievo di chi si sente in pieno possesso della medesima vita da poterla donare” [36].

«Il fervore che emana dai racconti del pellegrino o da alcuni testi della Filocalia e l’apparente facilità del metodo non devono però trarre in inganno il lettore inesperto. Credere o pretendere che la Preghiera di Gesù costituisca un rapido mezzo di realizzazione spirituale è persino rischioso. Ad accogliere lo sguardo interiore del principiante non è un’alba radiosa, ma l’oscurità propria della sua condizione di peccatore; appunto per questo, diversi autori esperti sconsigliano l’uso di mezzi meccanici. “Pratichiamo la Preghiera di Gesù senza desiderare stati spirituali elevati, ma con semplicità e con giusta intenzione, avendo per fine il pentimento, con fede in Dio e totale abbandono alla sua volontà (...) Quando adottiamo procedimenti meccanici, sforziamoci di agire con la maggior cautela possibile, senza lasciarci prendere da un’inutile curiosità o da un irreprensibile entusiasmo, che agli inesperti appare una virtù, ma che i santi Padri definiscono temerarietà ispirata dall’orgoglio, sconsiderato ardore (...) Bisogna considerare tutti gli ausili meccanici per quel che sono: supporti utili unicamente in ragione della nostra debolezza. Non dobbiamo riporre la nostra speranza né in essi, né nell’aspetto quantitativo della nostra ascesi, per timore di averla riposta di fatto in noi stessi o in qualcosa di materiale” [37]. Da ciò si evince che gli esercizi respiratori non sono nient’altro che un accessorio, un aiuto per il raccoglimento, utile per alcuni, ma non obbligatorio per tutti. Non sono assolutamente una parte essenziale della Preghiera di Gesù, la quale può essere esercitata nella sua pienezza senza queste pratiche. 

«Concludendo il nostro discorso sul metodo, ricordiamo che “L’elemento indispensabile nella preghiera è l’attenzione. Senza di essa infatti non c’è preghiera. La vera attenzione, concessa dalla grazia, sopraggiunge quando facciamo morire il nostro cuore al mondo. L’unione della mente con il cuore è l’unione dei pensieri spirituali della mente con i sentimenti spirituali del cuore” [38], tenendo presente anche che “autentiche pratiche di meditazione provenienti dall’Oriente cristiano e dalle grandi religioni non cristiane, che esercitano un’attrattiva sull’uomo di oggi, diviso e disorientato, possono costituire un mezzo adatto per aiutare l’orante a stare davanti a Dio interiormente disteso, anche in mezzo alle sollecitudini esterne”» [39].

Il metodo proposto da padre Giuseppe Galliano si è molto evoluto, o meglio accresciuto di novità, nel corso dei decenni e la formula tradizionale della Preghiera del Cuore “Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore!” è stata sostituita dalla più breve giaculatoria “Grazie Gesù!”. Inoltre, come in ogni cammino di ricerca spirituale a forte valenza psicofisica, anche qui si è verificato in alcuni incontri meditativi, un aumento esponenziale del valore antropologico riguardo la ricerca del luogo del cuore rispetto a prospettive più propriamente teologico-spirituali di tipo tradizionali quali la Presenza di Dio, l’inabitazione trinitaria e l’adorazione eucaristica, quest’ultima peraltro “molto presente” e “molto amata” all’interno delle Messe di Evangelizzazione proposte da P. Galliano. Tuttavia la fedeltà al Magistero della Chiesa nonché la forte impronta biblica, trinitaria, cristologica e mariologica restano ancora oggi il fondamento indiscusso di questo metodo contemporaneo di esercizio della Preghiera del Cuore. Ne è prova l’origine storica di quella base tecnica di esercizio della Preghiera del Cuore rimasta pressoché invariata nel corso dei decenni, che Giuseppe Galliano già esponeva nel paragrafo “Un Esercizio di Preghiera”, presente anch’esso all’interno della sua Tesi discussa al Teresianum nel 1993 e che vi presentiamo qui sotto nella sua interezza.

Un Esercizio di Preghiera [40]

Assumete una posizione che sia confortevole e riposante, possibilmente seduti, in modo che il corpo poggi saldamente sul suo baricentro, tenendo la schiena eretta (non tesa!); gli occhi siano aperti o semichiusi (o chiusi se non comporta assopimento), ma sfuocati rispetto agli oggetti esteriori e rivolti alla contemplazione del mondo interiore. Il nostro esercizio di preghiera implicherà cinque fasi.

La prima fase consiste nella semplice consapevolezza della quiete interiore.

Non vi preoccupate della misura della quiete interiore; non è particolarmente importante; con il tempo crescerà; siate solo coscienti che c’è. Evitate ogni sforzo.

Scendete al di sotto delle attività superficiali della mente.

Restate per alcuni istanti tranquilli nella consapevolezza del profondo del vostro essere interiore. Non fate ragionamenti in proposito. Accettatelo semplicemente, nella consapevolezza della sua esistenza. Entrate in questo modo nel profondo del vostro essere interiore.

Se vi accorgete che state ragionando, discutendo con voi stessi, sollevando dubbi ed obiezioni, mettete da parte tutto ciò. Se la vostra mente ancora non può riposare, concentratevi nel contare i vostri respiri da uno a dieci. Poi ricominciate.

Se siamo nuovi a questo tipo di esercizio, può volerci un certo tempo, perché il profondo del nostro essere interiore salga al livello della coscienza. Non forzatelo. Continuate a contemplare tranquillamente. La coscienza del profondo del nostro essere interiore l’avremo al momento opportuno, voluto da Dio, se noi lo consentiremo.

Stiamo almeno iniziando a sperimentare qualcosa dell’essere interiore di cui S. Paolo ha detto: “secondo le ricchezze della sua gloria, possa il Padre concedervi, attraverso il suo Spirito, di essere potentemente corroborati nell’uomo interiore” (Ef 3, 16).

Se vi accorgete di essere distratti, concentratevi di nuovo sulla respirazione. Respirate leggermente, tranquillamente, regolarmente. State seduti dritti, ma non tesi. Il dorso deve essere ben eretto, la testa nel prolungamento della colonna vertebrale.

Passiamo ora alla seconda fase.

Rimanete consapevoli del profondo del vostro essere interiore e cominciate a estendere gradualmente la vostra consapevolezza all’ambiente che vi circonda. Solo nella vostra consapevolezza e attraverso essa, l’immensità del creato è pienamente presente in voi e voi pienamente in esso.

L’energia immensa di tutto l’universo è presente anche in voi.

Contemplate il vostro essere interiore, come parte di tutto il creato, e tutto il creato, come parte del vostro essere interiore.

Senza concettualizzazioni, senza ragionamenti, senza interrogativi diventate consapevoli della vostra unità con tutte le cose, con tutte le persone.

Siate semplicemente consapevoli del profondo del vostro essere interiore, come parte di un tutto più grande nel quale abita lo Spirito Creatore di Dio, la sorgente dell’energia che opera nell’universo.

“Tutte le cose sono state create per mezzo di Cristo e in vista di Lui; Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui” (Col 1, 16-17). Sperimentare qualcosa dell’unità del cosmo è sperimentare qualcosa di Cristo. 

Stiamo entrando nella terza fase.

L‘atteggiamento del vostro corpo, il vostro respiro, la vostra quiete costituiscono essi stessi la vostra preghiera, perché la vostra esperienza dell’unità di tutte le cose possa essere trasformata dalla presenza di Cristo nel vostro cuore, attraverso il potere creativo (l’energia) dello Spirito Santo. Non c’è bisogno di parole; Dio conosce ciò per cui pregate. Rilassatevi.

Mentre inspirate, pronunciate il Nome Santissimo di “Gesù”, oppure dite “Signore Gesù”. Rilassatevi, mentre respirate. Respirate lentamente, ma senza essere tesi.

Attraverso l’illuminazione che solo Dio può dare, al momento che Egli sceglierà, diverrete consapevoli di voi stessi e di tutte le cose, così come lo è Gesù.

Semplicemente, recitando la Preghiera di Gesù, noi aspettiamo il giorno in cui questa illuminazione permeerà tutto il nostro essere, tutta la nostra vita.

Bloccate ogni ragionamento, qualunque discussione o concettualizzazione interiore. State seduti diritti, ma non tesi. Lasciate che l’atteggiamento del vostro corpo sia esso stesso la vostra preghiera. Continuate a ripetere la Preghiera di Gesù. Dopo un certo tempo, forse preferirete restare nel silenzio interiore più assoluto, che è esso stesso un atto di abbandono e di petizione che Cristo abita nel vostro cuore, attraverso la fede.

Siamo ora pronti per la quarta fase.

Il Padre, fonte trascendente di tutte le cose, conosce se stesso solo nella sua Parola e attraverso Essa. E noi conosciamo Lui solo nella sua Parola fatta carne e attraverso Essa.

La consapevolezza di Gesù, Verbo incarnato, era ed è concentrata completamente sulla sorgente del suo essere e di ogni altro essere, Suo Padre e nostro Padre, il Dio Creatore di ogni cosa, che tutto trascende.

Più entriamo nel cuore religioso di Gesù, più diventiamo consapevoli del Padre Suo e Padre nostro, che supera ogni pensiero e ogni comprensione.

In questo modo arriviamo a “conoscere l’Amore di Cristo, che è superiore a ogni conoscenza e siamo ripieni dell’assoluta pienezza di Dio” (Ef 3, 19).

“Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 27).

Con Cristo, per Cristo e in Cristo io divento consapevole del Dio che è al di là di ogni pensiero, di ogni ragionamento, di ogni concetto.

Questa fase consiste nell’assoluta quiete nel Padre insieme a Gesù, grazie all’illuminazione dello Spirito.

Ho raggiunto la fonte trascendente del mio essere e di ogni altro essere, che è più presente a me di quanto io lo sia a me stesso.

Rilassatevi nella consapevolezza del vostro essere interiore e della sua origine, il Padre di Gesù Cristo, la sua Parola fatta carne.

Non concettualizzate o ragionate in voi stessi. Nella quiete lasciate che Dio, che è al di sopra di ogni umana parola, parli a voi, in e attraverso la sua Parola. Il Padre non ha da dire più della sua Parola. Lasciamo che la Parola di Dio attraverso l’illuminazione dello Spirito Santo divenga anche la nostra Parola.

Continuate a far sì che la vostra respirazione e il vostro atteggiamento siano essi stessi la vostra preghiera e, nel completo silenzio dell’essere, siate consapevoli con Gesù del Padre trascendente di tutti, la fonte del vostro essere interiore. O, se vi aiuta di più, continuate a pronunciare il Santo Nome di “Gesù”, mentre respirate, ma ora aggiungete “Padre” o “Abbà”, quando espirate.

Siamo assorbiti con Gesù nella consapevolezza dell’uno che è al di sopra di ogni consapevolezza, ma non siamo separati dal mondo.

Passiamo ora nella quinta fase.

Il Padre trascendente, sorgente del nostro essere, è sempre rivolto verso il mondo con infinito Amore e infinita compassione. Se vogliamo essere con Lui, tutto il nostro essere deve andare nella stessa direzione.

Non concettualizzate e non ragionate. Lasciate che l’atteggiamento del vostro corpo e il vostro respiro siano da soli la vostra preghiera per questa trasformazione dell’Io. Continuate semplicemente a recitare il Santo Nome di “Gesù”, mentre inspirate dolcemente e aggiungete “Abbà” o “Padre”, quando delicatamente espirate. Continuate a fare così.

Il Padre, attraverso la sua Parola, ha creato tutte le cose e tutte le persone dall’Amore.

Dall’Amore, il Padre riconcilia tutte le cose e tutte le persone a sé e le unisce fra loro attraverso il suo Verbo incarnato. Questo è il piano della creazione. Noi lo chiamiamo il suo Regno. I membri della Chiesa sono il suo Regno o sacramento del mondo.

Non ragionate in mente vostra su queste cose; con Gesù rimanete semplicemente consapevoli del vostro essere interiore o della sua fonte trascendente in Suo Padre e vostro Padre, creatore e Signore di tutto, dal quale tutte le cose vengono e al quale tutte le cose tornano.

Lasciate che il vostro corpo, il vostro respiro, il silenzio della vostra mente, tutto il vostro essere sia esso stesso la vostra preghiera, perché voi siate trasformati dallo Spirito, in modo da poter diventare strumenti del Progetto di Dio per il mondo.

A conclusione si può dedicare un breve tempo a un’altra forma di preghiera basata sul metodo già usato. Ancora una volta l’atteggiamento del nostro corpo, il nostro respiro, il nostro silenzio saranno la nostra preghiera.

Contemplate il fianco trafitto del Verbo incarnato. Fatelo in qualunque modo che vi venga spontaneo all’immaginazione, ma senza sforzo, senza analizzare.

Gesù, trafitto da una lancia, appeso senza vita sulla Croce, è uno con tutte le persone che soffrono nel mondo, i rifiutati, gli oppressi, i falliti.

Contemplando il suo fianco trafitto, state seduti eretti, ma non tesi, respirando tranquillamente e regolarmente. Non continuate a concettualizzare e ragionare dentro di voi. Lasciate che l’immagine stessa attragga la vostra attenzione e lasciate che la vostra postura e tutto il vostro essere siano essi stessi la vostra preghiera, chiedendo, senza parole, al di là delle parole, che lo Spirito di Dio, che ha trasformato il corpo morto e impotente di Gesù, nel Cristo cosmico risorto, possa trasformare il vostro cuore nel Suo.

“Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito, che abita in voi” (Rm 8, 11).

Per finire la preghiera, consapevoli degli ostacoli che frapponiamo allo Spirito di Gesù, che può trasformarci, recitiamo una preghiera con parole spontanee che salgono dal nostro cuore, grati al Signore per il suo perdono e per la costante presenza in noi.

N. B. Non ci sono formule magiche. Le varie forme di preghiera hanno bisogno di una guida e di una direzione spirituale. Il rilassamento e la quiete interiore, che sono parte essenziale di questa preghiera, possono dapprima apparire comode e piacevoli, un surrogato del riposo; ma se vi si persevera adeguatamente, spesso mettono in moto un radicale processo di purificazione nel profondo del nostro essere e con il tempo possono portare in superficie conflitti psicologici che sono presenti, ma nascosti in noi.

[1] Web Edition del Piccolo Compendio teorico-pratico sull’Esicasmo e la Preghiera di Gesù, pp. 34-36. Tratto da Tomàs Spidlìk, La preghiera secondo la tradizione dell’Oriente cristiano, Lipa 2002. 

[2] Web Edition di www.iricostruttori.com, stralci tratti da Roberto Rondanina, Fuge, tace, quiesce. L’esicasmo e la preghiera del cuore, in AA.VV., Per una teologia del cuore, Edizioni Interlinea, Novara, 2001. pp. 137-157. 

[3] Cfr. L. Rossi, I filosofi greci padri dell'esicasmo. La sintesi di Nikodemo Aghiorita, Il leone verde, Torino 2000. 

[4] Ibi, p. 5. 

[5] Cfr. T. Spidlìk, La spiritualité de l'Orient chrétien, II. La prière, OCA 230, Roma 1988, pp. 323-324; L. Rossi, I filosofi greci..., cit., p. 5. 

[6] Vita e detti dei padri del deserto, Città Nuova, Roma 1997, pp. 94-95; cfr. PG 65,88 b. 

[7] Cfr. L. Rossi, I filosofi greci..., cit., pp. 512-513. 

[8] In Caritone di Valamo, L'arte della preghiera, Gribaudi, Torino 1980, p. 74. 

[9] Ibi, p. 55. 

[10] Cfr. ibi, p. 70. 

[11] In ibi, p. 101. 

[12] In ibi, pp. 83-84. 

[13] In ibi, p. 255. 

[14] In ibi, p. 167. 

[15] In Caritone di Valamo, L'arte della preghiera, Gribaudi, Torino 1980, p. 193. 

[16] Cfr. L. Rossi, I filosofi greci..., cit., p. 219. 

[17] Cfr. ibi, pp. 219-220. 

[18] In Caritone di Valamo, L'arte della preghiera, cit., p. 193. 

[19] In ibi, p. 48. 

[20] In ibi, pp. 194-195. 

[21] Cfr. ibi, p. 204. 

[22] In ibi, p. 177. 

[23] In Caritone di Valamo, L'arte della preghiera, cit., p. 169. 

[24] Evagrio Pontico, Lettera 11,3, a cura di W. Frankenberg, Berlino 1912, p. 575. 

[25] In Caritone di Valamo, L'arte della preghiera, cit., p. 131. 

[26] Giuseppe Galliano, dalla Tesi di licenza con specializzazione in Teologia spirituale, Gesù Figlio di Davide, abbi pietà di me - Una preghiera per tutti i tempi: la preghiera del cuore, Pontificia Facoltà Teologica Teresianum, Roma 1993, pp. 56-64. 

[27] H. Caffarel, La preghiera interiore, Ancora, Milano 1988, p. 67. 

[28] Cfr. S. Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, EP, Roma 1984, n°76, p. 95 

[29] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera su alcuni aspetti della meditazione cristiana, del 15-10-1989, in AAS 82 (1990) 376 ; EV, XI, 2709-2710. 

[30] Niceforo monaco, Discorso sulla sobrietà e la custodia del cuore pieno di notevole utilità, in La Filocalia, vol. III, p. 526. 

[31] Ivi. 

[32] Simeone il Nuovo Teologo, Le tre forme di preghiera, in La Filocalia, vol. IV, p. 512-513. Il padre citato dall’autore è padre Mosè. Il passo si trova in Vita e Detti dei Padri del Deserto, ( a cura di L. Mortari), Città Nuova, Roma 1975, vol. II, p. 33. 

[33] Anonimo, Racconti di un Pellegrino Russo, Rusconi, Milano 1973, p. 40 

[34] Idem, p. 66. 

[35] Idem, p. 46. 

[36] T. Spidlik, La preghiera esicasta, in La preghiera. Bibbia, teologia, esperienze storiche, (a cura di E. Ancilli), Città Nuova, Roma 1988, vol. I, p. 271. 

[37] I. Briantchaninov, Approches de la prière de Jésus, coll. Spiritualité Orientale, N° 35, Bellefontaine 1983, p. 213.  

[38] Caritone di Valamo, L’arte della preghiera, Gribaudi, Torino 1980, p. 105. 

[39] Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera su alcuni aspetti della meditazione cristiana, del 15-10-1989, in AAS 82 (1980) 376; EV, XI, 2712. 

[40] Giuseppe Galliano, dalla Tesi di licenza con specializzazione in Teologia spirituale, Gesù Figlio di Davide, abbi pietà di me - Una preghiera per tutti i tempi: la preghiera del cuore, Pontificia Facoltà Teologica Teresianum, Roma 1993, pp. 64-71.

© by René Manusardi © Roberto Rondanina and © Giuseppe Galliano
É vietata la riproduzione anche parziale del testo senza la dovuta citazione dell'Autore del testo stesso: https://socioclinica.blogspot.it/p/note-legali.html