Dipartimento di Psicologia
Sapienza Università di Roma
1. Introduzione
Lo studio scientifico della meditazione, e della meditazione buddhista in particolare, è stato caratterizzato da uno straordinario sviluppo negli ultimi anni. A tale sviluppo hanno contribuito vari fattori, a partire dalla disponibilità di tecniche di ricerca sempre più raffinate e fruibili, con particolare riferimento alle tecniche di neuroimmagine. Ha inoltre contribuito il coinvolgimento di laboratori di ricerca di primo piano, come il laboratorio di “affective neuroscience” di Richard Davidson, con un ruolo importante di Antoine Lutz (allievo di Francisco Varela) al suo interno, così come l'accesso a pubblicazione su riviste ad alto impatto (come sulla rivista prestigiosa “Proceedings of the National Academy of Sciences U.S.A.”).
Un ruolo importante per la promozione di tali ricerche è stato poi esercitato dal Dalai Lama, da sempre interessato all'incontro con la scienza, e in particolare dal Mind & Life Institute (http://www.mindandlife.org/) di cui egli è stato fondatore con Francisco Varela, filosofo, scienziato e praticante buddhista tibetano, e nel quale lo stesso Richard Davidson è una presenza importante. Sul versante del buddhismo tibetano, anche Mattieu Ricard, un lama tibetano con una solida formazione di ricerca scientifica, ha svolto un ruolo importante.
Altri studiosi e autori di bestseller, come Daniel Goleman, che in particolare ha collaborato con il Dalai Lama scrivendo ben noti libri su emozioni negative (Goleman e Dalai Lama, 2003) e salutari (Dalai Lama e Goleman, 2009), hanno contribuito a diffondere conoscenze sulla meditazione e le pratiche contemplative, con particolare riferimento a pratiche di ispirazione buddhista.
Anche contemplativi buddhisti di altre tradizioni, come ad esempio Ajahn Amaro per il buddhismo Theravada e Joan Halifax Roshi per lo Zen, hanno portato importanti contributi negli incontri di dialogo tra buddhismo e scienza negli ultimi anni.
Occorre inoltre menzionare l'importante influenza degli straordinari sviluppi recenti connessi ai protocolli basati sulla mindfulness, a partire dal programma di Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR) ideato da Jon Kabat-Zinn (si vedano, ad es., Kabat-Zinn, 1990, 2006) con una particolare ispirazione dal Satipatthana Sutta, che hanno portato a numerosi studi sia clinici che psicologici e neuroscientifici (Segal e al., 2006), oltre che ispirare notevolmente la pratica della meditazione e della presenza mentale in Occidente. Lo stesso Jon Kabat- Zinn è una figura di primo piano nel Mind & Life Institute.
In questo articolo introduttivo selezioneremo alcuni aspetti di particolare interesse nell'ormai vasta letteratura sulle neuroscienze della meditazione buddhista e aspetti associati, presentando alcune considerazioni sintetiche e “take-home messages”, per poi focalizzarci su studi recenti che abbiamo condotto con la gentile e molto apprezzata partecipazione dei monaci del Santacittarama e monasteri associati, in collaborazione con l'ITAB - Istituto di Tecnologie Biomediche Avanzate - di Chieti. Saranno infine forniti riferimenti bibliografici e sitografici per eventuali approfondimenti.
2. Una panoramica sui correlati neurali della meditazione buddhista
Si può essere curiosi su diversi aspetti dei correlati neurali della meditazione buddhista. Ad esempio, ci si può chiedere se vi sia una singola area o poche aree del cervello ad attivarsi e modificarsi con la meditazione, in relazione all'attenzione, alla consapevolezza o alla compassione, o se invece sia tutto il cervello ad essere coinvolto e a modificarsi.
Le evidenze a questo riguardo (Lutz e al., 2007, 2008; Manna e al., 2010; Raffone e Srinivasan, 2010) mettono in luce una “via di mezzo”, ovvero al di là sia di una visione localista che di una visione olistica. Sembra infatti che la meditazione, o meglio diversi aspetti di essa, portino a modificazioni delle attività e della struttura di insiemi di aree cerebrali interagenti, ovvero di networks o sistemi funzionali, piuttosto che di una singola area-chiave o al contrario di un vasto insieme indifferenziato di regioni cerebrali.
Ci si potrebbe poi chiedere se tali attività o modificazioni neurali coinvolgano regioni del cervello più “arcaiche”, come quelle del sistema limbico connesse alle emozioni e alla regolazione del corpo - oppure più cognitive e “raffinate” acquisite più di recente nell'evoluzione, come la corteccia prefrontale - che più ci differenzia dagli altri animali, inclusi altri primati - e che può essere messa in relazione a intelligenza fluida, pianificazione e controllo cognitivo.
O ancora se la meditazione influenza regioni “profonde” del cervello, con una funzione basale, come i nuclei del talamo o strutture tronco-encefaliche connesse alla regolazione del ciclo-sonno veglia e alla vigilanza.
Oppure se sia più coinvolto l'emisfero sinistro o l'emisfero destro del cervello, o se siano coinvolti entrambi. Ci si può inoltre chiedere quali ritmi cerebrali, come ad esempio i ritmi teta e alfa, siano più coinvolti nella meditazione. O se vi siano correlati neurali universali per tutti i tipi di meditazione, o se vi sono correlati specifici per ciascun tipo o forma di meditazione.
Uno sguardo panoramico alle evidenze al riguardo connesse alla meditazione buddhista indica che l'attenzione (“concentrazione”) e la consapevolezza meditative coinvolgono e portano ad un aumentato funzionamento aree cerebrali a diversi livelli, sia corticali che sotto-corticali, includendo aree sensoriali come la corteccia somatosensoriale, aree deputate a risposte emotive rapide come l'amigdala, connesse alla memoria episodica come l'ippocampo, connesse al controllo dell'attenzione e cognitivo come il cingolo anteriore e la corteccia prefrontale dorsolaterale, al monitoraggio e alla riflessione indipendente da stimoli come la corteccia prefrontale anteriore, alla consapevolezza del corpo (interocezione), feeling e stati mentali come l'insula (in particolare anteriore destra) (si vedano ad esempio: Hoelzel e al., 2011; Lazar e al., 2005; Lutz e al., 2008a; Manna e al., 2010; Siegel, 2009).
Inoltre, diversi studi indicano che la pratica di meditazione buddhista e la presenza mentale regolano e modulano la rete del cervello preposta ad elaborazioni cognitive connesse al sé, ovvero la “default mode network” (Raichle e al., 2001). Tale network appare coinvolta nel mind wandering (divagare della mente), e quando vi sono proiezioni riferite al sé nel passato
Un ruolo importante per la promozione di tali ricerche è stato poi esercitato dal Dalai Lama, da sempre interessato all'incontro con la scienza, e in particolare dal Mind & Life Institute (http://www.mindandlife.org/) di cui egli è stato fondatore con Francisco Varela, filosofo, scienziato e praticante buddhista tibetano, e nel quale lo stesso Richard Davidson è una presenza importante. Sul versante del buddhismo tibetano, anche Mattieu Ricard, un lama tibetano con una solida formazione di ricerca scientifica, ha svolto un ruolo importante.
Altri studiosi e autori di bestseller, come Daniel Goleman, che in particolare ha collaborato con il Dalai Lama scrivendo ben noti libri su emozioni negative (Goleman e Dalai Lama, 2003) e salutari (Dalai Lama e Goleman, 2009), hanno contribuito a diffondere conoscenze sulla meditazione e le pratiche contemplative, con particolare riferimento a pratiche di ispirazione buddhista.
Anche contemplativi buddhisti di altre tradizioni, come ad esempio Ajahn Amaro per il buddhismo Theravada e Joan Halifax Roshi per lo Zen, hanno portato importanti contributi negli incontri di dialogo tra buddhismo e scienza negli ultimi anni.
Occorre inoltre menzionare l'importante influenza degli straordinari sviluppi recenti connessi ai protocolli basati sulla mindfulness, a partire dal programma di Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR) ideato da Jon Kabat-Zinn (si vedano, ad es., Kabat-Zinn, 1990, 2006) con una particolare ispirazione dal Satipatthana Sutta, che hanno portato a numerosi studi sia clinici che psicologici e neuroscientifici (Segal e al., 2006), oltre che ispirare notevolmente la pratica della meditazione e della presenza mentale in Occidente. Lo stesso Jon Kabat- Zinn è una figura di primo piano nel Mind & Life Institute.
In questo articolo introduttivo selezioneremo alcuni aspetti di particolare interesse nell'ormai vasta letteratura sulle neuroscienze della meditazione buddhista e aspetti associati, presentando alcune considerazioni sintetiche e “take-home messages”, per poi focalizzarci su studi recenti che abbiamo condotto con la gentile e molto apprezzata partecipazione dei monaci del Santacittarama e monasteri associati, in collaborazione con l'ITAB - Istituto di Tecnologie Biomediche Avanzate - di Chieti. Saranno infine forniti riferimenti bibliografici e sitografici per eventuali approfondimenti.
2. Una panoramica sui correlati neurali della meditazione buddhista
Si può essere curiosi su diversi aspetti dei correlati neurali della meditazione buddhista. Ad esempio, ci si può chiedere se vi sia una singola area o poche aree del cervello ad attivarsi e modificarsi con la meditazione, in relazione all'attenzione, alla consapevolezza o alla compassione, o se invece sia tutto il cervello ad essere coinvolto e a modificarsi.
Le evidenze a questo riguardo (Lutz e al., 2007, 2008; Manna e al., 2010; Raffone e Srinivasan, 2010) mettono in luce una “via di mezzo”, ovvero al di là sia di una visione localista che di una visione olistica. Sembra infatti che la meditazione, o meglio diversi aspetti di essa, portino a modificazioni delle attività e della struttura di insiemi di aree cerebrali interagenti, ovvero di networks o sistemi funzionali, piuttosto che di una singola area-chiave o al contrario di un vasto insieme indifferenziato di regioni cerebrali.
Ci si potrebbe poi chiedere se tali attività o modificazioni neurali coinvolgano regioni del cervello più “arcaiche”, come quelle del sistema limbico connesse alle emozioni e alla regolazione del corpo - oppure più cognitive e “raffinate” acquisite più di recente nell'evoluzione, come la corteccia prefrontale - che più ci differenzia dagli altri animali, inclusi altri primati - e che può essere messa in relazione a intelligenza fluida, pianificazione e controllo cognitivo.
O ancora se la meditazione influenza regioni “profonde” del cervello, con una funzione basale, come i nuclei del talamo o strutture tronco-encefaliche connesse alla regolazione del ciclo-sonno veglia e alla vigilanza.
Oppure se sia più coinvolto l'emisfero sinistro o l'emisfero destro del cervello, o se siano coinvolti entrambi. Ci si può inoltre chiedere quali ritmi cerebrali, come ad esempio i ritmi teta e alfa, siano più coinvolti nella meditazione. O se vi siano correlati neurali universali per tutti i tipi di meditazione, o se vi sono correlati specifici per ciascun tipo o forma di meditazione.
Uno sguardo panoramico alle evidenze al riguardo connesse alla meditazione buddhista indica che l'attenzione (“concentrazione”) e la consapevolezza meditative coinvolgono e portano ad un aumentato funzionamento aree cerebrali a diversi livelli, sia corticali che sotto-corticali, includendo aree sensoriali come la corteccia somatosensoriale, aree deputate a risposte emotive rapide come l'amigdala, connesse alla memoria episodica come l'ippocampo, connesse al controllo dell'attenzione e cognitivo come il cingolo anteriore e la corteccia prefrontale dorsolaterale, al monitoraggio e alla riflessione indipendente da stimoli come la corteccia prefrontale anteriore, alla consapevolezza del corpo (interocezione), feeling e stati mentali come l'insula (in particolare anteriore destra) (si vedano ad esempio: Hoelzel e al., 2011; Lazar e al., 2005; Lutz e al., 2008a; Manna e al., 2010; Siegel, 2009).
Inoltre, diversi studi indicano che la pratica di meditazione buddhista e la presenza mentale regolano e modulano la rete del cervello preposta ad elaborazioni cognitive connesse al sé, ovvero la “default mode network” (Raichle e al., 2001). Tale network appare coinvolta nel mind wandering (divagare della mente), e quando vi sono proiezioni riferite al sé nel passato
oppure nel futuro, e vari tipi di identificazioni connesse a propri processi mentali o rappresentazioni di stati mentali altrui.
Non a caso diversi studi mostrano che la meditazione buddhista rende le operazioni di tale network cerebrale più flessibili e regolate, con meno condizionamento da parte del divagare della mente sulla cognizione, sull'umore e sugli stati mentali, ed identificazione con i processi mentali e aspetti del flusso dell'esperienza (Dor-Ziderman e al., 2013; Pagnoni e al., 2008).
Pertanto, le evidenze neuroscientiche indicano che la meditazione buddhista aumenta le abilità di regolazione cognitiva ed emotiva, regolando in particolare stati mentali disfunzionali e condizionati da stati di stress, ansia, umore negativo e, in modo più sottile ma non meno pervadente - da processi di identificazione e attaccamento.
Tali riscontri neuroscientifici appaiono in linea con le diverse evidenze di efficacia di programmi basati sulla mindfulness sulla riduzione dello stress, dell'ansia (inclusi attacchi di panico), della depressione (in particolare attraverso il programma di Mindfulness Based Cognitive Therapy - MBCT – Segal e al., 2006), fino ad applicazioni focalizzate (con alcuni aspetti di focus nel training e l'integrazione di particolari aspetti psicoeducativi) al trattamento di disturbi alimentari, dipendenze, disturbo post-traumatico da stress (Didonna, 2012; Segal e al., 2006).
Non a caso diversi studi mostrano che la meditazione buddhista rende le operazioni di tale network cerebrale più flessibili e regolate, con meno condizionamento da parte del divagare della mente sulla cognizione, sull'umore e sugli stati mentali, ed identificazione con i processi mentali e aspetti del flusso dell'esperienza (Dor-Ziderman e al., 2013; Pagnoni e al., 2008).
Pertanto, le evidenze neuroscientiche indicano che la meditazione buddhista aumenta le abilità di regolazione cognitiva ed emotiva, regolando in particolare stati mentali disfunzionali e condizionati da stati di stress, ansia, umore negativo e, in modo più sottile ma non meno pervadente - da processi di identificazione e attaccamento.
Tali riscontri neuroscientifici appaiono in linea con le diverse evidenze di efficacia di programmi basati sulla mindfulness sulla riduzione dello stress, dell'ansia (inclusi attacchi di panico), della depressione (in particolare attraverso il programma di Mindfulness Based Cognitive Therapy - MBCT – Segal e al., 2006), fino ad applicazioni focalizzate (con alcuni aspetti di focus nel training e l'integrazione di particolari aspetti psicoeducativi) al trattamento di disturbi alimentari, dipendenze, disturbo post-traumatico da stress (Didonna, 2012; Segal e al., 2006).
E' inoltre notevole che la pratica meditativa, e in particolare la meditazione buddhista, sia particolarmente correlata ad aree cerebrali connesse sia alla regolazione cognitiva, che a quella emotiva, e alla regolazione di stati del corpo. Quindi delle vere e proprie interfacce tra emozioni e cognizione, e tra regolazione di stati mentali e corporei.
Tra queste aree si possono certamente annoverare il cingolo anteriore e l'insula anteriore, aree di origine evolutiva non recente ma notevolmente riadattate ed evolute negli esseri umani. In particolare, tali aree negli umani includono i cosiddetti neuroni di von Economo, capaci di stabilire connessioni a distanza mediando influenze di stati su larga scala nel cervello. In linea con le prospettive di alcuni autori (Allman e al., 2001; Craig, 2009), riterrei che tali neuroni possano giocare un ruolo chiave nel mediare l'influenza di stati mentali sui pensieri e sulle azioni. Ad esempio, l'influenza di stati mentali negativi o non-salutari come la rabbia, o l'influenza di stati mentali positivi o giovevoli come la serenità. Tali neuroni appaiono inoltre alterati negli autistici (Allman e al., 2005), e si ritrovano, comunque in misura minore e in configurazioni diverse, in altri animali con riconosciuta sensibilità come altri primati superiori, delfini ed elefanti (Butti e al., 2009; Hakeem e al., 2009; Nimchinsky e al., 1999). Interessante notare che si tratta di soggetti di diverse specie in grado di auto-riconoscersi allo specchio (si veda Perconti, 2008)!
In questa prospettiva, non sorprende quindi che tali aree-chiave di interfaccia tra mente e corpo, tra emozioni e cognizioni, e connesse all'influenza di stati mentali sul pensiero, sulla coscienza e sull'azione, siano correlate alla meditazione buddhista e da essa modificate! Ad esempio, uno studio recente (Hasenkamp e al., 2012) ha evidenziato che tali aree si attivano quando si diventa consapevoli della distrazione nella meditazione. Altre aree connesse come la corteccia prefrontale dorsolaterale si attiverebbero per ritornare sul focus meditativo e sostenere l'attenzione su di esso.
Il cingolo anteriore e l'insula anteriore compongono la cosiddetta “salience network” (Seeley e al., 2007), e sono plausibilmente in grado di rilevare eventi e stati mentali salienti, come ad esempio nella meditazione di consapevolezza. Tali operazioni sarebbero favorite, in termini di precisione e rapidità, da uno stato mentale di calma concentrata (Samatha), plausibilmente correlato a uno stato coerente di attività oscillatoria in aree cerebrali distanti, che faciliterebbe la trasmissione di segnali salienti a distanza nel cervello (Lutz e al., 2004; si veda anche Lutz e al., 2008a). Infine, è interessante notare che sia il cingolo anteriore che l'insula anteriore sono connesse alla regolazione ed esperienza del respiro (Evans e al., 2009), un aspetto spesso cruciale della pratica meditativa.
E' interessante notare che la meditazione di consapevolezza coinvolge aree prefrontali del cervello (Lazar e al., 2005; Manna e al., 2010) messe in relazione al pensiero indipendente da stimoli e ad elaborazioni riflessive (Burgess e al., 2007; Raffone & Srinivasan, 2009). Più plausibilmente, nella meditazione di consapevolezza tali aree supportano l'accesso consapevole e l'investigazione introspettiva di contenuti dell'esperienza e processi mentali, in modo (non necessariamente) mediato da elaborazioni discorsive, e comunque rapido e temporalmente correlato al flusso di esperienza di cui si ha consapevolezza nel suo svolgersi.
Si potrebbe pertanto ipotizzare che nella meditazione di consapevolezza tali aree riflessive siano funzionalmente e dinamicamente connesse ad aree come il cingolo anteriore e l'insula anteriore connesse in modo più diretto a contenuti di esperienza come stati del corpo (primo fondamento o pilastro della presenza mentale, in riferimento al discorso del Buddha sui fondamenti della presenza mentale – Satipatthana Sutta, in Majjhima Nikaya n. 10), feeling (secondo fondamento della presenza mentale) e stati mentali (terzo fondamento della presenza mentale).
Le elaborazioni cerebrali connesse al quarto fondamento della presenza mentale, ovvero i condizionamenti, la loro natura e le comprensioni connesse, potrebbe più plausibilmente coinvolgere aree connesse ad elaborazioni riflessive di alto livello, come ad esempio aree prefrontali laterali, in particolare, sinistre anteriori. Interessante infine notare che aree come il cingolo anteriore e l'insula anteriore, così come i neuroni di von Economo, sono stati messi in relazione all'intuizione, basata su un accesso a stati del corpo e feeling connessi (Allman e al., 2005), e si potrebbe quindi pensare una loro implicazione nella consapevolezza intuitiva che si sviluppa nella meditazione di consapevolezza.
L'insula anteriore e il cingolo anteriore sono inoltre coinvolti nell'esperienza del dolore, e in particolare nell'aspetto soggettivo o secondario di tale esperienza (a livello del terzo e quarto fondamento della presenza mentale) (Baliki e al., 2009; Vogt e Sikes, 2000).
Altre regioni quali aree corticali somatosensoriali e l'insula posteriore sono implicate nell'esperienza sensoriale diretta del dolore (primo fondamento della presenza mentale), ed altre come l'amidgala nel feeling spiacevole (secondo fondamento della presenza mentale) dell'esperienza dolorosa.
E' stato trovato (Zeidan e al., 2011) che la pratica meditativa sul respiro (per solo 20 minuti al giorno per 4 giorni!) modifica le risposte del cingolo anteriore e dell'insula anteriore connesse all'esperienza soggettiva del dolore, come stato mentale condizionato, mentre le risposte di aree di livello più basso connesse alle sensazioni fisiche e al feeling correlato non verrebbero modificate. Questa evidenza si allontana da un pregiudizio comune sulla meditazione, considerata erroneamente come un metodo per isolarsi, astrarsi o anestetizzarsi. Piuttosto, cambia il modo di rispondere della mente (cervello) a determinati input, che vengono comunque ricevuti ed elaborati nelle loro caratteristiche dirette o “bottom-up”!
Sulla stessa linea, e' stato evidenziato (Lutz e al., 2008b) che la meditazione di compassione non blocca l'elaborazione di input dolorosi relativi ad un'altra persona, anzi al contrario intensificandoli nelle loro caratteristiche dirette e di feeling (a livello dell'amigdala), ma in presenza di attivazioni di aree cerebrali connesse all'empatia e alla condivisione emotiva (diversa comunque dal contagio emotivo!), che non a caso includono l'insula anteriore, che come abbiamo visto sopra è una plausibile area-chiave della mindfulness.
A questo riguardo, appare notevole che aree cerebrali a substrato della presenza mentale siano anche coinvolte nell'esperienza empatica e compassionevole (o di “Metta”). Tale evidenza sembra in linea con il punto di vista che la capacità di entrare in contatto con proprie emozioni e stati mentali, e di comprenderli, sviluppata attraverso la pratica di consapevolezza o mindfulness, sia correlata alla capacità empatica (o simpatetica) di “mettersi nei panni degli altri”, e di comprenderli (si veda anche Wallace,2001). Al riguardo, in training di psicoterapia è nota la difficoltà di cogliere e comprendere aspetti dell'altro che si ha difficoltà a comprendere e riconoscere in sé stessi.
Anche se per la funzione dell'attenzione sostenuta nella meditazione appare più rilevante l'emisfero destro, le evidenze mostrano un coinvolgimento di aree di entrambi gli emisferi nella meditazione, non necessariamente con un coinvolgimento bilaterale per le diverse aree, e che dipende in ogni caso dal tipo di compito studiato, soggetti e forma di meditazione (si vedano ad es., Cahn e Polich, 2006; Lutz e al., 2008a).
Vi sono infine diverse evidenze di coinvolgimento di differenti ritmi cerebrali nella meditazione, inclusi ritmi delta, alfa, teta, beta e gamma, anche in questo caso in funzione del contesto degli studi, dei soggetti, delle forme di meditazione e delle regioni cerebrali osservate (si veda, ad es., Cahn e Polich, 2006).
E' interessante notare che la meditazione di consapevolezza coinvolge aree prefrontali del cervello (Lazar e al., 2005; Manna e al., 2010) messe in relazione al pensiero indipendente da stimoli e ad elaborazioni riflessive (Burgess e al., 2007; Raffone & Srinivasan, 2009). Più plausibilmente, nella meditazione di consapevolezza tali aree supportano l'accesso consapevole e l'investigazione introspettiva di contenuti dell'esperienza e processi mentali, in modo (non necessariamente) mediato da elaborazioni discorsive, e comunque rapido e temporalmente correlato al flusso di esperienza di cui si ha consapevolezza nel suo svolgersi.
Si potrebbe pertanto ipotizzare che nella meditazione di consapevolezza tali aree riflessive siano funzionalmente e dinamicamente connesse ad aree come il cingolo anteriore e l'insula anteriore connesse in modo più diretto a contenuti di esperienza come stati del corpo (primo fondamento o pilastro della presenza mentale, in riferimento al discorso del Buddha sui fondamenti della presenza mentale – Satipatthana Sutta, in Majjhima Nikaya n. 10), feeling (secondo fondamento della presenza mentale) e stati mentali (terzo fondamento della presenza mentale).
Le elaborazioni cerebrali connesse al quarto fondamento della presenza mentale, ovvero i condizionamenti, la loro natura e le comprensioni connesse, potrebbe più plausibilmente coinvolgere aree connesse ad elaborazioni riflessive di alto livello, come ad esempio aree prefrontali laterali, in particolare, sinistre anteriori. Interessante infine notare che aree come il cingolo anteriore e l'insula anteriore, così come i neuroni di von Economo, sono stati messi in relazione all'intuizione, basata su un accesso a stati del corpo e feeling connessi (Allman e al., 2005), e si potrebbe quindi pensare una loro implicazione nella consapevolezza intuitiva che si sviluppa nella meditazione di consapevolezza.
L'insula anteriore e il cingolo anteriore sono inoltre coinvolti nell'esperienza del dolore, e in particolare nell'aspetto soggettivo o secondario di tale esperienza (a livello del terzo e quarto fondamento della presenza mentale) (Baliki e al., 2009; Vogt e Sikes, 2000).
Altre regioni quali aree corticali somatosensoriali e l'insula posteriore sono implicate nell'esperienza sensoriale diretta del dolore (primo fondamento della presenza mentale), ed altre come l'amidgala nel feeling spiacevole (secondo fondamento della presenza mentale) dell'esperienza dolorosa.
E' stato trovato (Zeidan e al., 2011) che la pratica meditativa sul respiro (per solo 20 minuti al giorno per 4 giorni!) modifica le risposte del cingolo anteriore e dell'insula anteriore connesse all'esperienza soggettiva del dolore, come stato mentale condizionato, mentre le risposte di aree di livello più basso connesse alle sensazioni fisiche e al feeling correlato non verrebbero modificate. Questa evidenza si allontana da un pregiudizio comune sulla meditazione, considerata erroneamente come un metodo per isolarsi, astrarsi o anestetizzarsi. Piuttosto, cambia il modo di rispondere della mente (cervello) a determinati input, che vengono comunque ricevuti ed elaborati nelle loro caratteristiche dirette o “bottom-up”!
Sulla stessa linea, e' stato evidenziato (Lutz e al., 2008b) che la meditazione di compassione non blocca l'elaborazione di input dolorosi relativi ad un'altra persona, anzi al contrario intensificandoli nelle loro caratteristiche dirette e di feeling (a livello dell'amigdala), ma in presenza di attivazioni di aree cerebrali connesse all'empatia e alla condivisione emotiva (diversa comunque dal contagio emotivo!), che non a caso includono l'insula anteriore, che come abbiamo visto sopra è una plausibile area-chiave della mindfulness.
A questo riguardo, appare notevole che aree cerebrali a substrato della presenza mentale siano anche coinvolte nell'esperienza empatica e compassionevole (o di “Metta”). Tale evidenza sembra in linea con il punto di vista che la capacità di entrare in contatto con proprie emozioni e stati mentali, e di comprenderli, sviluppata attraverso la pratica di consapevolezza o mindfulness, sia correlata alla capacità empatica (o simpatetica) di “mettersi nei panni degli altri”, e di comprenderli (si veda anche Wallace,2001). Al riguardo, in training di psicoterapia è nota la difficoltà di cogliere e comprendere aspetti dell'altro che si ha difficoltà a comprendere e riconoscere in sé stessi.
Anche se per la funzione dell'attenzione sostenuta nella meditazione appare più rilevante l'emisfero destro, le evidenze mostrano un coinvolgimento di aree di entrambi gli emisferi nella meditazione, non necessariamente con un coinvolgimento bilaterale per le diverse aree, e che dipende in ogni caso dal tipo di compito studiato, soggetti e forma di meditazione (si vedano ad es., Cahn e Polich, 2006; Lutz e al., 2008a).
Vi sono infine diverse evidenze di coinvolgimento di differenti ritmi cerebrali nella meditazione, inclusi ritmi delta, alfa, teta, beta e gamma, anche in questo caso in funzione del contesto degli studi, dei soggetti, delle forme di meditazione e delle regioni cerebrali osservate (si veda, ad es., Cahn e Polich, 2006).
3. Neuroplasticità e meditazione buddhista
L'insegnamento del Buddha mette in luce che la mente è modificabile, “malleabile”, suscettibile di addestramento, con un ruolo chiave giocato dalle pratiche meditative. Non a caso nella letteratura scientifica si parla di “mental training” a tale proposito. Sul versante neurale, si parla di neuroplasticità, ovvero la possibilità di cambiamenti neurali funzionali e strutturali che hanno luogo sia a livello di aree che di networks o sistemi di aree cerebrali interagenti.
Ci si può quindi chiedere quanto tempo sia necessario per osservare dei cambiamenti nelle attività e strutture cerebrali correlati alla pratica meditativa. Credo che le diverse evidenze neuroscientifiche indichino che si osservano modificazioni neurali su diverse scale di tempo connesse alla pratica meditativa.
Vi sono studi che mostrano cambiamenti nelle attivazioni cerebrali dopo solo 4 giorni di pratica meditativa (20 minuti al giorno), nella modulazione dell'esperienza del dolore (Zeidan e al., 2011).
Sulla stessa linea, è stato evidenziato che 5 giorni di pratica meditativa (20 minuti al giorno) portano a modificazioni del controllo attentivo, della risposta fisiologica allo stress (cortisolo) e dell'attività del sistema immunitario (Tang e al., 2007).
Altri studi mostrano cambiamenti marcati in diversi processi cognitivi e di regolazione emotiva connessi ai protocolli MBSR e MBCT di otto settimane, correlati a modificazioni di attivazioni e ritmi cerebrali (Farb e al., 2007; Moore e Malinowski, 2009; Segal e al., 2006).
E' stato evidenziato che in 8 settimane non solo cambiano le attivazioni e ritmi di aree cerebrali, ma anche la struttura di tali aree in termini di spessore di materia grigia, come nel caso dell'amigdala (Hoelzel e al., 2011).
Un altro studio ha mostrato marcati cambiamenti a livello di processi attentivi e di accesso cosciente, e di attività neurali connesse, dopo un ritiro di tre mesi in media 8 ore al giorno (Slagter e al., 2007).
Allo stesso tempo, tuttavia, studi mostrano marcate differenze nelle attivazioni cerebrali quando si confrontano esperti con alcune migliaia di ore di expertise meditativa (ad es., con una media di 16.000 ore) con praticanti con alcune decine di miglia di ore di expertise meditativa (ad es., con una media di 44.000 ore) (Brefczynski e al., 2007).
Allo stesso tempo vi sono apparenti differenze tra processi cognitivi (ad es., reti attentive) di soggetti dopo un training di mindfulness di 8 settimane e meditanti di consapevolezza a lungo termine (van den Hurk e al., 2009; Jha e al., 2007).
Studi (ad es., Lutz e al., 2004) mostrano che attività cerebrali, come ad esempio ritmi di regioni del cervello, cambiano sia in funzione della expertise meditativa (tratti) che di stati meditativi. Ovvero, la pratica meditativa porta a cambiamenti stabili in certe attività cerebrali, fuori dalla condizione meditativa (“off the cushion”), ad es. correlate alla consapevolezza o alla compassione, che vengono amplificati dallo stato meditativo ad essi correlato.
E' stata evidenziata una correlazione tra le attività neurali correlate alla meditazione e l'expertise meditativa, anche in baseline, ovvero nell'attività cerebrale misurata a riposo fuori dalla condizione meditativa (Lutz e al., 2004). Questa evidenza sperimentale conferma le evidenze di pratica di cambiamenti in disposizioni o tratti come la calma concentrata, la consapevolezza e la compassione non limitati solo ai periodi di meditazione formale, ma estesi alla vita quotidiana. Così come sembrano plausibilmente indicare che stati mentali giovevoli sviluppati nelle attività informali della vita quotidiana, in base a consapevolezza, saggezza e compassione (metta), si riverberano positivamente nella pratica meditativa formale, e viceversa.
Uno studio (Lazar e al., 2005) ha mostrato una minore riduzione di spessore in diverse aree corticali con l'invecchiamento in meditanti a lungo termine (laici) di Vipassana. Tali aree includevano aree prefrontali laterali e l'insula anteriore. Questo tipo di evidenza appare suggerire che la meditazione di consapevolezza contrasta effetti di invecchiamento cerebrale e cognitivo ad esso associato. Appare inoltre di interesse verificare se e quanto essa possa essere protettiva o di supporto rispetto all'insorgere di demenze.
In ogni caso, anche se gli studi mettono l'enfasi sulla pratica meditativa in sé per gli aspetti disposizionali o di tratto (expertise), occorre notare che tale pratica è generalmente integrata in uno stile di vita consapevole (mindful) e basato su saggezza e compassione, che include anche la pratica informale o quotidiana della consapevolezza, oltre ai fondamentali aspetti di condotta morale.
4. Ricerca neuroscientifica con monaci buddhisti Theravada
Vorrei ora parlare di studi che abbiamo condotto con la partecipazione di monaci Theravada del Santacittarama e di monasteri associati, della Tradizione della Foresta Thailandese di Ajahn Chah portata in Occidente da Ajahn Sumedho, in collaborazione con l'ITAB di Chieti. Le misurazioni con i diversi partecipanti hanno avuto luogo a partire dal novembre 2006, e completate con l'arrivo occasionale di altri monaci nel 2007.
Abbiamo condotto misurazioni sia in contesto di risonanza magnetica funzionale (fMRI) che di magnetoencefalografia (MEG), in due diversi laboratori dell'ITAB. Anche se sono stati condotti negli anni diversi studi con praticanti di Vipassana laici, di fatto, in base alla nostra conoscenza, la nostra è stata la prima ricerca che ha coinvolto monaci buddhisti Theravada. Sia nel laboratorio di fMRI che in quello MEG, abbiamo utilizzato un disegno di ricerca in cui abbiamo confrontato due stati meditativi - uno di attenzione focalizzata sul respiro (Samatha) e l'altro di consapevolezza aperta (Vipassana) - tra di loro e con uno stato di baseline o di controllo di riposo (Rest).
In effetti, la letteratura scientifica sulla meditazione fa riferimento in generale a queste due categorie di meditazione (Cahn e Polich, 2006; Lutz e al., 2008a), anche se di fatto si tratta di due aspetti che possono caratterizzare una pratica unitaria. Per queste condizioni sperimentali, abbiamo poi considerato, oltre al gruppo di monaci, anche un gruppo di controllo di partecipanti che ha praticato le forme di meditazione Samatha e Vipassana per 10 giorni prima dell'esperimento. Riassumo innanzitutto i risultati dello studio fMRI, che è stato pubblicato sulla rivista neuroscientifica internazionale Brain Research Bulletin nel 2010 (Manna e al., 2010), oltre ad essere stato presentato in diverse conferenze nazionali e internazionali.
Abbiamo innanzitutto osservato che nei monaci la meditazione focalizzata sul respiro porta ad una marcata riduzione di attività (deattivazione) di diverse aree, includendo aree della “default mode network” (connesse a “mind wandering” e rappresentazione del sé), così come dell'insula, e prefrontali laterali, sia rispetto alla condizione di Rest che alla condizione di Vipassana o meditazione di consapevolezza aperta. Nella meditazione Samatha nei monaci si attivava invece il cingolo anteriore dorsale, connesso a controllo dell'attenzione o esecutivo, così come un'area prefrontale anteriore mediale plausibilmente connessa a consapevolezza focalizzata del respiro.
Appare impressionante che portare l'attenzione sul respiro nei monaci potesse regolare e modulare in modo così esteso le attivazioni cerebrali in diverse aree a diversi livelli di elaborazione, da aree sensoriali (primarie, secondarie e terziarie), all'insula, alla corteccia prefrontale mediale e laterale, in particolare nell'emisfero sinistro, connesse sia al pensiero e alla cognizione che alle emozioni, motivazioni (desideri, avversioni), al sé, alla memoria, stati mentali. Si potrebbe pensare a questa evidenza come in relazione alla capacità di controllare o “addomesticare” i processi mentali, anche nei termini del loro substrato cerebrale, togliendovi inerzia attraverso la consapevolezza del respiro qualora vadano in una
direzione non salutare, non saggia o non morale.
D'altra parte, nella misura in cui le attività neurali sono correlate o di substrato ad attività della mente, il tema fondamentale buddhista di controllare la mente si può pensare anche in termini di un'attività elaborativa cerebrale disciplinata e controllata piuttosto che con un corso automatico, reattivo e proliferante.
Un altro risultato di rilievo connesso è che nei monaci abbiamo trovato meno differenza nelle attivazioni cerebrali in Vipassana rispetto a Rest che in Vipassana rispetto a Samatha (intesa come condizione concentrativa) a indicare che lo stato ordinario di veglia della mente in essi assomiglia a una condizione di consapevolezza meditativa aperta, più di quanto questa condizione meditativa somigli a un'altra condizione meditativa focalizzata (si veda la Figura 1 alla fine del testo in basso).
D'altra parte è noto quanto in questa tradizione di pratica contemplativa sia importante portare la consapevolezza aperta nel quotidiano, con diversi tipi di input simultanei e condizioni esterne. In ogni caso, la condizione di Vipassana rispetto a quella di Rest appariva caratterizzata da maggiori attivazioni di alcune aree corticali associative di alto livello nell'emisfero sinistro, ovvero nella corteccia prefrontale anteriore mediale, nella corteccia temporale superiore, e nel precuneus. Non a caso si tratta di aree in grado di ricevere input da molte altre aree del cervello e di elaborarli in modo integrato!
Un aspetto particolare che si può notare nei nostri risultati è che nella condizione di Samatha nei monaci si osservavano marcatate deattivazioni dell'insula sinistra e del giro frontale inferiore destro. Si potrebbe pensare che tali aree operino come “porte di accesso” nella coscienza di diversi tipi di input, a partire da stati corporei e feeling, ovvero i primi due fondamenti della presenza mentale nell'insegnamento del Buddha. Con la consapevolezza del respiro, pertanto, e con l'addestramento intensivo dei monaci, si potrebbe mantenere il focus dell'esperienza cosciente a tali livelli, senza l'innesco di reazioni ed elaborazioni a livello di stati mentali (terzo fondamento della presenza mentale) ed eventualmente condizionamenti (quarto fondamento della presenza mentale), come ad esempio reazioni avversive.
Appare di rilievo che abbiamo trovato una correlazione inversa tra l'expertise meditativa e la forza di deattivazione dell'insula posteriore sinistra e del giro frontale inferiore destro nella condizione di Samatha rispetto a Rest. Si può quindi pensare che più i monaci acquisiscono esperienza di pratica e meno hanno necessità di “fermare” le elaborazioni della mente e livelli più bassi, ad esempio in base ad una loro minore identificazione con diversi stati e processi mentali, anche a livelli di elaborazione più alti e potenzialmente coinvolgenti di stati mentali e pensieri. Plausibilmente, essi possono semplicemente osservarli in modalità “bottom-up”, imperturbati nel loro sorgere condizionato, evolversi e infine cessare nella coscienza, senza amplificazioni, “reazioni a catena” e elaborazioni “top-down” aggiuntive connesse a identificazione con tali processi!
In base ai nostri risultati, appare inoltre di rilievo che il controllo cognitivo connesso alla meditazione, enfatizzato nella meditazione focalizzata Samatha, sia basato principalmente sul cingolo anteriore dorsale. La parte ventrale della stessa struttura è invece più connessa al sistema limbico e alle emozioni. E' tuttavia notevole che tale controllo cognitivo nei monaci, basato sulla focalizzazione sul respiro, sia in grado di influenzare un numero così elevato di aree cerebrali. D'altra parte, come considerato sopra, il cingolo anteriore è un area che può influenzare, sia in base ad intenzioni elaborate nella corteccia prefrontale laterale che in modo involontario o reattivo, lo stato di diverse aree cerebrali connesse all'elaborazione di input sensoriali, feeling, emozioni, elaborazioni cognitive, nonché il sistema nervoso autonomo e in definitiva, in modo indiretto, gli stati fisiologici di diversi sistemi del corpo, includendo gli apparati respiratorio, cardio-circolatorio e digerente, oltre che endocrino e il sistema immunitario. Tutto questo a partire dall'addestramento della semplice attenzione al respiro!
Inoltre, sia pure speculativamente, il nostro studio appare in linea con la prospettiva che la capacità di osservare o monitorare che si sviluppa con la pratica di Vipassana sia particolarmente correlata ad aree associative di alto livello nell'emisfero sinistro (associato all'uso della mano destra nei destrimani). Non a caso, tale emisfero viene considerato come elettivo per l'accesso e resoconto cosciente in base agli studi sui cosiddetti pazienti “split brain”, ovvero con i due emisferi cerebrali segregati chirurgicamente per prevenire la propagazione di attacchi epilettici letali (Gazzaniga, 2000) In tale contesto si fa riferimento ad aree dell'emisfero sinistro (come nella corteccia prefrontale) come all'interprete narrativo, anche in associazione alle capacità di elaborazione linguistica e discorsiva di tale emisfero.
D'altra parte, nella meditazione di consapevolezza si sviluppa principalmente la capacità di osservare in modo diretto l'esperienza, non mediata da concetti ed elaborazioni discorsive. Tale capacità di osservazione consapevole non-intepretativa e non-narrativa si potrebbe sviluppare con la pratica della consapevolezza con una riorganizzazione neuroplastica di funzioni corticali, in particolare (ma non solo) nell'emisfero sinistro.
E' interessante notare che in alcune forme di pratica di Vipassana si opera un etichettamento verbale di contenuti dell'esperienza (come ad esempio pensieri, emozioni e stati mentali), anche se in ogni caso l'osservare (notare) non verbale permette una connessione più diretta e agile con l'esperienza nel momento presente nel sorgere, svolgersi e cessare della vasta gamma di fenomeni.
In ogni caso, studi neuroscientifici mostrano come il riconoscere ed etichettare (labeling) emozioni ne permette la loro regolazione (Lieberman e al., 2007) Inoltre, la lateralizzazione sinistra di attivazioni nella corteccia prefrontale è stata associata alla disposizione a emozioni positive (Davidson e Tomarken, 1989).
Va infine notato che i due emisferi cerebrali comunicano massivamente attraverso il corpo calloso e altre connessioni, ed effetti di regolazione e modulazione associati primariamente all'emisfero sinistro sono in ogni caso trasmessi all'emisfero destro, oltre che riverberarsi sul sistema nervoso autonomo e sul corpo, includendo effetti a livello ormonale e sul sistema immunitario.
Per quanto concerne la parte MEG della nostra ricerca, caratterizzata da una molto più elevata risoluzione temporale rispetto alla fMRI (ma una più ridotta risoluzione spaziale in termini di aree cerebrali), abbiamo condotto due tipi di analisi innovative, date le grandi competenze di fisici e ingegneri all'ITAB, che per diversi motivi (che includono i lunghi tempi di analisi da parte di computer e la disponibilità di tempo limitata di alcuni ricercatori-chiave in tale studio), tuttavia non sono state ancora completate. Abbiamo
D'altra parte, nella misura in cui le attività neurali sono correlate o di substrato ad attività della mente, il tema fondamentale buddhista di controllare la mente si può pensare anche in termini di un'attività elaborativa cerebrale disciplinata e controllata piuttosto che con un corso automatico, reattivo e proliferante.
Un altro risultato di rilievo connesso è che nei monaci abbiamo trovato meno differenza nelle attivazioni cerebrali in Vipassana rispetto a Rest che in Vipassana rispetto a Samatha (intesa come condizione concentrativa) a indicare che lo stato ordinario di veglia della mente in essi assomiglia a una condizione di consapevolezza meditativa aperta, più di quanto questa condizione meditativa somigli a un'altra condizione meditativa focalizzata (si veda la Figura 1 alla fine del testo in basso).
D'altra parte è noto quanto in questa tradizione di pratica contemplativa sia importante portare la consapevolezza aperta nel quotidiano, con diversi tipi di input simultanei e condizioni esterne. In ogni caso, la condizione di Vipassana rispetto a quella di Rest appariva caratterizzata da maggiori attivazioni di alcune aree corticali associative di alto livello nell'emisfero sinistro, ovvero nella corteccia prefrontale anteriore mediale, nella corteccia temporale superiore, e nel precuneus. Non a caso si tratta di aree in grado di ricevere input da molte altre aree del cervello e di elaborarli in modo integrato!
Un aspetto particolare che si può notare nei nostri risultati è che nella condizione di Samatha nei monaci si osservavano marcatate deattivazioni dell'insula sinistra e del giro frontale inferiore destro. Si potrebbe pensare che tali aree operino come “porte di accesso” nella coscienza di diversi tipi di input, a partire da stati corporei e feeling, ovvero i primi due fondamenti della presenza mentale nell'insegnamento del Buddha. Con la consapevolezza del respiro, pertanto, e con l'addestramento intensivo dei monaci, si potrebbe mantenere il focus dell'esperienza cosciente a tali livelli, senza l'innesco di reazioni ed elaborazioni a livello di stati mentali (terzo fondamento della presenza mentale) ed eventualmente condizionamenti (quarto fondamento della presenza mentale), come ad esempio reazioni avversive.
Appare di rilievo che abbiamo trovato una correlazione inversa tra l'expertise meditativa e la forza di deattivazione dell'insula posteriore sinistra e del giro frontale inferiore destro nella condizione di Samatha rispetto a Rest. Si può quindi pensare che più i monaci acquisiscono esperienza di pratica e meno hanno necessità di “fermare” le elaborazioni della mente e livelli più bassi, ad esempio in base ad una loro minore identificazione con diversi stati e processi mentali, anche a livelli di elaborazione più alti e potenzialmente coinvolgenti di stati mentali e pensieri. Plausibilmente, essi possono semplicemente osservarli in modalità “bottom-up”, imperturbati nel loro sorgere condizionato, evolversi e infine cessare nella coscienza, senza amplificazioni, “reazioni a catena” e elaborazioni “top-down” aggiuntive connesse a identificazione con tali processi!
In base ai nostri risultati, appare inoltre di rilievo che il controllo cognitivo connesso alla meditazione, enfatizzato nella meditazione focalizzata Samatha, sia basato principalmente sul cingolo anteriore dorsale. La parte ventrale della stessa struttura è invece più connessa al sistema limbico e alle emozioni. E' tuttavia notevole che tale controllo cognitivo nei monaci, basato sulla focalizzazione sul respiro, sia in grado di influenzare un numero così elevato di aree cerebrali. D'altra parte, come considerato sopra, il cingolo anteriore è un area che può influenzare, sia in base ad intenzioni elaborate nella corteccia prefrontale laterale che in modo involontario o reattivo, lo stato di diverse aree cerebrali connesse all'elaborazione di input sensoriali, feeling, emozioni, elaborazioni cognitive, nonché il sistema nervoso autonomo e in definitiva, in modo indiretto, gli stati fisiologici di diversi sistemi del corpo, includendo gli apparati respiratorio, cardio-circolatorio e digerente, oltre che endocrino e il sistema immunitario. Tutto questo a partire dall'addestramento della semplice attenzione al respiro!
Inoltre, sia pure speculativamente, il nostro studio appare in linea con la prospettiva che la capacità di osservare o monitorare che si sviluppa con la pratica di Vipassana sia particolarmente correlata ad aree associative di alto livello nell'emisfero sinistro (associato all'uso della mano destra nei destrimani). Non a caso, tale emisfero viene considerato come elettivo per l'accesso e resoconto cosciente in base agli studi sui cosiddetti pazienti “split brain”, ovvero con i due emisferi cerebrali segregati chirurgicamente per prevenire la propagazione di attacchi epilettici letali (Gazzaniga, 2000) In tale contesto si fa riferimento ad aree dell'emisfero sinistro (come nella corteccia prefrontale) come all'interprete narrativo, anche in associazione alle capacità di elaborazione linguistica e discorsiva di tale emisfero.
D'altra parte, nella meditazione di consapevolezza si sviluppa principalmente la capacità di osservare in modo diretto l'esperienza, non mediata da concetti ed elaborazioni discorsive. Tale capacità di osservazione consapevole non-intepretativa e non-narrativa si potrebbe sviluppare con la pratica della consapevolezza con una riorganizzazione neuroplastica di funzioni corticali, in particolare (ma non solo) nell'emisfero sinistro.
E' interessante notare che in alcune forme di pratica di Vipassana si opera un etichettamento verbale di contenuti dell'esperienza (come ad esempio pensieri, emozioni e stati mentali), anche se in ogni caso l'osservare (notare) non verbale permette una connessione più diretta e agile con l'esperienza nel momento presente nel sorgere, svolgersi e cessare della vasta gamma di fenomeni.
In ogni caso, studi neuroscientifici mostrano come il riconoscere ed etichettare (labeling) emozioni ne permette la loro regolazione (Lieberman e al., 2007) Inoltre, la lateralizzazione sinistra di attivazioni nella corteccia prefrontale è stata associata alla disposizione a emozioni positive (Davidson e Tomarken, 1989).
Va infine notato che i due emisferi cerebrali comunicano massivamente attraverso il corpo calloso e altre connessioni, ed effetti di regolazione e modulazione associati primariamente all'emisfero sinistro sono in ogni caso trasmessi all'emisfero destro, oltre che riverberarsi sul sistema nervoso autonomo e sul corpo, includendo effetti a livello ormonale e sul sistema immunitario.
Per quanto concerne la parte MEG della nostra ricerca, caratterizzata da una molto più elevata risoluzione temporale rispetto alla fMRI (ma una più ridotta risoluzione spaziale in termini di aree cerebrali), abbiamo condotto due tipi di analisi innovative, date le grandi competenze di fisici e ingegneri all'ITAB, che per diversi motivi (che includono i lunghi tempi di analisi da parte di computer e la disponibilità di tempo limitata di alcuni ricercatori-chiave in tale studio), tuttavia non sono state ancora completate. Abbiamo
tuttavia effettuato pubblicazioni preliminari a conferenze, e contiamo di completare un articolo al riguardo a cavallo dell'estate 2014, potenzialmente per una pubblicazione internazionale di impatto.
In un primo studio MEG (guidato dalla dott.ssa Stefania Della Penna del laboratorio MEG dell'ITAB) (si vedano le Figure 2A-C in basso), ci siamo focalizzati sulle differenze tra le condizioni di Samatha e Rest, in termini di diversi ritmi e regioni cerebrali, considerando sia il gruppo dei monaci che il gruppo di controllo di non-monaci. Dalle analisi è apparso inoltre rilevante distinguere monaci con un'expertise meditativa monastica che si distribuiva intorno a una media di circa 8 anni, dai monaci con oltre 20 anni di pratica meditativa.
In effetti, le configurazioni (pattern) di incrementi e decrementi di attività ritmica nelle bande alfa e beta con la meditazione Samatha apparivano marcatamente diversi per tali sotto-gruppi, e diversi rispetto a quelli del gruppo di controllo. In particolare si evidenziavano diverse configurazioni connesse a reti funzionali cerebrali, come per aree di controllo cognitivo, dell'attenzione e della “default mode network” di cui abbiamo parlato sopra.
I nostri risultati appaiono inoltre in linea con le evidenze di uno studio fMRI precedente sulla meditazione di attenzione focalizzata con meditanti buddhisti tibetani (Brefczynski e al., 2007), ovvero che nei meditatori con un alto (di fatto altissimo!) livello di expertise la meditazione Samatha implica uno sforzo minore e minori coinvolgimenti di attivazioni e processi in aree esecutive e di controllo cognitivo del cervello, in particolare aree della corteccia prefrontale dorsolaterale.
In un secondo interessante studio MEG (guidato dalla dott.ssa Laura Marzetti dell'ITAB) ci siamo invece focalizzati sulla coerenza o sincronizzazione per diversi ritmi cerebrali tra le attività di aree-chiave della “default mode network” (connessa al sé) e le attività di altre aree cerebrali, nelle tre condizioni di Samatha, Vipassana e Rest, nel gruppo dei monaci (considerato unitariamente) e il gruppo di soggetti di controllo.
I risultati preliminari mostrano interessanti modulazioni della sincronizzazione del cingolo posteriore (l'area del cervello che è più connessa a tutte le altre aree!) con altre aree in modo selettivo per diversi ritmi cerebrali e la condizione meditativa nei monaci, in modo differenziato rispetto al gruppo di controllo. Si tratta di un risultato originale e che ci appare di notevole interesse in relazione alla letteratura in grande sviluppo sulla “defaultmode network”, sulle sue interazioni con altre regioni e sistemi funzionali del cervello, e sulla sua modulazione nella meditazione.
5. Conclusioni
Come abbiamo visto, in generale il numero crescente di riscontri neuroscientifici, psicologici e clinici appare confermare l'efficacia sulla salute mentale e fisica, nonché su diversi processi attentivi, di flessibilità cognitiva, monitoraggio e funzioni esecutive in genere, così come sulla regolazione emotiva e lo sviluppo di stati mentali di empatia e di compassione, di pratiche meditative e contemplative, con particolare riferimento alla tradizione buddhista.
E' stato inoltre evidenziato come la pratica meditativa determini cambiamenti nella funzione e nella struttura di diverse aree e sistemi cerebrali a diversi livelli, e che diversi aspetti della meditazione sono correlati a diverse componenti della struttura e dei processi cerebrali, che in definitiva sono in relazione orchestrata tra di loro.
Appare tuttavia importante, sia a livello di riscontri scientifici che per le diverse importanti applicazioni cliniche e nella società, sviluppare o quanto mento tenere conto di una visione integrata dei diversi fattori e aspetti complementari della pratica, inclusiva non solo della meditazione e della mindfulness, ma anche della retta comprensione o saggezza, della condotta morale, nonché di un'estensione della pratica di consapevolezza e coltivazione di stati mentali salutari, retta azione e retta parola, in tutte le situazioni di vita quotidiana. In linea con l'insegnamento del Buddha! E' infatti plausibile che tutti questi aspetti co-determino cambiamenti nel cervello basati sulla neuroplasticità, oltre che riscontrabili nell'esperienza diretta (in prima persona) e nel comportamento oggettivo, manifesto in terza persona come nelle misurazioni relative alla struttura e alle funzioni neurali, in tutti i casi in direzione salutare o giovevole per sé stessi e per gli altri!
Figura 1. Risultati relativi allo studi fMRI con i monaci del Santacittarama. Nella figura sono evidenziate le attivazioni di aree cerebrali in Vipassana (Open Monitoring meditation - OM) rispetto a Samatha (Focused Attention meditation sul respiro – FA), evidenziate in arancione, nel gruppo dei monaci. Si notino diverse aree del cervello attivate in Vipassana rispetto a Samatha, in particolare le aree laterali (in alto), e in modo più pronunciato nell'emisfero sinistro, come l'insula e la corteccia temporale superiore. Le aree prefrontali laterali risultano invece più marcatamente attivate nell'emisfero destro, in particolare nella corteccia prefrontale anteriore.
Si noti tuttavia la deattivazione (in blu), ovvero maggiore attivazione in Samatha), del cingolo anteriore destro nell'immagine in basso a destra. Tale struttura appare quindi giocare un ruolo chiave nel controllo attentivo connesso alla meditazione Samatha. Si noti che in tali visualizzazioni il cervello appare “gonfiato”, senza le circonvoluzioni cerebrali, per facilità di visualizzazione di aree come l'insula.
Figura 2A. Risultati relativi al primo studio MEG. Mappe medie relative ai partecipanti del gruppo di controllo (non-monaci) che mostrano la modulazione della potenza nella banda alfa tra la meditazione di attenzione focalizzata (Samatha) e il Rest. Durante la meditazione Samatha, il precuneo è released (decrementato, in arancione) per il ritmo alfa, mentre le regioni TPJ e MOG sono engaged (incrementate, in blu). Mappe simili sono state ottenute per la banda beta.
Figura 2B. Risultati del primo studio MEG con i monaci del Santacittarama. Mappe medie relative a monaci con Lower Expertise che mostrano la modulazione della potenza nella banda (ritmo) beta tra la meditazione di attenzione focalizzata (Samatha) e il Rest. Durante la meditazione Samatha, in tale gruppo la rete somato-motoria destra e l’area IPL sono released (decrementate, in arancione) mentre la corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC) è engaged (incrementata, in blu). Mappe simili sono state ottenute per la banda alfa.
Figura 2C. Risultati relativi al primo studio MEG con i monaci del Santacittarama. Mappe medie relative ai meditatori con Higher Expertise (con oltre 20 anni di pratica in monastero) che mostrano la modulazione della potenza nella banda alfa tra la meditazione di attenzione focalizzata (Samatha) e Rest. Durante la meditazione Samatha, la rete visiva e aree implicate nell’attenzione visuo-spaziale sono engaged (incrementate, in blu) bilateralmente, mentre le aree STG/TPJ nell’emisfero sinistro e bilateralmente l’area SII e l’insula sono released (decrementate, in arancione).
Bibliografia
In un primo studio MEG (guidato dalla dott.ssa Stefania Della Penna del laboratorio MEG dell'ITAB) (si vedano le Figure 2A-C in basso), ci siamo focalizzati sulle differenze tra le condizioni di Samatha e Rest, in termini di diversi ritmi e regioni cerebrali, considerando sia il gruppo dei monaci che il gruppo di controllo di non-monaci. Dalle analisi è apparso inoltre rilevante distinguere monaci con un'expertise meditativa monastica che si distribuiva intorno a una media di circa 8 anni, dai monaci con oltre 20 anni di pratica meditativa.
In effetti, le configurazioni (pattern) di incrementi e decrementi di attività ritmica nelle bande alfa e beta con la meditazione Samatha apparivano marcatamente diversi per tali sotto-gruppi, e diversi rispetto a quelli del gruppo di controllo. In particolare si evidenziavano diverse configurazioni connesse a reti funzionali cerebrali, come per aree di controllo cognitivo, dell'attenzione e della “default mode network” di cui abbiamo parlato sopra.
I nostri risultati appaiono inoltre in linea con le evidenze di uno studio fMRI precedente sulla meditazione di attenzione focalizzata con meditanti buddhisti tibetani (Brefczynski e al., 2007), ovvero che nei meditatori con un alto (di fatto altissimo!) livello di expertise la meditazione Samatha implica uno sforzo minore e minori coinvolgimenti di attivazioni e processi in aree esecutive e di controllo cognitivo del cervello, in particolare aree della corteccia prefrontale dorsolaterale.
In un secondo interessante studio MEG (guidato dalla dott.ssa Laura Marzetti dell'ITAB) ci siamo invece focalizzati sulla coerenza o sincronizzazione per diversi ritmi cerebrali tra le attività di aree-chiave della “default mode network” (connessa al sé) e le attività di altre aree cerebrali, nelle tre condizioni di Samatha, Vipassana e Rest, nel gruppo dei monaci (considerato unitariamente) e il gruppo di soggetti di controllo.
I risultati preliminari mostrano interessanti modulazioni della sincronizzazione del cingolo posteriore (l'area del cervello che è più connessa a tutte le altre aree!) con altre aree in modo selettivo per diversi ritmi cerebrali e la condizione meditativa nei monaci, in modo differenziato rispetto al gruppo di controllo. Si tratta di un risultato originale e che ci appare di notevole interesse in relazione alla letteratura in grande sviluppo sulla “defaultmode network”, sulle sue interazioni con altre regioni e sistemi funzionali del cervello, e sulla sua modulazione nella meditazione.
5. Conclusioni
Come abbiamo visto, in generale il numero crescente di riscontri neuroscientifici, psicologici e clinici appare confermare l'efficacia sulla salute mentale e fisica, nonché su diversi processi attentivi, di flessibilità cognitiva, monitoraggio e funzioni esecutive in genere, così come sulla regolazione emotiva e lo sviluppo di stati mentali di empatia e di compassione, di pratiche meditative e contemplative, con particolare riferimento alla tradizione buddhista.
E' stato inoltre evidenziato come la pratica meditativa determini cambiamenti nella funzione e nella struttura di diverse aree e sistemi cerebrali a diversi livelli, e che diversi aspetti della meditazione sono correlati a diverse componenti della struttura e dei processi cerebrali, che in definitiva sono in relazione orchestrata tra di loro.
Appare tuttavia importante, sia a livello di riscontri scientifici che per le diverse importanti applicazioni cliniche e nella società, sviluppare o quanto mento tenere conto di una visione integrata dei diversi fattori e aspetti complementari della pratica, inclusiva non solo della meditazione e della mindfulness, ma anche della retta comprensione o saggezza, della condotta morale, nonché di un'estensione della pratica di consapevolezza e coltivazione di stati mentali salutari, retta azione e retta parola, in tutte le situazioni di vita quotidiana. In linea con l'insegnamento del Buddha! E' infatti plausibile che tutti questi aspetti co-determino cambiamenti nel cervello basati sulla neuroplasticità, oltre che riscontrabili nell'esperienza diretta (in prima persona) e nel comportamento oggettivo, manifesto in terza persona come nelle misurazioni relative alla struttura e alle funzioni neurali, in tutti i casi in direzione salutare o giovevole per sé stessi e per gli altri!
Si noti tuttavia la deattivazione (in blu), ovvero maggiore attivazione in Samatha), del cingolo anteriore destro nell'immagine in basso a destra. Tale struttura appare quindi giocare un ruolo chiave nel controllo attentivo connesso alla meditazione Samatha. Si noti che in tali visualizzazioni il cervello appare “gonfiato”, senza le circonvoluzioni cerebrali, per facilità di visualizzazione di aree come l'insula.
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Riferimenti sitografici per approfondimenti
Per accedere a diversi articoli scientifici (in inglese) di rilievo sulle neuroscienze della meditazione (inclusi alcuni lavori citati in questo scritto), si può vedere la seguente pagina web di Antoine Lutz:
http://brainimaging.waisman.wisc.edu/~lutz/PDF.html
Per panoramiche su ricerche sulla meditazione (in inglese), si veda:
http://meditation-research.org.uk/category/research-blog/
Per una panoramica di ricerche sulla mindfulness e le sue applicazioni (in inglese), si può vedere al link:
http://www.mindfulexperience.org/
Il link del Mind & Life Institute è il seguente:
http://www.mindandlife.org/
Il link del Mind and Life Europe è il seguente:
http://www.mindandlife-europe.org/