domenica 21 settembre 2014

La meditazione in medicina



di 
http://www.scienze-naturali.it/medicina-salute/salute/la-meditazione-in-medicina


  Quante volte abbiamo pensato che se avessimo “Meditato”qualche minuto in più in una situazione difficile o di fronte ad un problema apparentemente irrisolvibile forse avremmo avuto molte possibilità alternative di risoluzione, una maggiore chiarezza, una visione completa di dettagli utili altrimenti sfuggenti ad una prima frettolosa analisi. Certamente molto spesso. 

 Numerosi studi pubblicati e recentemente riassunti in editoriale della rivista Jama, pubblicata da medici americani, documentano senza ombra di dubbio, l’efficacia delle tecniche Antistress e Meditative. Patologie come l’ipertensione, l’ischemia del miocardio, il dolore cronico, la malattia infiammatoria intestinale, infezioni, dipendenze da droga e da cibo, rappresentano perfetti esempi dell’importanza della necessità di possedere una mente serena ed equilibrata non funestata da ricorrenti cicli di pensiero e componenti emotive virate al negativo ed alla chiusura esistenziale. Oltre alle tecniche generali e specifiche di rilassamento e relazione quella che più ha destato l’interesse dei ricercatori è rappresentato però dal valore aggiunto della Meditazione che affiancata alle terapie standard ha evidenziato nei pazienti un netto miglioramento, superiore alla norma, in riferimento ai risultati. 

  La recente ricerca sistematica del gruppo di E. Ernst ha dimostrato pertanto che in persone con sindromi depressive a carattere ricorrente, nell’ansia cronica, la meditazione abbinata alla normale psicoterapia e psicofarmacologia, favorisce in modo straordinario il recupero nei due terzi dei pazienti, superando trattamenti negli standard tradizionali. In Italia interessanti esperienze al riguardo dimostrano che al termine di un corso base della prassi meditativa si verificano rilevanti diminuzioni delle sintomatologie a sfondo depressivo, ansioso oltre che nelle somatizzazioni, nei sensi di inadeguatezza personale/relazionale. 

  Il Symptom Rating Test è un questionario sintomatologico validato fin dal 1974, contenente quattro scale per valutare AnsiaDepressioneSomatizzazione - Inadeguatezza. La esperienza comune mostra come le persone avvezze alla preghiera e a rivendicare spazi di silenzio, riflessione, ritagliando per se tempi di rilassamento, sono più calme, serene, tranquille, predisposte all’ottimismo nei confronti della vita, degli eventi, degli accadimenti. Ancora un ringraziamento davvero meritato deve essere tributato al Congresso della Società Italiana di Psico_Neuro_Endocrino_Immunologia (SIPNEI) con la Presidenza Onoraria della Società Scientifica di Francesco Bottaccioli in sinergia operativa perfetta con Antonia Carosella, insegnante di tecniche meditative e delle Psicoterapeute Raffaella Cardone, Monica Mambelli, Marisa Cemin, Psicologa specialista in statistica che ha raccolto ed esaminato più di settanta persone indirizzate ai corsi di “Meditazione Indirizzo Pnei”. I risultati? Il Symptom Rating Test, strumento scientifico validato e di valutazione dei cambiamento espressi a livello sintomatologico, ha mostrato che all’inizio del corso e percorso meditativo, il punteggio totale della sintomatologia era di 18,9. Il Re-test finale fine corso ha fatto registrare il punteggio di 5,8. Una riduzione dei sintomi superiore quindi tre volte rispetto all’inizio del corso. 

  Dovremmo forse allora appunto "Meditare" su questi notevoli, naturali risultati ottenuti peraltro in perfetta assonanza con una ritrovata possibilità di poterci riappropriare di un giusto scorrere del tempo della nostra esistenza. Quindi, quando possibile anche in campo medico, meglio “Meditare”… 

Dott. FKT Francesco Alessandro Squillino
Master Biennale in Globalità dei Linguaggi c/o Univ.tà di Tor Vergata Roma 

mercoledì 10 settembre 2014

La meditazione studiata dai neurologi



Un intervento del XIV Dalai Lama a Washington, tradotto in un articolo di La Repubblica (14 Novembre 2005).

(Traduzione di Anna Bissanti)
(copyright 2005 The New York Times)
http://guide.supereva.it/filosofie_orientali/interventi/2005/11/234396.shtml 

  La scienza mi ha sempre affascinato: da bambino, in Tibet, ero estremamente desideroso di conoscere in che modo funzionassero le cose. Quando ricevevo un giocattolo, ci giocavo per un po’, poi lo aprivo per vedere come era stato costruito. Una volta cresciuto, applicai lo stesso metodo di indagine a un proiettore cinematografico e a un’automobile antica. 

  Ad un certo punto rimasi particolarmente affascinato da un vecchio telescopio, con il quale mi misi a studiare i cieli, e una notte, mentre osservavo la Luna, mi accorsi che sulla sua superficie vi erano delle ombre. Convocai i miei due precettori perché vedessero con i loro stessi occhi, perché quello che si vedeva nel mio telescopio contrastava con l’antica teoria cosmologica che mi era stata insegnata e che sosteneva che la Luna era un corpo celeste ed emetteva una sua propria luce. Attraverso le lenti del mio telescopio, invece, era evidente che la Luna era manifestamente rocciosa, nuda, costellata di crateri. 

  Se l’autore del trattato del quarto secolo che avevo studiato avesse dovuto scriverlo oggi, sono sicuro che avrebbe scritto in modo completamente diverso il capitolo sulla cosmologia. Qualora la scienza dimostrasse che qualche principio del buddismo è sbagliato, allora il buddismo dovrebbe cambiare. Dal mio punto di vista, infatti, scienza e buddismo condividono una medesima ricerca della verità e comprensione della realtà. Io credo che apprendendo dalla scienza alcuni aspetti della realtà, la comprensione dei quali può essere più avanzata, il buddismo arricchisca la propria ottica e visione del mondo. 

  Da molti anni ormai, per conto mio e tramite il Mind and Life Institute, alla fondazione del quale ho collaborato, ho l’opportunità di incontrare vari scienziati per discutere con loro delle loro ricerche. 

  Scienziati di levatura mondiale mi hanno impartito insegnamenti in fisica subatomica, in cosmologia, psicologia e biologia. Sono state le nostre chiacchierate sulle neuroscienze, tuttavia, a rivelarsi particolarmente importanti. Da quegli scambi di punti di vista è nata infatti una valida iniziativa di ricerca, una vera e propria collaborazione tra monaci e neurologi, volta a indagare in che modo la meditazione possa influire sulle funzioni cerebrali

  Lo scopo non è quello di appurare se il buddismo ha torto o ragione – né tanto meno di attirare nuovi adepti al buddismo – bensì quello di estrapolare dal loro ambito tradizionale queste tecniche, studiandone i benefici potenziali e mettendo in comune le eventuali scoperte con chiunque possa reputarle utili. Dopo tutto, se le pratiche che risalgono alla tradizione cui io appartengo potessero essere associate ai metodi scientifici, allora potremmo forse essere in grado di compiere un ulteriore piccolo passo avanti per alleviare le sofferenze umane

 Questa collaborazione ha già dato i suoi frutti. Richard Davidson, un neurologo dell’Università del Wisconsin, ha pubblicato i risultati di alcuni studi effettuati sul cervello di alcuni lama in meditazione per mezzo di tecnologie di imaging e di scansione. Egli ha scoperto che durante la meditazione alcune aree cerebrali che si ritiene siano da mettere in relazione alla sensazione di felicità aumentano la loro attività e ha altresì scoperto che quanto più a lungo una persona si è dedicata alla meditazione, tanto più intensa è l’attività che interessa quelle aree. 

 Sono in corso altri studi di questo tipo: all’Università di Princeton, Jonathan Cohen, neurologo, sta studiando gli effetti della meditazione sulla concentrazione. Alla facoltà di medicina dell’Università della California a San Francisco, Margaret Kemeny sta invece studiando in che modo la meditazione contribuisce a sviluppare negli insegnanti di scuola l’empatia. Quali che siano i risultati di queste ricerche, sono confortato che stiano avendo luogo: vedete, molta gente ritiene che scienza e religione sono in opposizione tra loro. 

  Sebbene io condivida il fatto che alcuni concetti religiosi sono in conflitto con fatti e principi scientifici, ritengo però altresì che è possibile per ricercatori ed esponenti religiosi, rappresentanti di questi due mondi, intavolare un dibattito intelligente, che abbia in ultima analisi il potere di generare una più profonda comprensione delle sfide cui dovremo far fronte insieme nel nostro mondo interdipendente. 

  Uno dei miei primi insegnanti di scienze è stato il fisico tedesco Carl von Weizsaecker, a sua volta alunno del teorico dei quanti Werner Heisenberg. Weizsaecker è stato così gentile da impartirmi alcune lezioni specifiche su complessi argomenti scientifici. Ciò che mi colpì maggiormente fu il modo che aveva Weizsaecker di avere a cuore sia le implicazioni filosofiche della fisica dei quanti, sia le conseguenze etiche della scienza in generale. Egli avvertiva che la scienza può trarre grande beneficio indagando questioni solitamente considerate di pertinenza delle discipline umanistiche. 

  Io credo che noi dobbiamo trovare il modo di far sì che le considerazioni etiche abbiano la loro influenza sulla direzione che deve prendere il progresso scientifico, specialmente le scienze naturali

  Facendo appello a principi etici fondamentali non intendo promuovere una fusione di etica religiosa e indagine scientifica. Intendo piuttosto riferirmi a quella che io definisco “etica laica”, che abbraccia i principi che noi condividiamo in quanto esseri umani: compassione, tolleranza, rispetto per gli altri, uso responsabile del potere e del sapere. Questi principi trascendono le barriere che si frappongono tra chi crede e chi non crede in una religione: si tratta di principi che non appartengono a un’unica fede, ma a tutte. 

 Oggi le nostre conoscenze sul cervello umano e sul nostro corpo a livello genetico e molecolare hanno raggiunto nuovi gradi di perfezione: i progressi nella manipolazione genetica, per esempio, fanno sì che gli scienziati possano creare nuove entità generiche – specie ibride tra animali e piante, per esempio – le cui conseguenze a lungo termine si ignorano. 

  Talvolta, allorché gli scienziati si concentrano sui loro rispettivi e ristretti ambiti, la loro messa a fuoco può mettere in ombra il più vasto impatto che il loro lavoro potrebbe avere. Parlando con loro, ho dunque cercato di ricordare agli scienziati qual è l’ambizioso scopo insito in tutto ciò che fanno nel lavoro di tutti i giorni. 

  Ciò è quanto mai importante: è fin troppo chiaro, infatti, che il nostro pensiero morale semplicemente non è riuscito a rimanere al passo con la velocità dei progressi scientifici. Eppure, le implicazioni di questi progressi sono tali che non è più appropriato affermare che si dovrebbe lasciare ai singoli la scelta di decidere che cosa fare di tale sapere. Questo è un punto su cui intendo soffermarmi quando, sabato prossimo, parlerò al meeting annuale della Società di Neuroscienze a Washington. Dirò dunque che non è soltanto di interesse precipuo degli accademici decidere in che modo la scienza si rapporti all’umanità nel suo complesso. 

  Questa questione deve essere considerata per quello che è, di indifferibile importanza per tutti coloro che hanno a cuore il destino degli esseri umani. Un più approfondito dialogo tra neuroscienza e società – anzi, tra tutti gli ambiti scientifici e la società – può contribuire ad approfondire la nostra comprensione di ciò che significa essere uomini e quali debbano essere le nostre responsabilità nei confronti del mondo naturale che condividiamo con gli altri esseri senzienti. 

  Come il mondo degli affari sta prestando crescente attenzione all’etica, così anche il mondo della scienza potrebbe trarre beneficio da una più approfondita considerazione di quali sono le implicazioni del suo lavoro. Gli scienziati dovrebbero essere qualcosa di più che meramente competenti in ambito tecnico. Dovrebbero essere memori delle loro motivazioni e del fine ultimo di tutto ciò che essi fanno: il miglioramento dell’umanità

martedì 2 settembre 2014

Come sviluppare il cervello con la meditazione


a cura di Rosalba Miceli


  Fin dove può giungere la mente umana nel cercare di migliorare la capacità di prestare attenzione alle emozioni e di gestirle, di generare stati d’animo più positivi, di entrare in sintonia con gli altri o di avere un atteggiamento amorevole e compassionevole nei loro confronti? Al Mind and Life Institute (Hadley, Massachusetts, USA), una associazione no-profit di studiosi interessati alle neuroscienze, quali lo psicologo, scrittore e giornalista scientifico Daniel Goleman, e Richard Davidson, neuroscienziato e psicologo, docente all’Università del Wisconsin (pioniere della cosiddetta «neuroscienza affettiva»), e membri di gruppi dediti alle pratiche meditative, tra cui il Dalai Lama, si cerca di comprendere quali siano i limiti superiori della plasticità cerebrale.  

  Un promettente campo di ricerca nell’ambito della neuroscienza contemplativa analizza il rapporto individuale tra l’attività delle aree della corteccia prefrontale destra (un’area che si attiva quando siamo sofferenti, depressi o infelici) e l’attività della corteccia prefrontale sinistra (più attiva nell’emotività positiva, quando ci sentiamo entusiasti e carichi di energie mentali). Ogni individuo presenta un particolare rapporto di attivazione destro-sinistro a riposo che può predire in modo abbastanza preciso la gamma del suo umore giorno per giorno. 

  Una interessante conversazione tra Daniel Goleman e Richard Davidson sullo studio ancora in corso all’Università del Wisconsin sulle persone che praticano la meditazione da molto tempo (osservando le variazioni dell’attività cerebrale mediante l’utilizzo dell’apparecchiatura per la risonanza magnetica) è riportata con il titolo “Allenare il cervello: la promozione delle abilità emozionali” nel saggio Intelligenza sociale ed emotiva. Nell’educazione e nel lavoro (a cura di Daniel Goleman, Edizioni Erickson, 2014). «Che genere di cose si osserva in questo particolare gruppo di persone?», chiede Goleman. «...Quando chiediamo di farlo a persone che hanno imparato a meditare da poco, riscontriamo a malapena delle differenze tra i periodi in cui diciamo di meditare e quelli in cui diciamo di non meditare - risponde Davidson -. La cosa più sorprendente di coloro che invece sono abituati a meditare da molto tempo è che si osserva una grossa differenza nella loro attività cerebrale nei due periodi. Nel giro di sessanta secondi cambia così, istantaneamente. E, se tu li osservi dal punto di vista comportale, cioè se ti limiti a guardarli, non vedi alcuna differenza; non si muovono, sono completamente immobili, e quindi, benchè non ci sia una differenza osservabile nel loro comportamento, riescono a modificare il loro cervello in modo straordinario». 

  Il gruppo di ricerca diretto da Davidson ha studiato diverse pratiche specifiche. Non tutte hanno lo stesso tipo di effetto a livello cerebrale. In particolare sono state osservate le persone abituate a meditare da molto tempo che praticavano la forma di meditazione basata in modo consapevole su un atteggiamento compassionevole verso la propria e altrui sofferenza. É una pratica meditativa che trova il fulcro nel messaggio del Dalai Lama al mondo. Secondo il Dalai Lama, essere auto-compassionevoli non differisce in alcuna maniera dall’essere compassionevoli nei confronti degli altri. Le due cose si rivelano piuttosto due manifestazioni differenti della medesima comprensione che deriva dal riconoscere le caratteristiche umane condivise tra noi e gli altri, unitamente all’intenzione di essere più accoglienti e meno giudicanti riguardo la fragilità umana propria e altrui. Quando la compassione è sperimentata e compresa intimamente, si associa ad una visione profonda, ad un sentimento di calore, gentilezza e cura per gli verso altri e al desiderio che le loro sofferenze possano cessare. 

  Mentre tali soggetti stavano meditando e si trovavano in uno stato mentale di compassione, venivano esposti bruscamente ad un segnale di sofferenza, ad esempio, le urla di una donna in preda all’angoscia. «Abbiamo scoperto quindi che, in effetti, la meditazione basata sulla compassione è in grado di mobilitare l’insula e accentuarne l’attività - il che potrebbe essere un elemento fondamentale nel riconoscimento della sofferenza altrui e, cosa ancora più importante, nella motivazione a intervenire in presenza di sofferenza», spiega Davidson. L’insula è una zona del cervello che possiede una mappa dei diversi organi viscerali presenti nel corpo umano; l’insula comunica con altre aree cerebrali come la corteccia prefrontale; grazie a queste connessioni possiamo divenire coscienti delle sensazioni che possono prodursi quando proviamo una certa emozione e verosimilmente, sperimentare lo stesso stato corporeo della persona con cui si sta empatizzando in un dato momento. 

  «Tra l’altro - continua Davidson -, a proposito dell’intervenire in presenza di sofferenza, un’altra cosa importantissima che abbiamo osservato, e che inizialmente ci ha colti del tutto di sorpresa, è che durante la meditazione basata sulla compassione si attivano certi sistemi cerebrali associati all’azione... quindi, benchè questi soggetti non si muovano affatto, non siano impegnati in un’azione motoria, questi sistemi, per dirla con il linguaggio della psicologia, sono “preparati”, è ciò che intendiamo con questo è che la loro sensibilità è acuita, cosicchè quando ci si imbatte nella sofferenza nel mondo reale, quando queste persone non sono impegnate nella loro pratica di meditazione formale, hanno maggiori probabilità di mettere in atto un comportamento di aiuto per contribuire ad alleviare la sofferenza». 

 Il gruppo di ricerca ha studiato anche un altro tipo di meditazione che richiede di concentrare l’attenzione, creando uno stato attentivo della mente sull’esperienza che il soggetto sta vivendo in quel preciso momento. Gli studi sono stati condotti sia su soggetti abituati a praticare questo tipo di meditazione da moltissimo tempo, sia su persone mediamente esperte e poco esperte, che in certi casi hanno meditato per due mesi o anche meno. «Siamo arrivati alla conclusione che anche una pratica di breve periodo può fare la differenza cominciando a produrre dei cambiamenti biologici rilevabili sia nel cervello che nel resto dell’organismo», conclude Davidson. 

  Tra i cambiamenti più significativi uno riguarda la modificazione nel rapporto tra attivazione della corteccia prefrontale destra e sinistra, che è il modello associato ad una emotività più positiva. Un potenziamento della risposta del sistema immunitario è un altro cambiamento evidenziabile dopo appena due mesi di meditazione. Dunque ancora conferme di efficacia della pratica meditativa, non solo per i per i meditatori esperti ma anche per coloro che hanno iniziato a meditare da un breve periodo di tempo. «É un sollievo, perchè la maggior parte di noi non ha 12.000 ore da dedicare alla meditazione!», commenta entusiasticamente Goleman, a chiusura dell’argomento. 

domenica 31 agosto 2014

Tecniche di Meditazione


a cura di Italia Salute
http://www.italiasalute.it/news.asp?ID=2336 


  Come la cultura indiana afferma, ciò che sta nel mentale, risulta dalle impressioni che i fatti della vita hanno determinato in noi attraverso i sensi. Gli avvenimenti sono comparabili a film archiviati che costituiscono la nostra memoria storica. Attraverso un particolare e complesso meccanismo, tali pellicole vengono riproposte al conscio e rielaborate, per non dire “ricolorate”, dal nostro regista interiore e dai suoi stati d’animo

  Egli essendo in continua evoluzione le rivede modificandole in continuazione. Si tratta pur sempre di passato, anche se rielaborato, e quando manca la conoscenza viene purtroppo scambiato per presente. Le vie orientali sono impegnate da migliaia di anni nel tentativo di riportare l’uomo nel presente proponendone la sperimentazione nella coscienza. Anche per questo, un termine più adatto per definire tali pratiche potrebbe essere "contemplazione". E, specialmente nelle tradizioni dell’India, la contemplazione assume una grande importanza, al punto, da essere considerata nelle pratiche spirituali determinante ai fini dell’illuminazione

  In ogni caso, i conti vanno sempre fatti con il mentale e gli antichi maestri hanno proposto vari metodi per ottenere il superamento del suo contenuto: essi vanno dall’induzione o suggestione all’inganno, dal rallentamento dell’attività alla raffinata e univoca concentrazione. Come dice il maestro Amadio Bianchi, "la via dell’inganno, ad esempio, implica la conoscenza e lo studio dei procedimenti usati dal mentale per poterli aggirare mediante astuzia; la via del rallentamento si persegue con la riduzione dell’attività mentale attraverso appropriate tecniche di rilassamento o ascetiche; la via della raffinata univoca concentrazione, elegge come strumenti preferiti il mantra, lo yantra, e qualsiasi altro strumento che faciliti la focalizzazione della mente in un punto". In qualche caso è ammesso passare attraverso uno stato di sovraeccitazione attraverso un carico specifico, che tende a uniformare le onde cerebrali fino a farle divenire un unica onda dello stesso tipo. 

  La pratica, tuttavia, considerata più produttiva dalla maggior parte dei maestri è quella che sviluppa il “vairagya” o distacco. Questa, che promuove la capacità di contemplare il proprio mentale, senza venirne coinvolti, è reputata la via della conoscenza. Facciamo di nuovo un passo indietro e prendiamo ancora in considerazione taluni metodi comuni soprattutto in uso nelle scuole di yoga occidentali, basati sull’induzione o autosuggestione. Dice Bianchi: "Ritengo che essi siano conseguenza dell’approccio di tipo salutistico che l’occidentale mette in atto nei confronti delle discipline orientali ma che risultano, a mio parere, essere molto lontani dagli obiettivi più alti di queste discipline. Tali tecniche consistono nel sedersi sul pavimento, ad occhi chiusi, e come prima esperienza praticare la consapevolezza del proprio piano fisico. Attraverso il risveglio dell’attenzione è possibile divenire consapevoli dello stato di disagio o di sofferenza su questo piano. Esso si manifesta con la presenza di tensioni di vario tipo localizzabili nelle diverse aree del corpo". 

  Normalmente, si rimuovono le tensioni attraverso la decontrazione di tali parti, inducendo uno stato diverso da quello riscontrato. Si procede poi nei confronti dell’atto respiratorio spontaneo: si induce un ritmo che può richiamare stati di maggiore tranquillità e serenità che si riflettono anche sul piano emotivo. Infine attraverso l’autosuggestione, il più delle volte procurata con l’evocazione di immagini piacevoli, si può modificare il contenuto della mente. 

  "Ripeto che questo è forse il metodo maggiormente in uso nelle scuole di yoga sia occidentali, sia orientali poco “impegnate”. Tale metodo è “provvisoriamente” salutare ma, come ho già affermato, assai lontano dagli alti obiettivi dello yoga della “Conoscenza”. La Conoscenza oggettiva, risulta tale, solo se non viene alterata dalla partecipazione del meditante. Nella via più elevata, cioè, si procede sviluppando la qualità dello spettatore e, con l’esercizio, si impara ad essere coinvolti il meno possibile. La tecnica grossomodo è la seguente: lo studente si siede in posizione di meditazione e nella fase iniziale impara a contemplare il suo corpo senza intervenire, semplicemente prendendo atto delle sue tensioni". 

  La stessa cosa fa con il respiro: contempla il respiro spontaneo senza modificarne il ritmo. Infine, cosa assai più difficile, prova a osservare con distacco il contenuto della sua mente... proprio come dovrebbe fare uno spettatore “evoluto” in una sala cinematografica. Egli dovrebbe sempre essere cosciente di essere seduto, di respirare e essere consapevole che le immagini sullo schermo non sono la realtà oggettiva, ma la proiezione della mente del regista. Tale giusto atteggiamento non porta al coinvolgimento in un “falso” quale può essere un film che spesso viene scambiato dagli spettatori non “risvegliati” per il reale. 

  Il Vairagya o distacco, consente, a mano a mano che l’abilità del meditante si fa più raffinata, di affrontare gli strati più profondi del subconscio e dell’inconscio liberandoli per riviverli nuovamente nel conscio. In questo modo, senza coinvolgimento, possiamo conoscere la loro vera natura e origine e liberarci dalle impressioni che li rivestono. Essi torneranno ad essere utili come memoria-esperienza ma non saranno più in grado di creare disturbo nè impedimento all’esplorazione di ciò che sta oltre il mentale. 

  Trascendere il mentale, porta a conoscere la natura essenziale e reale delle cose, non più rivestite dalle sovrastrutture costruite dall’ego. E’ questa la via considerata della liberazione e conoscenza

mercoledì 13 agosto 2014

Necessità e difficoltà della Meditazione



di Don Alfredo Morselli  


Necessità della Meditazione 

  La pratica quotidiana della meditazione rende l'anima raccolta profondamente in Dio, mentre il tralasciarla la rende dissipata. (S. Francesco di Sales) 

   Un cristiano che non ama la meditazione è moralmente impossibile che viva fervoroso, ma vivrà tiepido e rilassato. A maggior ragione un sacerdote o un religioso. (S. Alfonso de Liguori) 

  La persona che non medita, conoscerà poco i suoi bisogni spirituali, poco i pericoli per la sua salvezza, poco i mezzi che deve usare per vincere le tentazioni, poco la necessità di pregare e certamente si perderà. (S. Alfonso dei Liguori) 

  La tentazione di lasciare la meditazione fu la maggiore che io ebbi ed avendola lasciata per un anno e mezzo mi ero già messa da me nell'inferno senza bisogno di demoni che mi facessero andare . Il demonio sa bene che un'anima fedele alla meditazione è perduta per Lui. (S. Teresa d' Avila) 

  La meditazione è il principio per acquistare tutte le virtù e tutti i cristiani devono praticarla. Nessuno, se Dio l'ispira a questo santo esercizio, oserà lasciarla. (S. Teresa d'Avila) 

  Quando noi pensiamo alle cose divine non per apprenderle, ma per innamorarci di esse, allora possiamo dire di fare meditazione, nella quale il nostro spirito come un'ape sacra, vola qua e là sopra i misteri della fede per estrarne il miele del divino amore. (S. Francesco di Sales) 

 Se un giorno non potete meditare, riparate questa perdita con brevi preghiere e atti d'amore, con la lettura di qualche pagina di buon libro o con qualche penitenza che impedisca la continuazione di questo difetto, rinnovando una ferma risoluzione, di non lasciarla il giorno dopo. (S. Francesco di Sales) 

  Iniziate sia l'orazione mentale che quella vocale col mettervi alla presenza di Dio, mantenete questa regola senza alcuna eccezione e in poco tempo ne sperimenterete il profitto. (S. Francesco di Sales) 


Difficoltà che incontriamo nel meditare  

  Voi mi dite che nella meditazione vi rimanete come un fantasma o una statua. Sappiate che il rimanervi così non è poco, perchè è grande felicità per noi stare alla presenza di Dio. Accontentatevi di ciò. Anche questo stare produce il suo frutto. (S. Francesco di Sales) 

  Perseverare nella meditazione senza ricavarne frutto non è tempo perduto, ma molto fruttuoso, perchè si lavora senza interesse per la sola gloria di Dio. (S. Teresa d'Avila) 

 Nella meditazione, dobbiamo sopportare con pazienza, quella folla di pensieri, di immaginazioni importune o di movimenti naturali e impetuosi, che provengono sia dall'anima per la sua aridità e dissipazione; sia dal corpo perchè non troppo sottomesso allo spirito. Ma non scorgeremo tutte queste imperfezioni se non quando Dio ci aprirà gli occhi dell'anima come usa fare con chi medita. (S. Teresa d'Avila) 

  L'uomo spirituale, quando medita, stia con attenzione amorosa in Dio e con tranquillità d'intelletto, quando non può meditare, pur sembrandogli di non far nulla. Se per questo avesse scrupoli rifletta che non sta facendo poco tenendo l'anima in pace senza bramosia o desideri(S. Giovanni della Croce) 

  Se avviene che non avete gusto o consolazione nella meditazione, vi prego di non turbarvi. Se non restate consolato per la vostra grande aridità non preoccupatevi. Continuate a stare davanti a Dio con contegno devoto e tranquillo. Egli, certamente gradirà la vostra pazienza. (S. Francesco di Sales) 

martedì 12 agosto 2014

Alla ricerca dei nostri 5 talenti interiori. Ecco come scoprirli



di Redazione ANSA 
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA 
http://www.ansa.it/sito/notizie/speciali/tempo_di_esami/2014/07/25/universita-ingegneria-ed-economia-facolta-con-piu-matricole-_0f0711e0-b0be-4c60-8e9f-f61a8c34cdb8.html 


Da uno studio americano, i consigli del Talent Coach Fiorella Pallas 

  La Gallup, società americana che studia le tendenze socio-economiche-demografiche di tutto il mondo, insieme allo psicologo Donald Clifton, ha studiato per 40 anni oltre 300.000 persone di successo di tutte le categorie sociali (studenti, casalinghe, impiegati, sportivi, liberi professionisti, top-manager, imprenditori, ecc.) per cercare di capire quali fossero le caratteristiche di pensiero, azione, comportamento che li portassero a raggiungere rapidamente i loro obiettivi. Il risultato di questo lungo studio ha portato a identificare 34 talenti e un test di 177 domande che fa emergere i 5 talenti dominanti di ogni individuo. 
  Scoprire i propri talenti è un passo importante che cambia anche la curva di apprendimento, verso una crescita esponenziale e inarrestabile. E’ stato infatti dimostrato che una persona può acquisire le competenze in qualsiasi settore, grazie ai suoi talenti, in soli 2 anni, competenze normalmente acquisibili in 10 anni. Nel mondo, oltre 1.000.000 di studenti hanno scelto questa strada per conoscersi al fine di orientare la propria vita non più a caso ma scegliendo un sentiero sicuramente più efficace. 
I TALENTI SECONDO LA CLASSIFICA GALLUP – Quali sono dunque i 5 talenti dominanti in ognuno di noi? Per scoprirlo, ecco la lista dei 34 talenti della Gallup, da leggere per identificare i propri 5. Per farlo è consigliabile chiedere anche il parere obiettivo di un amico o di qualcuno che si conosce bene. 
1 - L’IPERATTIVO (ACTIVATOR) - Ha sempre bisogno di fare qualcosa per creare progredire stimolare gli altri. Eccelle nel lanciarsi a capofitto nelle cose: quando iniziamo? 
2 - IL FLESSIBILE (ADAPTABILITY) - Dotato di scioltezza e spirito di adattamento, accoglie con facilità l’imprevisto, anche se le cose vanno diversamente dai programmi. 
3 - IL DETERMINATO (ACHIEVER) - Preciso, meticoloso, scompone i suoi progetti in tappe e obiettivi da raggiungere. Ha bisogno di evolvere in un universo prevedibile per realizzare i suoi obiettivi. 
4 - L’ANALITICO (ANALITICAL) - Analitico , logico e razionale, ama i fatti e vuole la prova di ciò che si afferma. Prende tempo e verifica tutto. Dicono di lui che è affidabile. 
5 - L’ORGANIZZATORE (ARRANGER) - è multifunzionale e gestisce diverse variabili in contemporanea per ottimizzare il risultato. Più una situazione è complessa più cerca le combinazioni di massima efficacia. 
6 - IL FOCALIZZATORE (FOCUS) - una volta presa la decisione, resta concentrato sull’obiettivo e investe tutta la sua energia finche non lo raggiunge. Può essere paragonato a un missile. 
7 - IL LEADER (COMMAND) - Sa e ama comandare, dare direttive e prendere in mano le situazioni. Il confronto, per lui, non è un problema. 
8 - IL POSITIVO (POSITIVITY) - Vede sempre il bicchiere mezzo pieno e il lato buono di ogni situazione. Eccelle nel mettere in luce ciò che è positivo. 
9 - IL RESPONSABILE (RESPONSABILITY) - il suo senso di responsabilità e dei valori, fa si che se dà la sua parola e si impegna per portare a termine il compito, costi quel che costi. Onestà rettitudine e lealtà sono i fondamenti della sua reputazione. 
10 - IL COMUNICATORE (COMMUNICATION) - Come un abile narratore, fa passare il messaggio rendendolo accattivante. Elabora la forma e non si accontenta di enunciare i fatti. 
11 - IL PERSUASIVO (WOO) - Sa convincere gli altri, persuadendoli del suo punto di vista. E’ bravo a sedurre e a vendere e soprattutto vuole piacere a tutti i costi. 
12 - IL MEDIATORE (HARMONY) - Sviluppa rapporti di collaborazione, creando armonia intorno a sé. Vuole a tutti i costi evitare le situazioni conflittuali. 

13 - L’EMPATICO (EMPATHY) - Sa mettersi al posto dell’altro e sentire ciò che prova, mantenendo la distanza necessaria per non essere travolto della emozioni altrui.
14 - IL COMPETITIVO (COMPETITION) - Confronta il livello delle sue prestazioni con quelle degli altri e ha bisogno di questo per trarre energia e motivazione poiché il suo obiettivo è essere il migliore riesce a fare sempre di più e meglio. 
15 - IL POTENZIATORE (DEVELOPER) - Riconosce il potenziale intorno a sé, sa vedere ciò che è unico e speciale nell’altro per sostenerlo ed aiutarlo a crescere. Sa vedere il potenziale e cerca modi per mettere le persone in ottica di crescita. 
16 - L’ECCELLENTE (MAXIMIZER) - L’eccellenza non è la media ma la sua misura: adora trasformare qualcosa di forte in superbo. E’ un naturale scopritore di talenti. 
17 - IL VISIONARIO (FUTURISTIC) - Ama guardare il futuro e questa immagine lo spinge ad andare avanti. E' un sognatore che vede i dettagli del domani, permettendogli di avere le visioni che gli permettono di andare avanti. 
18 - IL CREATIVO (IDEATION) - Innovativo, creativo e intelligente , le idee lo affascinano. Ama prendere il mondo come tutti lo conosciamo e rigirarlo in modo da vederlo da uno nuovo punto di vista. 
19 - LO STRATEGA (STRATEGY) - Questo modo particolare di pensare gli permette di trovare sempre le strade migliori. Vede soluzioni li dove tutti vedono complessità. 
20 - IL COLLEZIONISTA (INPUT) - E’ un curioso di natura e ama collezionare cosa tangibili, informazioni che immagazzina. E’ un ottimo archivista. 
21 - L’INTELLETTUALE (INTELLECTION) - Ama pensare, ragionare sulle cose: il piacere gli deriva dall’esercitare i suoi muscoli mentali. Ama stare da solo per andare in introspezione porsi le domande e darsi le risposte. 
22 - LO STUDIOSO (LEARNER) - Ama imparare, è il processo di apprendimento che lo interessa e non il risultato in termini di diploma o riconoscimenti. 
23 - IL CONNESSO (CONNECTEDNESS) - Crede che niente succede per caso nella vita, e che ogni cosa è collegata. Ha valori che lo guidano in ogni decisione. 
24 - IL DIFFERENZIATORE (INDIVIDUALIZATION) - Il tema lo guida ad essere intrigato dalle qualità uniche di ogni persona. Non gli piacciono le generalizzazioni perché non vuole oscurare ciò che è speciale e distinto di ognuno, mentre si focalizza sulle differenze negli individui. 
25 - IL RISERVATO (DELIBERATIVE) – Attento, vigile e riservato, sa che il mondo è imprevedibile. Sa evidenziare i rischi delle situazioni. 
26 - L’ACCOGLIENTE (INCLUDER) – Vuole sempre includere le persone per farle sentire nel gruppo. Non gli piacciono i gruppi esclusivi, tende ad evitarli. Vuole espandere il gruppo affinché tante persone possano beneficiare del suo supporto. Odia la vista di qualcuno che canta fuori dal coro. 
27 – IL SOLUTORE (RESTORATIVE) - Risolve i problemi, laddove gli altri si scoraggiano di fronte ai problemi lui si sente energizzato. Gli piace analizzare i sintomi, identificare ciò che è sbagliato e identificare le soluzioni. Gli piace riportare in vita le cose o le situazioni. 
28 - IL SICURO IN SE’ (SELF ASSURANCE) - Convinto che si risolleverà sempre, la critica non colpisce, la sua sicurezza e la fiducia in se stesso. Assomiglia al gatto che cade sempre in piedi. 
29 - IL CONTESTUALIZZATORE (CONTEST) - Ama guardare il passato per spiegare il presente. Per prendere decisioni ha bisogno di guardare indietro per capire la struttura di ciò che c’è sotto. 
30 - IL SISTEMATICO (DISCIPLINE) - Ama avere un mondo prevedibile e ordinato, quindi impone una struttura nel quale muoversi. E’ focalizzato nelle tempistiche e scadenze, è molto preciso. Vuole routine e strutture che gli permettano di mantenere il controllo sugli eventi. 
31 – IL COLLEGATORE (RELATOR) – Ama andare verso persone che già conosce per andare in profondità nelle relazioni, scrutare il dettaglio e capire tutto fino in fondo. 
32 – IL SIGNIFICATIVO (SIGNIFICANCE) – Vuole essere riconosciuto a tutti i costi, vuole essere ascoltato e apprezzato. Gli piace essere ammirato per il suo successo. E’ molto indipendente, perché vuole avere libertà d’azione. Su qualunque cosa si focalizzi, andrà verso l’alto fuori dalla mediocrità. 
33 – IL CREDENTE (BELIEF) - Ha dei forti valori, molto radicati: generalmente questo talento porta ad essere una persona con un credo molto radicato. 
34 - L’EQUO - L’equilibrio è importante, vuole che le persone siano trattate tutte allo stesso modo, ci deve essere parità di trattamento. Gli piacciono quindi le regole chiare e fare in modo che siano applicate: in questo modo tutto è prevedibile e imparziale. 

domenica 10 agosto 2014

Meditazione si dimostra efficace in caso di depressione


A cura di [lm&sdp]


Un nuovo studio afferma che la meditazione può regolare l’attività cerebrale collegata allo stress e la risposta a esso. Scansioni del cervello mostrano importanti modifiche nelle aree deputate al controllo delle emozioni. 


  Mettere a tacere la mente, o “cavalcare la tigre”, è l’obiettivo principale della meditazione, che si traduce in consapevolezza. E, sebbene raggiungere la consapevolezza sia un passo da gigante nel raggiungere l’equilibrio interiore, a livello più “materiale” praticare la meditazione può modificare l’attività cerebrale in quelle aree coinvolte nella regolazione dell’umore e gestione dello stress. Infine, secondo un nuovo studio, questa tecnica può dimezzare il rischio di avere ricadute nella depressione

  Ecco dunque quanto scoperto dai ricercatori del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford, nel Regno Unito, coordinati dal professor Mark Williams, i quali hanno condotto uno studio sugli effetti della cosiddetta Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT) sulle persone affette da depressione. 

  «La psicoterapia coinvolge i pazienti con l’analisi di pensieri e sentimenti, con la speranza che la loro comprensione possa portare qualche tipo di cambiamento. La consapevolezza [mindfulness] è parte di questo, ma coinvolge anche la meditazione», sottolinea al Daily Mail il professor Williams. I risultati di questo studio mostrano come la MBCT possa realmente agire sui processi del cervello, così come mostrato dalle scansioni per immagini prodotte durante le ricerche. 

  «La meditazione, che è una pratica antica e una parte della filosofia orientale spirituale, richiede di sedersi, di solito in silenzio, e concentrarsi su una cosa, come le sensazioni dell’inspirare e l’espirare – spiega Williams – La mente vaga, e l’invito è di tornare a focalizzare la vostra attenzione concentrando su quanto si faceva. Le persone che fanno regolarmente meditazione si sentono molto tranquille. E, per mezzo di tecniche di scansione moderne che misurano l'attività nel cervello, stiamo cominciando a capire perché». 

  Queste modifiche nell’attività cerebrale sono state individuate a seguito di studi condotti dai colleghi di Williams in Usa e Canada, che hanno fotografato quanto avviene nel cervello durante e a seguito della meditazione

  In particolare, «la meditazione aiuta a ridurre l’attività della parte del cervello chiamata amigdala, che regola i sentimenti di stress», precisa Williams – Coloro che sono più stressati e ansiosi hanno una amigdala che è iperattiva. Meditando questo evento si riduce». 

  Ma non solo: la meditazione ha un effetto anche su un’altra area del cervello detta Insula, che è coinvolta nelle emozioni più profonde, come anche l’amore, fa notare l’autore dello studio. 

  «Sappiamo da altri studi che l’insula ci permette di provare emozioni, così quando abbiamo il “cuore spezzato” sperimentiamo realmente un certo tipo di dolore – spiega ancora Williams – Normalmente l’attività in questo settore è strettamente collegata alla parte del cervello coinvolta nel pensiero analitico. Quindi, se siamo in lotta con il nostro partner, non solo ci sentiamo male, ma cominciamo a pensare al perché, che cosa tutto questo dice sul nostro rapporto e che cosa potrebbe accadere se non si riuscisse a rimediare». 

  Nelle persone che soffrono di una qualche malattia mentale – come la depressione – questo processo si amplifica, assumendo anche caratteri ossessivi. Ma tutto ciò si può prevenire. «Meditando si spezza questo ciclo – rassicura Williams – riducendo i legami tra l’insula e le parti del cervello che analizzano, come abbiamo osservato nelle scansioni cerebrali. Non blocca il pensiero o le emozioni di una persona, ma separa queste due parti del cervello, dando al paziente il controllo». 

  Ma i vantaggi derivanti dal meditare non finiscono qui e il professor Williams ricorda che nel corso di studi clinici si è scoperto come la mindfulness funzioni al pari di un antidepressivo nel prevenire le ricadute della depressione, da usare anche in contemporanea ai farmaci. 

  Insomma, essere “consapevoli” non solo fa bene a chi non soffre di disturbi mentali come la depressione, ma anche a chi sta bene o soffre di piccoli disturbi come sindrome da stress, ansia, disagio

sabato 9 agosto 2014

Demenza e Stress dei caregivers si controllano con gli esercizi olistici



di LM&SDP 



  Cure reali per la demenza ancora non si conoscono. Tuttavia esistono alcuni semplici metodi per migliorare le condizioni delle persone affette da questa patologia. 

  Spesso tali individui soffrono di depressione, oltre che di declino delle capacità fisiche e mentali. Tuttavia, l’esercizio fisico contribuirebbe a migliorare il benessere piscologico, mentale e fisico. 

  A suggerirlo sono stati gli scienziati della Teesside University che hanno elaborato un programma che combina attività cognitive a elementi di yoga, Tai chi, Qi-gong e meditazione per pazienti affetti da demenza. Questo programma di esercizi “olistici” che si focalizza sia su corpo che mente, sembra essere in grado di migliorare la qualità della vita di questo tipo di pazienti. 

  Lo studio, condotto in collaborazione con la UK Alzheimer’s Society, ha utilizzato un programma che è stato denominato “Happy Antics”. Si tratta sostanzialmente di esercizi che integrano i movimenti fisici insieme ad attività che coinvolgono il piano emozionale, l’intelletto e la spiritualità

  Si inizia con un breve esercizio cognitivo incentrato sulla foto di un oggetto e la relativa spiegazione da parte degli istruttori. I partecipanti dovevano poi parlare di tale oggetto e porre tutte le domande del caso. Terminata la prima parte del programma, si passava alla seconda fase dedicata al corpo. Quindi danza, Tai chi, yoga, Qi-gong eccetera. 

  Al termine si eseguivano esercizi di meditazione guidata, associati a quelli di respirazione. 

  Per la ricerca sono stati coinvolti quindici partecipanti di età compresa fra i 52 e gli 86 anni.
Tutte le persone coinvolte erano molto contenti di partecipare e si sono sentiti sostenuti anche dal punto di vista sociale. Molti accusavano meno dolori e asserivano di sentirsi molto più rilassati

  «Quando l’approccio benessere è applicato all’esercizio, l’esercizio olistico si sforza di incoraggiare le persone, non solo a partecipare alle attività fisiche, ma anche di prendere coscienza dei propri stati fisici e psicologici, e a eseguire l’esercizio che ritengono più mirato e significativo per loro», spiega Yvonne J-Lyn Khoo dell’Istituto di Sanità e Sociale della Teesside University

  Al termine dello studio i partecipanti hanno riferito di essere stati molto soddisfatti delle sessioni svolte; di aver migliorato la loro memoria e i movimenti associati alla musica. 

  «Le osservazioni durante la sesta sessione hanno mostrato che anche se le persone con demenza non riuscivano a ricordare quello che era accaduto durante le sessioni precedenti, 6 persone affette da demenza che hanno partecipato alle sessioni di allenamento olistico potevano anticipare i movimenti fisici associati alla musica specifica, e tre persone con demenza sono state in grado per ricordare la sequenza dei movimenti fisici», sottolinea la dott.ssa Khoo. 

  Il programma Happy Antics ha incluso la partecipazione dei caregivers – ovvero dei familiari che generalmente si prendono cura del malato. Anche la presenza di tali persone sembra aver influito positivamente sul risultato della sessione.

  «Questo suggerisce che la partecipazione all’esercizio olistico può offrire qualche sollievo degli oneri anche per i caregivers che devono affrontare molte sfide nel fornire assistenza per i pazienti con demenza, tra cui disagio fisico e psicologico», aggiunge Khoo. 

  «Il programma Happy Antics è stato in grado di stimolare e coinvolgere le persone con demenza nell’esercizio, così come fornire un ambiente di apprendimento sociale e offrire potenziali benefici psicologici», ha concluso la dott.ssa Khoo. 

 I risultati dello studio sono stati pubblicati sul Journal of Bodywork and Movement Therapies.

venerdì 8 agosto 2014

La sofferenza distrugge le maschere



di Lidia Vitale 

In antitesi alla corrente che identifica la psichiatria nell’area delle neuroscienze tout court, lo psichiatra fenomenologico Eugenio Borgna (2003) ne rivendica la natura etica di scienza umana. 


 Ogni funzione psichica non può esaurirsi in funzioni cerebrali, come sostenuto dalle neuroscienze
  Per le neuroscienze, ci sono disturbi psichici condizionati geneticamente, e ci sono disturbi psichici (mentali) condizionati, invece, nella loro insorgenza da fattori ambientali; ma gli uni e gli altri sono reciprocamente intrecciati. In ciascuna malattia psichica, secondo Kandel, le condizioni genetiche e quelle ambientali sono diversamente rappresentate: talora prevalendo le une e talora le altre. 
  In ogni caso, al di là delle loro componenti ereditarie, o ambientali, i disturbi psichici non sono se non la risultante fatale di modificazioni strutturali nei contesti cerebrali. 
  In questo discorso non ci sarebbe, in accordo col filosofo Carlo Sini, traccia di riflessione e, tanto meno, di una spiegazione del miracolo attraverso cui l’oggettivo diventa soggettivo, attraverso cui l’insieme di “fatti”, accertabili neuroscientificamente, si “trasformi” nei “significati” che essi dovrebbero spiegare, chiarire, indicare nel loro fondamento. 
  Un po’ come se si pretendesse di definire in maniera compiuta un “orgasmo” a partire dalla elencazione delle componenti fisiologiche di: risposte fisiche, trasformazioni corporali, produzioni, restringimenti, contrazioni… Senza accenno alcuno alla complessità emotiva, al coinvolgimento psicologico e allo stravolgimento di pensieri, sensi, sentimenti ed emozioni che una esperienza totale e limite come quella, inevitabilmente comporta. 
 La psichiatria non può risolversi e dissolversi nella neurologia, o nella neurobiologia
  Kurt Schneider a proposito ha affermato: «Si è cercato d’indagare il cervello come l’organo della vita psichica: si è creduto di avere trovata la via che doveva condurre, alla fine, alla localizzazione e ad una spiegazione dei disturbi psichici, e di conseguenza ad una articolazione scientifico-naturale delle malattie psichiche»; e ancora, radicalmente «…Con la introduzione della tecnica microscopica cresceva la speranza di una psichiatria fondata sull’anatomia: dalla quale il concetto di anima scomparisse sempre più». 
  La soluzione più semplice al disturbo psichico indicherebbe nell’uso del farmaco l’unico razionale terapeutico. Intervenire sulla capacità neurotrasmettitoriale cerebrale, sulla recettorialità dei modulatori cerebrali, favorirebbe certamente un riassetto elettrolitico ma non raggiungerebbe il cuore del problema: il groviglio di significati, ambivalenze, confusioni, solitudini e delusioni che caratterizzano il travaglio mentale di una persona sofferente e che solo il dialogo e il confronto, la relazione e la condivisione possono far estrinsecare
  Il farmaco uniformerebbe i modi di vivere ed elaborare gli eventi della vita, sottraendoli ad ogni risonanza emozionale, tentando di cicatrizzare le ferite dell’anima, raggelando sensibilità e fragilità che sono in noi. 
  Il tentativo di cogliere e condividere la qualità dell’esperienza diventa allora un tentativo coraggioso non solo per i professionisti ma anche per tutti coloro che si trovano ad affrontare da vicino una malattia psichica
  Borgna conclude sostenendo che: «…Non è possibile, forse, accostarsi al segreto delle anime ferite dalla sofferenza (dall’angoscia e dalla tristezza, dalla dissociazione e dalla ossessività, dal desiderio di morire e dalle inquietudini del cuore) se non siamo capaci di cogliere la sofferenza come la nostra possibile sofferenza: partecipando ad essa e ri-conoscendola nella sua dimensione umana, e nella sua inemendabile dignità».