Coscienza Integrale/K.Wilber


Lineamenti di una Psicologia Integrale 
Compendio del mio modello psicologico
(Onde, Correnti, Stati, Io)


Traduzione libera dall’inglese di Giovanna Visini

Sommario: 

Sembra che esista un consenso generale, anche se non del tutto unanime, sul fatto che la mente non possa essere ridotta al cervello e viceversa. Questo saggio sostiene, appunto, che mente e il cervello debbano essere inclusi entrambi in una teoria della coscienza che voglia essere genuinamente integrale. 

Per facilitare quest’integrazione, il saggio presenta i risultati di un’ampia gamma di ricerche interculturali sul versante “mente” dell’equazione mente/cervello, indicando che i fenomeni mentali che è necessario considerare in una teoria integrale includono i livelli di sviluppo o onde della coscienza, le linee di sviluppo o correnti della coscienza, gli stati di coscienza e l’io (o sistema dell’io). 

Viene presentato uno “schema generale” di questi vari fenomeni, scelti tra più di un centinaio di sistemi psicologici orientali e occidentali. Viene proposto, inoltre, che questo “schema generale” sia considerato come una specie di sommario dell’aspetto “mente” dell’integrazione cervello/mente. Il saggio si conclude con una disamina del “problema di difficile soluzione”, di come, cioè, si possano integrare mente e cervello in modo da generare una teoria della coscienza più integrale. 

In conclusione, presento una sintesi abbastanza esaustiva del mio modello psicologico, o lineamenti di una psicologia integrale. 

Introduzione 

E’ davvero sorprendente la quantità di teorie e di ricerche che oggi hanno per oggetto lo studio della coscienza, soprattutto se teniamo conto dell’indifferenza che aveva contrassegnato le decadi passate. Per quanto incoraggiante sia questo rinnovato interesse per lo studio della coscienza, penso, tuttavia, che alcuni importanti aspetti che riguardano il ruolo e la natura della coscienza siano ancora assenti dal dibattito generale. In questo saggio, io vorrei, quindi, delineare ciò che credo sia un modello integrale della coscienza, non per condannare gli altri approcci, ma per suggerire modi in cui il loro importante contributo possa essere arricchito ulteriormente dalla considerazione di queste aree ignorate. 

Questo è il seguito di un saggio precedente (“Una teoria Integrale della Coscienza”, Wilber, 1997b). (1) Poiché questo testo è anche una sintesi di prove e argomentazioni sviluppate altrove, citerò qui soltanto raramente le fonti; i miei lavori, cui si fa riferimento in questo articolo, riportano in modo molto ampio le fonti originali, così i lettori interessati potranno utilizzare quei riferimenti per risalirvi. (Mi rendo conto che non includere i riferimenti originali in quest’articolo – sono migliaia – non è un buon servigio per i lettori, ma farlo avrebbe comportato un proibitivo allungamento del testo. Ho adottato un compromesso e ho aggiunto alcune poche citazioni rappresentative in ognuna delle aree trattate.) 

La maggior parte delle ricerche sulla coscienza si concentra su quegli aspetti che hanno una qualche sorta di evidente relazione con il cervello fisico, come nell’ambito della neurofisiologia, della psichiatria biologica e delle neuroscienze. Mentre sembra esserci un consenso, seppure difficoltoso, sul fatto che la coscienza (o la mente) non possa essere completamente ridotta ai sistemi fisici (o cervello), non vi è ancora un accordo diffuso su quale sia la loro esatta relazione (“il problema di difficile soluzione”). Quest’articolo inizia cercando di fornire un compendio di quegli aspetti del versante “mente” dell’equazione mente/cervello che è necessario portare sul tavolo dell’integrazione. 

Integral Psychology (Wilber, 2000b) ha messo a confronto più di un centinaio di psicologi dello sviluppo – Est e Ovest, antichi e moderni – e ha creato da questo confronto uno “schema generale” dell’intero spettro della coscienza umana, usando ciascun sistema per riempire il gap lasciato dagli altri. Questo modello generale, sebbene sia soltanto uno strumento euristico e non una lettura di “come stanno le cose”, suggerisce un “catalogo a spettro intero” dei tipi e modi della coscienza disponibili sia per gli uomini che per le donne. Questo catalogo può, quindi, rivelarsi utile nel momento in cui ricerchiamo una teoria “cervello/mente” che renda giustizia a entrambi i lati dell’equazione – il cervello e la mente – poiché possiamo ragionevolmente aspettarci che quanto segue includa gran parte degli aspetti “mente” che devono essere considerati e anche degli aspetti “cervello” derivati dalle neuroscienze, in modo da arrivare a un qualche tipo di solido e comprensivo modello di coscienza. 

Dopo aver delineato questo “catalogo a spettro intero” della mente, presenterò la mia proposta di un modello che cerca di integrare mente e cervello, cultura e sistemi sociali. In altri termini, presenterò in modo sintetico una versione di una teoria della coscienza più comprensiva e integrale che combina il catalogo della mente a spettro intero (o schema generale) con i risultati attuali delle neuroscienze, come le ricerche sul cervello e i fattori culturali e sociali che sembrano avere un ruolo fondamentale nella coscienza. 

Cominciamo con il catalogo dell’intero spettro degli stati mentali: la conclusione delle comparazioni interculturali presentata in Integral Psychology è che ci sono almeno cinque componenti principali della psicologia umana che è necessario includere in ogni teoria veramente comprensiva: i livelli di sviluppo della coscienza, le linee di sviluppo della coscienza, gli stati di coscienza normali e alterati, l’io o sistema-dell’io, e ciò che io chiamo i quattro quadranti (che includono cultura e visioni del mondo, neurofisiologia e scienze cognitive, e sistemi sociali). Vediamoli nell’ordine. 

Livelli o Onde 

Non tutte le componenti della psiche mostrano uno sviluppo, ma molte di esse lo fanno, e questi aspetti o stadi evolutivi devono essere considerati. Non costituiscono l’intera storia della psiche, ma ne rappresentano una parte importante. Viviamo in un universo che si evolve, e queste correnti di evoluzione operano anche nelle menti umane. 

Ci sono prove abbondanti che alcuni aspetti della cognizione, della morale, della psicosessualità, dei bisogni, delle relazioni oggettuali, delle abilità motorie e delle acquisizioni linguistiche procedono secondo stadi evolutivi, in modo molto simile a quella in cui una ghianda si dispiega in una quercia attraverso una serie di fasi processuali (Alexander and Langer, 1990; Loevinger, 1976; Wilber, 2000b). Questi stadi o livelli di sviluppo non sono quei fenomeni rigidi e lineari come i pioli di una scala che i loro critici hanno voluto rappresentare, ma appaiono come onde fluide che scorrono e si sovrappongano (Beck and Cowan, 1996). 

Io utilizzo tre termini – strutture, livelli e onde – per descrivere queste pietre miliari dello sviluppo. 

“Struttura” indica che ogni stadio ha uno schema olistico che vincola tutti i suoi elementi in un tutto strutturato. 

“Livello” significa che questi schemi tendono a dispiegarsi secondo una sequenza relazionale, in cui ogni onda successiva trascende e include le sue precedenti (proprio come le cellule trascendono ma includono le molecole, che trascendono ma includono gli atomi, che trascendono ma includono i quark). 

E “onda” indica che questi livelli sono comunque qualcosa di fluido e scorrevole; le dimensioni superiori non sono poste sopra quelle inferiori come i pioli di una scala, ma le abbracciano e le avvolgono (come le cellule abbracciano le molecole che abbracciano gli atomi). Questi stadi di sviluppo appaiono come sfere concentriche di sempre maggiore inclusione e capacità olistica. 

Qual è l’esatta natura di questi livelli nella psiche umana? Essi sono fondamentalmente, livelli di coscienza, che sembrano estendersi lungo l’intero spettro dal subconscio, al conscio al superconscio (Murphy, 1992; Wade, 1996; Wilber, 1986, 2000b) (2) Questo spettro globale della coscienza è ben conosciuto dalle più importanti tradizioni di saggezza del mondo, dove una versione di esso appare come la Grande Catena dell’Essere che, viene affermato, spazia dalla materia al corpo alla mente all’anima e allo spirito (Smith, 1976). 

Grande Catena è, forse, una definizione non del tutto appropriata. Non si tratta, infatti, di una catena lineare, ma di una serie di sfere racchiuse una nell’altra: viene detto che lo spirito trascende ma include l’anima, che trascende ma include la mente, che trascende ma include il corpo, che trascende ma include la materia. In accordo con questa visione, è più accurato utilizzare la definizione “Grande Campo dell’Essere”. 

Alcuni pensatori moderni accettano l’esistenza di materia, corpo e mente, ma rifiutano anima e spirito. Essi preferiscono, di conseguenza, pensare i livelli di coscienza come stadi che procedono, per esempio, dal preconvenzionale al convenzionale al postconvenzionale. Posso sostenere gli aspetti essenziali della mia visione utilizzando uno qualsiasi di questi livelli, ma poiché tratterò anche di stati spirituali o “superconsci”, assumiamo per ora semplicemente che l’intero spettro della coscienza spazi dal prepersonale al personale al transpersonale (Murphy, 1992; Walsh, 1999).(3) 

Basandosi su vari tipi di prove interculturali, molti studiosi hanno proposto di dividere questo spettro totale della coscienza in sette colori, onde o bande (come i sette chakra); altri suggeriscono di considerarne dodici (Aurobindo e Plotino); alcuni ne presentano un numero maggiore (per esempio vari testi contemplativi molto conosciuti. Vedi Wilber, 2000b, per più di cento modelli di livelli della coscienza, presi da fonti premoderne, moderne e postmoderne). Lo spettro somiglia molto a un arcobaleno: possiamo legittimamente dividere e suddividere i colori dell’arcobaleno nel numero di sfumature che vogliamo. 

Io utilizzo spesso nove o dieci livelli di base o onde della coscienza (che sono variazioni di materia, corpo, mente, anima e spirito), poiché le prove suggeriscono che queste onde di base sono ampiamente universali o generalmente simili nelle loro caratteristiche profonde dovunque esse appaiano (per esempio, la mente umana, in qualsiasi luogo appaia, ha la capacità di formare immagini, simboli e concetti. I contenuti di queste immagini e simboli variano da cultura a cultura, ma la capacità in quanto tale è universale (Arieti, 1967; Beck et al., 1996; Berry et al., 1992; Gardiner et al., 1998; Shaffer, 1994; Sroufe et al., 1992). 

Questa posizione generale è chiaramente affermata da Berry et al. (1992), quando sintetizza le ricerche esistenti: “ Cross-cultural Psychology è una visione d’insieme molto esaustiva degli studi interculturali in molte aree importanti: sviluppo psicologico, comportamenti sociali, personalità, cognizione, percezione, e copre teoria e applicazioni circa acculturazione, gruppo etnici e minoritari, lavoro, comunicazione, salute e sviluppo nazionale. Inserito in un contesto ecologico e culturale, quest’approccio vede lo sviluppo e il dispiegarsi del comportamento umano come il risultato di influenze ecologiche e sociopolitiche, e adotta una posizione “universalista” per quanto riguarda la gamma di similarità e differenze del comportamento umano nelle varie culture: si assume che i processi psicologici di base siano comuni alla specie, caratteristiche umane condivise, ma che la cultura introduca delle variazioni in queste similarità basiche sottostanti. ” (tratteremo di questo più avanti come i “quattro quadranti”). (4) 

Tutte queste varie codificazioni dei livelli di sviluppo ci appaiono, tuttavia, come semplici istantanee del grande arcobaleno della coscienza prese da varie angolazioni e usando differenti macchine fotografiche, e tutte, ciascuna a suo modo, sembrano essere utili. Si tratta di semplici categorizzazioni create dagli esseri umani; ma ognuna di esse, se accuratamente supportata da prove, può fornire importanti ingredienti per un modello più integrale. 

Il fatto che questi livelli, onde o sfere concentriche siano disposti lungo un grande arcobaleno o spettro non significa che una persona si muova realmente attraverso queste onde in modo meccanicamente lineare o sequenziale, passando con un tonfo dal corpo alla mente all’anima e allo spirito. Questi sono semplicemente alcuni dei livelli basici della coscienza che sono potenzialmente disponibili. Ma un individuo possiede molte differenti capacità, intelligenze e funzioni, ciascuna delle quali può dispiegarsi attraverso i livelli di sviluppo con differente gradualità – e questo ci porta alla nozione di molti moduli indipendenti esistenti nella psiche umana, che io chiamo anche linee o correnti. 

Linee o Correnti 

Le prove empiriche suggeriscono che attraverso i livelli di sviluppo o onde della coscienza, si muovono varie linee evolutive o correnti (come cognizione, morale, affetti, bisogni, sessualità, motivazione e identità. Vedi Gardner, 1983, Loevinger, 1976, Wilber, 1997a, 2000b). Sembra, inoltre, che in ogni determinata persona alcune di queste linee possano essere altamente sviluppate, altre poco (o persino patologicamente) sviluppate, e altre ancora del tutto non sviluppate. L’insieme dello sviluppo, insomma, è qualcosa che appare molto disuguale e complesso! 

La ragione sembra essere che molte linee evolutive sono in una certa misura moduli indipendenti, e questi moduli possono svilupparsi, e di fatto si sviluppano, in modi relativamente indipendenti (ma non totalmente indipendenti). (5) Ognuno di questi moduli si evolve probabilmente come risposta a una serie di compiti specifici (per esempio, cognizione del mondo esterno, bisogni e desideri in ambienti differenti, comunicazione linguistica, meccanismi di scarica sessuale, ecc.). Vi è un’enorme mole di teorie e ricerche sulla modularità (pro e contro), sebbene essa sia generalmente accettata nella letteratura psicologica. (6) 

Secondo queste ricerche, una persona può essere a un livello di sviluppo relativamente alto in alcune linee (come la cognizione), a un livello medio in altre (come la morale), e a un livello basso in altre ancora (come la spiritualità). Dunque, non vi è niente di lineare per quanto riguarda l’insieme dello sviluppo. Si tratta di un affare totalmente individuale e personale (anche se molte linee evolutive in quanto tali si dispiegano in modo sequenziale). 

La critica più comune al mio modello è che si tratti di un modello lineare, un punto di vista che non sostengo da vent’anni. E per quanto riguarda la spiritualità? Si dispiega anch’essa necessariamente per stadi? La mia risposta è, ancora una volta, assolutamente no. Ma prima di vedere perché, parliamo degli stati di coscienza. 

Stati di Coscienza 

Molti stati di coscienza ci sono familiari. Per esempio, la veglia, il sogno e il sonno profondo. Questi sono alcuni degli stati “normali” o “ordinari”. Alcuni degli stati “alterati” o “non ordinari” sembrano includere esperienze di vetta, esperienze religiose, stati indotti con droghe, stati olotropici e stati meditativi o contemplativi (Goleman, 1988; Grof, 1998; Tart, 1972). 

Ci sono prove inoppugnabili del fatto che una persona in pratica a qualsiasi stadio o livello di sviluppo può avere uno stato alterato o esperienza di vetta – inclusa un’esperienza spirituale (Wilber, 1983, 2000b). Dunque, l’idea che le esperienze spirituali siano disponibili soltanto a livelli di sviluppo più alti non è corretta. Gli stati stessi mostrano raramente uno sviluppo, e il loro prodursi è spesso fortuito; tuttavia essi sembrano essere tra le esperienze più profonde in cui gli esseri umani si siano mai imbattuti. Ovviamente, quegli importanti aspetti della spiritualità che implicano stati alterati non seguono nessun tipo di evoluzione lineare, sequenziale o per stadi. 

Quali tipi di stati più elevati possiamo incontrare? Un numero considerevole di comparazioni interculturali (Forman, 1990, 1998a; Murphy, 1992; Smart, 1984; Smith, 1976; Walsh, 1999; Wilber, 2000b), prese nel loro insieme, suggeriscono che ci sono almeno quattro stati di coscienza più elevati o transpersonali, che io chiamo psichico, sottile, causale e non duale. (Come vedremo tra poco, quando questi stati temporanei diventano tratti permanenti, gli stati transitori si convertono in strutture di coscienza permanenti; io chiamo le strutture permanenti, livelli o onde con quegli stessi quattro nomi.) 

Brevemente, lo stato psichico è un tipo di misticismo della natura (in cui gli individui riferiscono un’esperienza fenomenologica di essere uno con l’intero mondo naturale e sensoriale; per esempio, Thoreau, Whitman. E’ chiamato “psichico”, non perché vi accadano eventi paranormali – anche se esistono prove che talvolta questo succede – ma perché sembra che vi sia una comprensione accresciuta del fatto che ciò che appare come un mondo puramente fisico è di fatto un mondo psicofisico, dove le capacità consce, psichiche o noetiche fanno intrinsecamente parte del tessuto dell’universo, e questo spesso risulta in una concreta esperienza fenomenologica di unità con il mondo naturale; vedi Fox, 1990). 

Lo stato sottile è un tipo di misticismo della divinità (in cui le persone riferiscono l’esperienza di essere uno con la fonte o il fondamento del mondo naturale sensoriale; per esempio, S.ta Teresa d’Avila, Hildegarda di Bingen). 

Lo stato causale è un tipo di misticismo senza forma (in cui le persone fanno esperienza della cessazione, o immersione nella coscienza non manifesta e senza forma; per esempio, The Cloud of Unknowing, Patanjali, pseudo-Dionigi; vedi Forman, 1990). 

Lo stato non duale è un tipo di misticismo integrale (che è sperimentato come l’unione di manifesto e immanifesto, o l’unione di Forma e Vuoto; per esempio, Lady Tsogyal, Sri Ramana Maharshi, Hui Neng; vedi Forman, 1998b). 

Ho indicato in Integral Psychology (Wilber, 2000b), che questi stati sono apparentemente tutti variazioni degli stati naturali di veglia, sogno e sonno profondo – il che sembra spiegare perché una persona in pratica a ogni stadio di sviluppo possa sperimentare uno qualsiasi di questi stati non ordinari (dal momento che ogni persona, persino un infante, veglia, sogna e dorme profondamente). Tuttavia, affinché questi stati temporanei diventino tratti o strutture permanenti devono entrare nel flusso dello sviluppo (vedi sotto). Naturalmente, la maggior parte delle persone considera l’esperienza degli stati di sogno o di sonno profondo meno reale dello stato di veglia; con una pratica meditativa prolungata, si può entrare in questi stati con completa consapevolezza e con un’espansione della coscienza, dopo di che si accede ai loro più elevati segreti (Deutsche, 1969; Gyatso, 1986; Walsh, 1999). 

In molte tradizioni di saggezza si afferma che i tre grandi stati normali (veglia, sogno e sonno profondo) corrispondono ai tre grandi corpi o regni dell’essere (grossolano, sottile e causale): sia nel Vedanta che nel Vajrayana, per esempio, si afferma che i corpi sono i supporti energetici della mente o stato di coscienza corrispondente (cioè, ogni modalità mentale ha un corpo corrispondente, e questo preserva l’unità mentecorpo a tutti i livelli). 

Il corpo grossolano è il corpo in cui facciamo esperienza dello stato di veglia; 

il corpo sottile è il corpo in cui facciamo esperienza dello stato di sogno (e anche certi stati meditativi, come il savikalpa samadhi e lo stato del bardo, cioè lo stato simile al sogno che, si afferma, esiste tra due rinascite); 

e il corpo causale è il corpo in cui facciamo esperienza dello stato di sonno senza sogni (e anche nirvikalpa samadhi e lo stato senza forma) (Deutsche, 1969; Gyatso, 1986). 

Il punto è che, secondo queste tradizioni, ogni stato di coscienza ha un corpo corrispondente che è “fatto” da vari tipi di energia grossolana, sottile e molto sottile (o “vento”), e questi corpi o energie “sostengono” i corrispondenti stati della mente o della coscienza. In un certo senso, possiamo parlare di corpomente grossolano, di corpomente sottile e di corpomente causale (utilizzando il termine “mente” nel senso più lato di “consapevolezza” o “coscienza”).(7) 

Il punto importante, che io accetto provvisoriamente per questo “schema generale” è semplicemente che ogni stato di coscienza è sostenuto da un corpo corrispondente, quindi la coscienza non è mai puramente disincarnata.(8) 

La Relazione di Strutture e Stati 

Un modo di considerare le prove sin qui disponibili è quello di dire, come strumento euristico, che gli stati di coscienza (con i loro corpi o regni corrispondenti) contengono varie strutture di coscienza. Per esempio, lo stato di veglia può contenere la struttura preoperativa, la struttura operativa concreta, la struttura operativa formale, eccetera. Nel Vedanta, queste strutture o livelli di coscienza sono note come kosha (o rivestimenti). 

Per il Vedanta, i tre corpi/stati principali sostengono cinque strutture principali. Si afferma che il corpo sottile, sperimentato nello stato di sogno (e nel regno del bardo, in savikalpa samadhi, ecc.) sostenga tre principali kosha o strutture della coscienza – pranamayakosha (l’élan vitale), manomayakosha (la mente convenzionale) e vijnanamayakosha (la mente più elevata e illuminata). Il corpo/stato di veglia grossolano sostiene annamayakosha (il rivestimento fatto di cibo, o la mente fisica), e il corpo/stato senza forma causale sostiene anandamayakosha (il rivestimento o struttura della coscienza fatto di beatitudine, o mente trascendente). 

La ragione per cui sia il Vedanta che il Vajrayana sostengono questo è che, per esempio, ogni notte quando voi sognate (quando siete nel corpo sottile), avete accesso ad almeno tre strutture principali (potete sperimentare l’élan vitale sessuale – pranamayakosha – immagini e simboli mentali –manomayakosha – e la mente più elevata o archetipica –vijnanamayakosha. Vale a dire che lo stato di sogno può contenere tutti e tre questi livelli/strutture, ma voi non avete esperienza del corpo grossolano, del regno sensorio motorio o del mondo fisico grossolano, essi, infatti, non sono presenti direttamente. Nel sogno voi esistete fenomenologicamente in un corpo sottile che fa esperienza delle (tre) strutture della coscienza sostenute da quel corpo sottile e contenute in quello stato. 

In breve, ogni grande stato di coscienza (come lo stato di veglia o di sogno) può contenere molte differenti strutture o livelli di coscienza. Queste strutture, livelli, o onde, come suggerito sopra, coprono l’intero spettro , e includono molti di quelle strutture o stadi che sono stati spesso studiati in modo approfondito dagli psicologi evolutivi occidentali, come le strutture-stadi dello sviluppo cognitivo, morale, dell’ego (per esempio, Cook-Greuter, 1990; Gilligan, 1990; Graves, 1970; Kegan, 1983; Kohlberg, 1981; Loevinger, 1976; Piaget, 1977; Wade, 1996). Quando, per esempio, Spiral Dynamics (un modello psicologico sviluppato da Beck e Cowan, 1996, basato sulle ricerche di Clare Graves) parla di meme rosso, di meme blu, di meme arancione, eccetera, si tratta di strutture (o livelli) di coscienza. 

Perché tutte queste distinzioni apparentemente banali sono importanti? Una ragione è che riconoscere la differenza tra stati di coscienza e strutture di coscienza ci permette di capire in che modo una persona, a qualsiasi struttura o stadio di sviluppo, possa nondimeno avere una profonda esperienza di vetta di stati più elevati e transpersonali – per la semplice ragione che ogni persona veglia, sogna e dorme profondamente (e quindi ha accesso a questi stati e regni più elevati della coscienza sottile e causale, non importa quanto “basso” sia il loro stadio o livello generale di coscienza). Tuttavia, i modi in cui le persone fanno esperienza e interpretano questi stati e dimensioni più elevati dipenderà largamente dal livello (o struttura) del loro sviluppo. Ritorneremo tra poco su quest’importante tema. 

Stati Fenomenici 

Per concludere, continuando con questo metodo euristico, diciamo che all’interno delle strutture di coscienza principali ci sono vari stati fenomenici (gioia, felicità, tristezza, desiderio, ecc.). In breve, un modo di concettualizzare questi fatti è quello di dire che all’interno dei grandi stati di coscienza ci sono strutture di coscienza all’interno delle quali ci sono stati fenomenici.(9) 

Bisogna notare che né gli stati di coscienza né le strutture di coscienza sono esperiti direttamente dagli individui(10), mentre gli individui esperiscono direttamente gli stati fenomenici. Le strutture di coscienza, d’altro lato, sono dedotte dall’osservazione del comportamento di numerosi soggetti. In seguito, si desumono le regole e i modelli che emergono da vari tipi di comportamenti cognitivi, linguistici, morali, ecc. Queste regole, modelli o strutture appaiono molto reali, ma essi non sono percepiti direttamente dal soggetto (proprio come le regole della grammatica sono raramente percepite in forma esplicita da coloro che parlano nella loro lingua madre, anche se le stanno seguendo). 

Questa è la ragione per cui le strutture della coscienza non sono quasi mai riconosciute dalla fenomenologia che esamina il flusso corrente della coscienza e, quindi, trova soltanto gli stati fenomenici. Questo è visibilmente un limite molto importante di praticamente tutte le forme di fenomenologia. Cioè, la fenomenologia di solito si concentra sugli stati fenomenici e quindi fallisce nel riconoscere l’esistenza delle strutture della coscienza. 

Quindi, se voi osservate introspettivamente gli stati del corpo e della mente, non vedrete mai qualcosa che si annuncia come “pensiero morale dello stadio-4” (Kohlberg); e non troverete neppure qualcosa chiamato “stadio conformista” (Loevinger); e non individuerete “lo stadio relativistico” (Graves). Il solo modo in cui potete riconoscere queste strutture intersoggettive è di osservare l’interazione di un gran numero di soggetti, e quindi ricercare regolarità nel comportamento che rivelano che essi stanno seguendo modelli, regole o strutture intersoggettive. Questo indica che la fenomenologia è un utile, anche se limitato, aspetto di una metodologia più integrale.(11) 

Aspetti Evolutivi della Spiritualità 

Sembra che tutte le strutture della coscienza si dispieghino generalmente in una sequenza evolutiva o a stadi, e, come sostengono praticamente tutti gli studiosi dei processi evolutivi, gli stadi in quanto tali non possono essere saltati (Combs, 1995; Cook-Greuter, 1990; Gilligan, 1990; Kegan, 1983; Loevinger, 1976; Wade, 1996). Per esempio, nella linea cognitiva, troviamo gli stadi sensorio/motorio, preoperativo, operativo concreto, operativo formale, visione-logica o pensiero integrale, ecc. I ricercatori concordano in modo unanime che nessuno di quegli stadi può essere saltato, perché ognuno incorpora i suoi predecessori nella sua stessa costituzione (così come le cellule contengono le molecole che contengono gli atomi, e non si può passare dagli atomi alle cellule saltando le molecole). 

Non è possibile saltare uno stadio in nessuna delle linee evolutive, e non è possibile avere una “esperienza di vetta” di stadi più elevati relativi a quella data linea. Una persona che si trova allo stadio preoperativo non può avere un’esperienza di vetta dello stadio operativo formale. Una persona allo stadio morale 1 di Kohlberg non può avere un’esperienza di vetta dello stadio morale 5. Una persona allo stadio animistico di Graves, non può avere un’esperienza di vetta dello stadio integrato, ecc. Non soltanto questi stadi sono in qualche modo comportamenti appresi, ma essi sono anche cumulativi, cioè quelli che seguono incorporano e abbracciano i precedenti, e questo preclude qualsiasi possibilità di effettuare salti. 

Ma i tre grandi stati (di veglia, sogno e sonno profondo) rappresentano dimensioni o regni generali di essere e conoscenza cui è possibile accedere praticamente a ogni stadio di sviluppo di qualunque linea – per la semplice ragione che l’individuo veglia, sogna e dorme, anche nel periodo prenatale (Wilber, 1997a, 2000b). Quindi, gli stati di coscienza grossolano, sottile e causale sono disponibili in pratica ad ogni stadio/struttura di sviluppo. 

Tuttavia, il modo in cui questi stati alterati saranno sperimentati (e potranno esserlo) dipende preminentemente dalle strutture (stadi) di coscienza che si sono sviluppate nell’individuo (Wilber, 1983, 2000b). Come vedremo, gli individui agli stadi, per esempio, magico, mitico e razionale possono tutti avere un’esperienza di vetta della dimensione sottile, ma il modo in cui questa dimensione sottile è sperimentata e interpretata dipende in larga misura dalle strutture della coscienza che sono disponibili per accogliere l’esperienza. 

(Una precisazione tecnica: io chiamo “psichico” il livello più basso della dimensione sottile; e chiamo “non duale” l’unione del vuoto causale con tutte le forme. Questo ci dà i quattro principali stati transpersonali che ho menzionato: psichico, sottile, causale e non duale; ma essi sono tutti variazioni degli stati normali disponibili per tutti gli individui, e questa è la ragione per cui sono accessibili quasi a ogni stadio dello sviluppo. Vedi Integral Psychology, Wilber, 2000b, per un’esaustiva trattazione di questo tema.) 

Le prove attestano che, generalmente in caso di prolungate pratiche contemplative, una persona può convertire questi stati temporanei in tratti o strutture permanenti, che significa che essi hanno accesso a queste grandi dimensioni in un modo più o meno continuo e conscio (Shankara, 1970; Aurobindo, 1990; Walsh, 1999). Nel caso della dimensione sottile, per esempio, questo significa che una persona comincia di solito ad avere sogni lucidi (che sono analoghi al savikalpa samadhi – o meditazione stabile sulle forme sottili) (LaBerge, 1985); e con riferimento alla dimensione causale, quando una persona raggiunge stabilmente quell’onda/livello rimane tacitamente conscia anche durante il sonno profondo senza sogni (una condizione nota come turiya permanente, coscienza costante, permanenza del soggetto, testimone ininterrotto, analoga al nirvikalpa samadhi, o meditazione stabile senza forma) (Alexander and Langer, 1990). Spingendosi ancora oltre quel livello, il causale senza forma trova l’unione con l’intero mondo della forma, una realizzazione nota come non duale (sahaja, turiyatita, bhava) (Alexander and Langer, 1990; Wilber, 1999a). 

In ciascuno di questi casi, quelle grandi dimensioni (psichica, sottile, causale, non duale) non sono più sperimentate semplicemente come stati, ma sono invece diventate modelli o strutture della coscienza permanentemente disponibili – e questa è la ragione per cui, quando esse diventano una competenza permanente, io uso i termini di livello (struttura o onda) psichico, sottile, causale e non duale. L’uso di questi quattro termini (psichico, sottile, causale, non duale) per coprire sia le strutture sia gli stati ha portato alcuni critici a credere che io stessi confondendo strutture e stati, ma non è affatto così.(12) 

La domanda importante diventa allora: questi quattro stati, quando si convertono in strutture permanenti, mostrano un’evoluzione a stadi? Si tratta di veri e propri livelli della coscienza? Sotto molti punti di vista, la risposta sembra essere “sì” (di nuovo, non come se si trattasse dei rigidi pioli di una scala, ma come onde fluide e scorrevoli). Per esempio, una persona che raggiunge stabilmente (permanentemente) il livello causale del testimone sperimenterà automaticamente il sogno lucido (poiché essere stabilmente al livello causale del testimone significa testimoniare tutto ciò che emerge, e questo include gli stati sottili e di sogno), ma non viceversa (cioè, qualcuno che raggiunga stabilmente la consapevolezza sottile non raggiunge necessariamente il puro testimone causale) – in altri termini, questa è una sequenza per stadi (cioè, il causale è un livello più elevato del sottile -–per esempio, anandamayakosha è un livello più elevato di vijnanamayakosha, o il sovramentale è un livello più elevato della mente intuitiva, eccetera – esattamente come sostengono le grandi tradizioni di saggezza; vedi Smith, 1976; Walsh, 1999). 

Per questa ragione Aurobindo dice, a proposito dei livelli/strutture più elevati e transpersonali: “L’evoluzione spirituale obbedisce alla logica del dispiegarsi successivo; può raggiungere un nuovo decisivo stadio fondamentale soltanto quando il precedente stadio fondamentale sia stato sufficientemente conquistato: anche se certi stadi minori possono essere saltati e come ingoiati da una rapida e brusca ascensione, la coscienza deve tornare indietro per assicurarsi che il terreno sorvolato sia saldamente annesso alla nuova condizione; una grande e concentrata velocità (che è di fatto possibile) non elimina gli stadi stessi o la necessità del loro progressivo superamento” (Aurobindo, The Life Divine, II, 26). Nell’insieme della sua opera, Aurobindo chiarisce che non intende questo processo in modo rigido come se si trattasse di una scala, ma piuttosto come abbiamo suggerito: una serie di onde della coscienza sempre più sottili che si dispiegano, con fluide e scorrevoli sovrapposizioni, e la possibilità sempre presente di stati alterati non lineari. Ma questi stati possono diventare strutture soltanto se “obbediscono alla logica dell’evoluzione progressiva”, come tutti i veri stadi fanno. La letteratura contemplativa del mondo intero, presa nel suo insieme, è molto chiara su questo punto e, sotto questo aspetto, diciamo legittimamente che queste strutture transpersonali mostrano caratteristiche simili a stadi e livelli. (13) 

Di nuovo, questa non è l’intera storia della spiritualità. Tra poco illustrerò il fatto che la spiritualità viene definita di solito in almeno quattro modi differenti (come i livelli più alti di ciascuna linea, come una linea separata, come uno stato alterato, come una particolare attitudine), e una teoria della spiritualità comprensiva e integrale deve compassionevolmente includerle tutt’e quattro. Quindi, gli aspetti evolutivi che abbiamo appena trattato non coprono l’intera storia della spiritualità, anche se sono visibilmente un’importante parte di questa storia. 

Diamo un esempio specifico: se ci concentriamo sulla linea di sviluppo cognitiva, avremo questi livelli o onde generali nell’intero spettro della cognizione: sensorio/motorio, preoperativo, operativo concreto, operativo formale, visione logica o pensiero integrale, psichico, sottile, causale e non duale. Questi nove livelli o strutture generali sono chiamati da Aurobindo: sensorio/vitale, mente inferiore, mente concreta, mente logica, mente superiore, mente illuminata, mente intuitiva, sovramentale e supermente; e si stendono lungo un unico arcobaleno dal più denso al più sottile fino al fondamento ultimo di tutti i livelli. 

Le rispettive visioni del mondo di queste nove strutture generali della coscienza possono essere definite: arcaica, magica, mitica, razionale, aprospettica, psichica (yogi), sottile (santi), causale (saggi) e non duale (siddha) (Adi Da, 1977; Gebser, 1985; Wilber, 1996a, 1996b, 2000b). 

Si tratta di livelli della coscienza o strutture (stadi) durante il cui dispiegarsi permanente nessuno stadio può essere facilmente saltato; ma praticamente in ciascuno di questi stadi è possibile avere un’esperienza di vetta degli stati psichico, sottile, causale e non duale. Lo sviluppo integrale o complessivo è, quindi, un processo continuo di conversione di stati temporanei in tratti o strutture permanenti, e in questo sviluppo integrale, non è possibile evitare nessuna struttura o livello, o non vi sarà, per definizione, sviluppo integrale. 

Sviluppo Non Uniforme
Questo non impedisce ogni genere di spirale, regressione, salti temporanei in avanti grazie a esperienze di vetta, eccetera. Notiamo, per esempio, che una persona al livello psichico può avere un’esperienza di vetta dello stato causale, ma non avere un accesso stabile a questa dimensione perché il suo sviluppo permanente non ha ancora raggiunto il causale in quanto stadio (o acquisizione permanente o struttura). Perché ciò accada, deve attraversare la dimensione sottile (convertendola in uno stadio oggettivo) prima di poter mantenere stabilmente la posizione del testimone del causale (turiya), perché il testimone permanente è, per definizione, continuamente consapevole di tutto ciò che emerge – questo significa che il sottile è diventato un modello o struttura permanentemente disponibile nella coscienza. 

Quindi, gli stadi nello sviluppo integrale, e sempre e in ogni caso, non possono essere saltati (anche se non è necessario che siano padroneggiati completamente e in modo perfetto, ma devono essere stabilizzati come una capacità generale. Una persona che non può testimoniare lo stato sottile, non può per definizione testimoniare lo stato causale – ne consegue la natura evolutiva per stadi di queste strutture più elevate, mentre esse diventano acquisizioni permanenti). Vedi Appendice A. 

Tuttavia, quello che di solito succede é che, dal momento che queste tre grandi dimensioni e stati (veglia/grossolano, sogno/sottile e senza forma/causale) sono continuamente disponibili per gli essere umani, e dal momento che, in quanto stati, se ne può fare esperienza, fino a un certo punto, in modo indipendente uno dall’altro (e possono persino, in certa misura, svilupparsi in modo indipendente, vedi Wilber, 2000b), molte persone possono manifestare un notevole grado di competenza in alcuni di questi stati/dimensioni (come la meditazione senza forma nel causale), ma essere poco o patologicamente sviluppati in altre linee (come la personalità frontale o grossolana, lo sviluppo interpersonale, lo sviluppo psicosessuale, lo sviluppo morale, ecc.). Il fenomeno del “Buddha di pietra” – cioè, quando una persona può rimanere per lunghi periodi in uno stato straordinario di assorbimento senza forma – ed essere ancora poco o patologicamente sviluppata in altre linee o dimensioni, è un fenomeno estremamente comune, e avviene in gran parte perché non si è intrapreso uno sviluppo integrale, e tanto meno lo si è completato. Allo stesso modo, molti maestri spirituali mostrano un elevato livello di competenza negli stati sottili, ma un basso livello nel causale o nel grossolano, con risultati poco equilibrati per loro stessi e per i loro seguaci. 

In breve, ciò che generalmente avviene è che lo sviluppo è parziale o frammentato, e questo sviluppo frammentato viene considerato come lo sviluppo spirituale normale e naturale, e, quindi, a studenti e maestri viene richiesto di ripetere quella frammentazione come prova del loro progresso spirituale. 

Il fatto che si possa accedere a questi tre grandi dimensioni/stati separatamente; il fatto che molti scrittori contemporanei equiparino la spiritualità soprattutto agli stati di coscienza alterati o non ordinari (cosa che è spesso definita senza ironia la quarta onda della teoria transpersonale); il fatto che le linee si sviluppino generalmente in modo disuguale (così che una persona può trovarsi a un alto livello di sviluppo in alcune linee e a un livello basso o patologico in altre) – e che questo avvenga veramente molto spesso – tutti questi fattori hanno cospirato a offuscare questi importanti aspetti dello sviluppo spirituale che, in realtà, mostrano fenomeni assimilabili a un’evoluzione per stadi. La mia posizione è che tutti questi aspetti della spiritualità (ne ho menzionati quattro che spiegherò più avanti) devono essere riconosciuti e inclusi in qualsiasi teoria della spiritualità che voglia essere comprensiva, come in qualsiasi pratica spirituale genuinamente integrale.(14) 

Una Griglia di Esperienze Religiose 

Se combiniamo i livelli di sviluppo con gli stati di coscienza, e ci rendiamo conto che una persona praticamente a qualsiasi livello o stadio di sviluppo può avere esperienze di vetta o stati alterati, otteniamo una griglia abbastanza ragguardevole di vari tipi di esperienze spirituali e non ordinarie. 

Usiamo, per esempio, i termini di Jean Gebser (1985) per alcuni livelli di coscienza più bassi e intermedi: arcaico, magico, mitico, razionale, aprospettico (vi sono strutture più elevate, transpersonali, come abbiamo visto, ma limitiamoci a queste per ora).(15) A questi cinque livelli aggiungiamo i quattro stati, psichico, sottile, causale e non duale. La questione è che una persona, qualunque sia il livello o struttura in cui si trova, può avere un’esperienza di vetta di questi quattro stati, e questo ci dà una griglia di venti tipi di esperienze, spirituali, transpersonali, o non ordinarie (Wilber, 1983, 2000b). 

Come indicato sopra, la ragione per cui è possibile costituire questa griglia è che il modo in cui gli individui interpretano uno stato alterato dipende in parte dal loro livello generale di sviluppo. Per esempio, individui al livello mitico possono avere un’esperienza di vetta dello stato psichico, ma essi in generale interpreteranno quest’esperienza di vetta psichica nei termini della loro struttura mitica. Così pure, vi è un’esperienza magica di uno stato sottile, un’esperienza mitica di uno stato sottile, un’esperienza razionale di uno stato sottile; e lo stesso per il causale e il non duale.(16) Mettendole tutte insieme, abbiamo una griglia fenomenologica dei molti tipi di esperienze alterate, non ordinarie e religiose accessibili a uomini e donne. Per maggiori dettagli su questa griglia, vedi A Sociable God e Integral Psychology.(17) 

L’Io 

Abbiamo esplorato gli stati, le onde e le correnti. Dobbiamo ora occuparci dell’ “io” (o sistema dell’io, o senso dell’io), e, sebbene ci siano molti modi per descriverlo, uno dei più utili è quello di definirlo come ciò che cerca di integrare o equilibrare tutte le componenti della psiche (cioè, l’io cerca di integrare i vari stati, onde e correnti che sono presenti in una persona) (Wilber, 1986, 1996c, 1997a, 2000b). 

Una singolare constatazione circa i livelli, le linee e gli stati è che in se stessi essi appaiono privi di un senso dell’io intrinseco, e quindi l’io può identificarsi con ognuno di essi (come indicato dagli antichi teorici da Plotino a Buddha). Cioè, una delle principali caratteristiche dell’io sembra essere la sua capacità di identificarsi con le strutture di base o livelli della coscienza, e ogni volta che lo fa, secondo questa concezione, genera un tipo specifico di identità, con specifici bisogni e spinte. L’io appare, quindi, come un sistema funzionale (che include capacità quali l’identificazione, la volontà, la difesa, la regolazione delle tensioni; vedi Wilber et al., 1986), e anch’esso intraprende un suo proprio sviluppo attraverso una serie di stadi o onde (come studiato da, per esempio, Jane Loevinger, 1976; Robert Kegan, 1983; Susan Cook-Greuter, 1990). La differenza principale tra gli stadi dell’io e gli altri stadi è che l’io ha il compito di equilibrarli e coordinarli tutti. 

L’azione di equilibrare, questa spinta a integrare le varie componenti della psiche, sembra essere una caratteristica fondamentale dell’io. La psicopatologia, per esempio, non può essere compresa facilmente senza la considerazione di quest’aspetto (Blank and Blank, 1974, 1979; Kohut, 1971, 1977). Non sono le strutture basiche della coscienza a diventare malate o “rotte”. Esse o emergono o non emergono, e quando emergono, esse generalmente funzionano bene (tranne se ci sono danni organici al cervello). Per esempio, quando il pensiero operativo concreto (“conop”) emerge nel bambino, emerge più o meno intatto, ma ciò che il bambino fa con quelle strutture è un’altra questione, e questo coinvolge in modo specifico il sistema dell’io del bambino. Poiché il bambino può prendere uno qualsiasi dei contenuti della mente conop e reprimerlo, alienarlo, proiettarlo, retrofletterlo, o mettere in atto numerosi altri meccanismi di difesa (Vaillant, 1993). Questa è una malattia non della mente conop, ma dell’io. 

(Ecco un esempio estremo: uno psicotico può, tra altre cose, immergersi temporaneamente in una dimensione sottile e di conseguenza avere delle allucinazioni simili ai sogni. Non è la dimensione sottile che funziona male, funziona bene; ma l’io non può integrare queste dimensioni con le strutture grossolane/frontali, e quindi soffre di una grave patologia. La patologia non è del sottile, ma del sistema dell’io e della sua mancata capacità di integrazione.) 

La maggior parte delle psicopatologie (nelle dimensioni interiori) sembrano implicare un tipo o un altro di mancata capacità di differenziazione e integrazione dell’io – problema questo che si produce durante ciò che può essere chiamato fulcro dello sviluppo dell’io (Blank and Blank, 1974, 1979; Kegan, 1983; Wilber, 1986, 2000b).(18) Un fulcro si crea ogni volta che l’io incontra un nuovo livello di coscienza. L’io deve inizialmente identificarsi con questo nuovo livello (essere immerso, essere in fusione con quel livello); in seguito si disidentifica da quel livello (o trascende quel livello) così da passare a un livello più elevato; quindi, idealmente integra l’onda precedente con quella più elevata. 

Un insuccesso di uno qualsiasi di questi passi in quel particolare fulcro (mancata identificazione, mancata differenziazione, mancata integrazione) produrrà una patologia; e il tipo di patologia dipende sia da questo e sia dal livello della coscienza in cui il fulcro si costituisce (Wilber et a., 1986). Se abbiamo nove generali livelli o onde della coscienza (ciascuno dei quali ha un fulcro corrispondente che si produce quando l’io si identifica con quel livello) e ogni fulcro ha queste tre subfasi basiche (fusione, trascendenza, integrazione), allora abbiamo una tipologia di circa ventisette principali patologie dell’io (che spaziano da psicotico, a borderline, a nevrotico, a esistenziale, a transpersonale). Lontano dall’essere una tipologia meramente astratta, ci sono copiosi esempi di ognuno di questi tipi di patologia (Rowan, 1998; Walsh and Vaughan, 1993; Wilber, 1986, 2000b)(19) 

Ancora una volta, non si tratta di un tipo di classificazione rigida e lineare. Le varie onde e fulcri in larga misura si accavallano; diverse patologie e modalità di trattamento si sovrappongono anch’esse molto spesso; e lo schema non è altro che una generalizzazione. Tuttavia, esso contribuisce a sviluppare una visione d’insieme più comprensiva delle patologie e dei trattamenti, e come tale sembra costituire una parte importante di una genuina psicologia integrale. 

La natura fluida e mobile di tutti questi fenomeni mette in luce il fatto che il sistema dell’io può essere più efficacemente immaginato non come un entità monolitica, ma come il centro di gravità di vari livelli, linee e stati, tutti orbitanti intorno alla tendenza integrativa del sistema dell’io (Wilber, 1997a, 2000b). Quando un aspetto qualsiasi della psiche resta tagliato fuori da questa attività di autorganizzazione, esso, per così dire, raggiunge una velocità di fuga e rotea fuori dall’orbita, diventando una sacca dissociata, frammentata, alienata della psiche. La terapia, per quanto riguarda queste dimensioni interiori, implica allora ricontattare, riconciliare, reintegrare, e “far rientrare” questi elementi dissociati nell’orbita dell’inclusione e dell’abbraccio del conscio. 

Quattro Significati di “Spiritualità” 

Se consideriamo di nuovo per un attimo con attenzione gli stati, i livelli, le linee e l’io, troveremo che essi sono alla base delle più comuni definizioni di “spiritualità”. 

In Integral Psychology, indico che ci sono almeno quattro definizioni di spiritualità ampiamente utilizzate, ognuna delle quali contiene una verità importante, ma parziale, e ognuna delle quali deve essere inclusa in un approccio teorico equilibrato: 

1) la spiritualità implica esperienze di vette e stati alterati, che possono prodursi in quasi tutti gli stadi e a qualsiasi età; 

2) la spiritualità implica i livelli più alti di ciascuna linea; 

3) la spiritualità è essa stessa una linea di sviluppo separata; 

4) la spiritualità è un’attitudine (come apertura, fiducia, amore) che l’io, qualunque sia lo stadio di sviluppo, può o non può avere.(20) 

Abbiamo già trattato alcuni dei principali elementi di queste definizioni. Abbiamo esaminato in particolare quell’idea di spiritualità che implica esperienze di vette e stati alterati (#1). Vediamo ora una breve descrizione degli altri tipi. 

Spesso, quando si riferiscono a qualcosa definendolo “spirituale”, le persone vogliono significare esplicitamente o implicitamente i livelli più alti in una qualsiasi delle linee evolutive. Per esempio, nella linea cognitiva, pensiamo di solito alla consapevolezza transrazionale come spirituale, ma in generale non pensiamo che sia spirituale la mera razionalità o la logica. In altri termini, i più elevati livelli della cognizione sono spesso considerati spirituali, ma molto meno quelli bassi e medi. 

La stessa cosa avviene con gli affetti o le emozioni: gli affetti più elevati o transpersonali come amore e compassione, sono di solito definiti spirituali, ma gli affetti più bassi come odio e rabbia, non lo sono. 

Similmente per quanto riguarda la gerarchia dei bisogni di Maslow: i bisogni più bassi, come l’autoprotezione, non sono generalmente considerati spirituali, ma i bisogni più elevati, come l’autotrascendenza lo sono. 

Questo è, secondo me, un uso corretto poiché riflette alcuni degli aspetti evolutivi più rilevanti della spiritualità (in particolare, più una persona è evoluta in una data linea, più quella linea sembra assumere qualità spirituali). Questo non è l’unico aspetto della spiritualità – abbiamo già visto che gli stati sono molto importanti, e vedremo tra poco altri due aspetti – ma è un fattore che deve essere preso in considerazione in ogni trattazione comprensiva o integrale della spiritualità. 

La terza definizione vede la spiritualità come una linea evolutiva a sé stante. Gli stadi della fede di James Fowler ne sono un esempio molto conosciuto e rispettato (Fowler, 1981). La letteratura contemplativa mondiale è piena di descrizioni meticolose degli stadi dello sviluppo contemplativo (di nuovo, non come una serie di rigidi scalini di una scala, ma come onde fluenti d’esperienze meditative sempre più sottili, spesso culminanti nel senza forma causale, per poi aprirsi alla permanente coscienza nonduale. Vedi Brown, 1986; Goleman, 1988). Nell’utilizzazione molto comune di questa visione, la linea spirituale comincia nell’infanzia (o anche prima, nel bardo e negli stati prenatali), per poi dispiegarsi in sfere di coscienza più ampie e profonde fino alla grande liberazione dell’illuminazione. Questa è un’altra importante visione della spiritualità che ogni teoria comprensiva o integrale prenderà in considerazione. 

Considerare la spiritualità come una linea relativamente indipendente spiega anche il fatto generalmente riconosciuto che una persona possa essere altamente evoluta per quanto concerne la linea spirituale e, tuttavia, poco o patologicamente sviluppata per quanto concerne le altre linee, come quella psicosessuale o interpersonale, spesso con esiti nefasti.(21) 

La quarta definizione intende la spiritualità essenzialmente come un’attitudine o un tratto che l’io può possedere come non possedere a ogni stadio della crescita, e quest’attitudine – forse benevolenza amorevole, pace interiore, carità o bontà – è ciò che più caratterizza la spiritualità. In questa visione, possiamo avere un’onda magica spirituale o non spirituale, un’onda mitica spirituale o non spirituale, un’onda razionale spirituale o non spirituale, eccetera; e questo dipende dalla capacità dell’io di integrare quell’onda in un modo sano o patologico. Anche questo è un modo di intendere la spiritualità molto comune e importante che sarà preso in considerazione da una teoria integrale.(22) 

Due precisazioni: Primo, queste quattro definizioni principali sono, di fatto, definizioni molto comuni di “spiritualità”. Non sono le uniche, ma sono alcune tra le più utilizzate. Secondo, queste quattro definizioni dipendono dal fatto che esistono gli stati, i livelli, le linee e l’io, rispettivamente. Sembra che le persone riconoscano intuitivamente o spontaneamente l’esistenza di stati, livelli, linee e io, e quando si tratta della spiritualità traducono le loro intuizioni spirituali nei termini di quelle dimensioni disponibili, e questo dà luogo a quelle definizioni. 

Tali definizioni non sono reciprocamente incompatibili. Esse, in realtà, si combinano in un tutto integrato, come ho cercato di sostenere in Integral Psychology. Possiamo renderci conto, per esempio, che ogni modello che includa in modo coerente gli stati, i livelli, le linee e l’io, prende in considerazione automaticamente questi quattro aspetti della spiritualità. Ma per vedere come questo funzioni in modo più specifico, abbiamo bisogno di un altro elemento: i quattro quadranti. (I quattro quadranti non vanno confusi con le quattro definizioni di spiritualità; il numero quattro è del tutto accidentale in questo caso.) Ma i quattro quadranti sono essenziali, a mio parere, per vedere come le varie definizioni di spiritualità possano essere riunite in un reciproco accordo. 

Quadranti 


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Per la maggior parte delle persone risulta inizialmente un po’ difficile comprendere i quattro quadranti, mentre in seguito diventa molto facile utilizzarli. I quadranti si riferiscono al fatto che qualsiasi cosa può essere osservata da quattro prospettive, per così dire: possiamo osservare qualcosa dall’interno o dall’esterno, e al singolare o al plurale. Per esempio, la mia coscienza in questo momento. Posso osservarla dall’interno, nel qual caso osservo i miei vari sentimenti, speranze, paure, sensazioni e percezioni che posso avere in ogni momento dato. Questa è una visione in prima-persona o fenomenologica, descritta del linguaggio dell’“io”. 

Ma la coscienza può anche essere osservata in modo oggettivo, “scientifico”, nel qual caso potrei concludere che la mia coscienza sia il prodotto di meccanismi cerebrali oggettivi e di sistemi neurofisiologici. Questa è una visione oggettiva o in terza-persona. Queste sono le osservazioni dall’interno o dall’esterno della mia coscienza. 

Ma la mia coscienza o “io” non esiste in un vuoto; esiste in una comunità di altri “io”. Quindi in aggiunta all’osservazione della coscienza al singolare, possiamo considerare come la coscienza esista al plurale (come parte di un gruppo, di una comunità, di una collettività). E proprio come possiamo esaminare l’interno e l’esterno di un individuo, possiamo esaminare l’interno e l’esterno di una collettività. Possiamo cercare di comprendere qualsiasi gruppo di persone dall’interno, in una risonanza empatica di comprensione reciproca, o possiamo cercare di osservarlo dall’esterno, in modo obiettivo e distaccato (entrambi i modi sono utili, purché ciascuno di essi sia preso in considerazione e onorato). 

All’interno della collettività, troviamo tutte le varie visioni del mondo condivise (arcaica, magica, mitica, razionale, ecc.), l’etica, i costumi, i valori, e le strutture intersoggettive che quei gruppi di individui hanno in comune (che si tratti di famiglia, pari, corporazione, organizzazione, tribù, città, nazione, pianeta). L’interno del collettivo è descritto nel linguaggio del “noi” e include tutti quei fattori intersoggettivi di cui si può fare esperienza se si è genuini membri di quella cultura. 

Dall’esterno, osserviamo tutte le strutture oggettive e le istituzioni sociali del collettivo, come gli edifici, le infrastrutture e la base tecno-economica (caccia e pesca, orticoltura, agraria, industriale, informatica), gli aspetti quantitativi della società (i tassi di natalità e mortalità, gli scambi monetari, i dati oggettivi), i modi di comunicazione (stampa, telegrafo, telefono, internet), ecc. Questi sono tutti “essi”, oggetti, o modelli dei sistemi sociali interoggettivi. 

Abbiamo, quindi, quattro prospettive principali (l’interno e l’esterno del singolare e del plurale); io, ciò, noi e essi. Poiché le dimensioni oggettive (l’esterno individuale e l’esterno collettivo) sono descritti entrambi nel linguaggio in terza-persona o nel linguaggio del “ciò”, possiamo ridurre i quattro quadranti a tre: io, noi e ciò. O prospettive in prima-persona, seconda-persona, e terza-persona.(23) O arte, morale e scienza. O il bello, il buono e il vero. 

L’aspetto più importante è che ciascuno dei livelli, ciascuna delle linee e ciascuno degli stati della coscienza ha questi quattro quadranti (o più semplicemente le tre dimensioni principali di io, noi e ciò) (Wilber, 1995, 1996d, 1997a, 2000b).(24) Questo modello integra esplicitamente le descrizioni della coscienza in prima, seconda e terza-persona in ciascuno dei livelli, linee e stati. Questo fornisce quello che io credo sia un modello della coscienza più comprensivo e integrale. Questo modello “tutti-i-quadranti, tutti-i-livelli, tutte-le-linee, tutti-gli-stati” è chiamato talvolta semplicemente “tutti-i-quadranti, tutti-i-livelli” o AQAL, in breve. Ho esplorato lungamente questo modello in molti libri, come Sex, Ecology, Spirituality; A Brief History of Everything; e Integral Psychology. Se esaminiamo sistematicamente le implicazioni di questo modello AQAL, scopriamo che esso schiude la possibilità di un approccio più integrale all’educazione, alla politica, agli affari, all’arte, al femminismo, all’ecologia, ecc. (vedi, per esempio, Crittenden, 2001; Wilber, 2000c). 
Devo sottolineare che questo testo ha trattato quasi esclusivamente un solo quadrante, cioè l’interiorità dell’individuo (che è chiamato quadrante Alto/Sinistra). Ma in altre lavori ho trattato ampiamente gli altri quadranti, e la mia posizione è che certamente tutti i quadranti devono essere inclusi in una descrizione più integrale della coscienza. Torneremo sui quadranti più avanti, e indicheremo come la formulazione AQAL può contribuire alla soluzione del “problema difficile”. 

La Griglia di Esperienze Religiose Rivisitata 

Per rendersi conto di quanto i quattro quadranti siano importanti per comprendere anche la psicologia individuale, torniamo alla nostra “griglia religiosa” come un esempio. Abbiamo trattato sopra soltanto il quadrante Alto/Sinistra (l’interiorità individuale), e questo va bene per la fenomenologia delle esperienze spirituali. Ma per una visione integrale, abbiamo bisogno di includere anche gli altri quadranti. 

Il quadrante Alto/Destra (l’esteriorità dell’individuo): durante qualsiasi stato di coscienza spirituale, religioso o non ordinario, quali sono i correlativi aspetti neurofisiologici e della condizione del cervello? Questo può essere investigato dalla scansione PET, dai modelli dell’EEG, dai marcatori fisiologici, eccetera. Viceversa, quali sono gli effetti dei vari agenti fisiologici e farmacologi sulla coscienza? Un’enorme quantità di ricerche di questo tipo è stata già intrapresa, naturalmente, e continua a esserlo a un ritmo accelerato. La coscienza è chiaramente collegata in molti modi complessi ai sistemi oggettivi biologici e neurofisiologici, e continuare le ricerche su queste correlazioni rappresenta sicuramente un importante impegno all’ordine del giorno. Questo tipo di ricerche sulla coscienza – concentrate sul versante cervello della connessione mente-cervello – è uno degli studi convenzionali sulla coscienza più frequenti, e io ne sono un convinto sostenitore, dal momento che fornisce delle tessere essenziali dell’intero puzzle. 

Nessuno, tuttavia, ha mai potuto dimostrare con successo che la coscienza possa essere del tutto ridotta a quei sistemi oggettivi; ed è assolutamente evidente che fenomenologicamente questo non possa essere dimostrato. Sfortunatamente, la tendenza degli approcci in terza-persona che riguardano la coscienza è di cercare di rendere il quadrante Alto/Destra l’unico che valga la pena di considerare, e quindi riduce tutta la coscienza a “ciò” oggettivi nel corpo/cervello individuale – ma questo copre soltanto un quarto della storia, per così dire. 

Tuttavia, si tratta di una parte importante della storia. Questo quadrante è, infatti, la casa delle scuole di psicologia che sono sempre più dominanti e degli studi sulla coscienza che ho menzionato nell’introduzione (come la scienza cognitiva, la psicologia dello sviluppo, la teoria dei sistemi applicata agli stati del cervello, la neuroscienza, la psichiatria biologica, ecc.). Questo quadrante fornisce il versante “cervello” dell’equazione e ha bisogno di essere correlato con il versante “mente” (rappresentato, per esempio, dal nostro “schema generale” o cartografia a spettro intero delle onde, correnti e stati, sintetizzato in questo articolo).(25) Un’altra ulteriore questione essenziale è che questi sono solo due dei quadranti che bisogna includere nel modello integrale. 

Il quadrante Basso/Sinistra (l’interiorità del collettivo): come avviene che i vari contesti intersoggettivi, etici, linguistici e culturali modellino la coscienza e gli stati alterati? I postmodernisti e i costruttivisti hanno dimostrato, correttamente a parer mio, il ruolo fondamentale giocato da retroterra culturale e dai contesti intersoggettivi nel plasmare la coscienza individuale (Wilber, 1995, 1998). Ma molti postmodernisti hanno spinto questa intuizione verso limiti estremi e assurdi, sostenendo la posizione autocontraddittoria che i contesti culturali creano tutti gli stati. Invece di ridurre la coscienza al linguaggio del “ciò”, cercano di ridurre l’insieme della coscienza al linguaggio del “noi”. Tutte le realtà, incluse quelle della scienza oggettiva, vengono considerate delle semplici costruzioni culturali. 

Al contrario, la ricerca mostra in modo inequivocabile che vi sono numerosi aspetti quasi-universali in molte realtà umane, inclusi molti stati alterati (per esempio, tutti gli esseri umani sani mostrano modelli simili di onde cerebrali nel sonno REM e nel sonno profondo senza sogni). Nondimeno, questi modelli ricevono, di fatto, alcuni dei loro contenuti e sono plasmati in modo significativo dai contesti culturali, e questo forma, di conseguenza, una parte importante di un’analisi più integrale (Wilber, 1995, 1998, 2000b, 2001). (Circa la natura dell’intersoggettività e le ragioni per cui non può essere ridotta allo scambio di significanti linguistici, vedi la nota 23.) 

Il quadrante Basso/Destra (l’esteriorità del collettivo): come avviene che i vari modi tecno-economici, le istituzioni, le condizioni economiche, le reti ecologiche e i sistemi sociali influiscano sulla coscienza e gli stati alterati? La profonda e importante influenza dei sistemi sociali oggettivi sulla coscienza sono stati investigati da una grande varietà di approcci, come l’ecologia, la geopolitica, l’ecofemminismo, il neomarxismo, la teoria dinamica dei sistemi e le teorie del caos e della complessità (per esempio, Capra, 1997; Diamond, 1990; Lenski, 1995). Essi, nel loro insieme, tendono a vedere il mondo come un sistema olistico di “ciò” interrelati. Anche queste teorie costituiscono una componente importante di un modello integrale. Sfortunatamente, molti di questi studiosi (come del resto gli specialisti degli altri quadranti) hanno cercato di ridurre la coscienza a questo unico quadrante – di ridurre la coscienza a bit digitali in una rete sistemica, un elemento oggettivo della Rete della Vita, o un modello olistico di “ciò” senza profondità e interiorità (flatland), distruggendo completamente le dimensioni dell’io e del noi. Certamente un approccio più integrale includerebbe tutte le dimensioni – io, noi, ciò e essi – evitando di ridurre uno qualsiasi dei quadranti agli altri.(26) 

Naturalmente, la suddetta analisi si applica non soltanto agli stati ma anche ai livelli, alle linee e all’io: tutti devono essere situati nei quattro quadranti (intenzionale, comportamentale, culturale e sociale) per una comprensione più integrale che risulti in un modello “tutti-i-quadranti, tutti-i-livelli, tutte-le-linee, tutti-gli-stati”. 

Suggerimenti per la Ricerca 

Ho cercato di sostenere che molti dei livelli, linee e stati nei vari quadranti possono, in principio, essere investigati con un tipo di “ricerca simultanea” (Wilber, “An Integral Theory of Consciusness”, in CW7). I contenuti specifici della ricerca sono spiegati dettagliatamente in quel saggio, ma la questione è molto semplice: in aggiunta all’ampio lavoro di ricerca che attualmente viene condotto separatamente sui vari livelli, linee e stati nei vari quadranti, i tempi sono ormai maturi per 1) iniziare a specificare le correlazioni che questi fenomeni hanno tra loro; e quindi 2) muoversi verso una teoria più integrale non solo della coscienza, ma del Kosmo in generale; una teoria che 3) cominci a mostrarci il come e il perché delle connessioni intrinseche tra tutto ciò che esiste.(27) Questa sarebbe una vera “teoria del tutto”, per lo meno un abbozzo, anche se l’insieme dei dettagli rimarrebbero fuori dalla nostra portata. 

In breve, che si sia o no d’accordo con la mia particolare versione di un modello integrale della coscienza, credo che ci siano ormai prove sostanziali per sostenere che qualsiasi modello comprensivo dovrebbe almeno voler considerare la necessità di includere quadranti, livelli, linee, stati e l’io. Nel campo degli studi integrali siamo ancora agli inizi, ma, a mio parere, ci sono grandi speranze circa il suo futuro sviluppo in quanto parte importante di una visione comprensiva ed equilibrata della coscienza e del Kosmo. 

Appendice A. Ci Sono Stadi di Sviluppo Spirituali? 

Questo saggio ha suggerito che ci sono almeno quattro differenti definizioni di “spiritualità” più comunemente usate (la spiritualità implica stati alterati, si riferisce ai più elevati livelli di ogni linea, è essa stessa una linea separata, è una qualità dell’io a ogni livello dato), e che ciascuna di esse sembra riflettere un importante fenomeno della coscienza (cioè, stati, livelli, linee, io). Negli ultimi anni abbiamo assistito a un acceso e talvolta aspro dibattito intorno alla questione se la spiritualità implicasse o meno dei livelli, con alcuni che sostenevano che senza dubbio ci sono e altri che rispondevano che assolutamente non ci sono, mentre i sostenitori di una posizione adducevano spesso spiegazioni ad hominem delle motivazioni degli avversari. 

Una visione più integrale della spiritualità riconosce che entrambe le posizioni sono corrette. Alcuni aspetti della spiritualità mostrano senza dubbio dei livelli, e alcuni aspetti non li mostrano. Nei quattro aspetti esposti sopra, il primo e il quarto non implicano stadi. Il secondo e il terzo lo fanno. 

Possiamo esaminare alcuni di questi aspetti evolutivi della spiritualità utilizzando l’eccellente articolo di Robert Forman “What Does Mysticism Have to Teach Us about Consciusness” (Journal of Consciusness Studies, 5, 2, 1998, 185-201). Forman inizia mettendo in evidenza tre tipi di coscienza mistica particolarmente importanti e a quanto sembra universali, che egli chiama 

“evento di coscienza pura” (PCE, “pure consciousness event” ), che è uno stato di coscienza senza forma con assenza di pensieri, oggetti, o percezioni; 

“stato mistico duale” (DMS), in cui la coscienza senza forma è presente (di solito come un tipo di consapevolezza che testimonia) simultaneamente con le forme e gli oggetti del pensiero e della percezione (ma la dualità soggetto-oggetto è ancora presente, da cui la definizione di stato mistico “duale”; 

e “stato mistico unitivo” (UMS), in cui soggetto e oggetto sono uno o non duale. 

Nel mio schema, PCE è lo stato di coscienza causale (senza forma); poiché, come Forman sottolinea, si tratta sempre di uno stato temporaneo, non può diventare una struttura permanente (se lo diventasse, sarebbe un tipo di nirodh irreversibile o di cessazione permanente senza forma). 

DMS, d’altra parte, inizia solitamente come uno stato di coscienza, ma può diventare progressivamente una struttura più o meno permanente di testimone causale (cioè, lo stato causale è diventato una struttura causale). Similmente, 

UMS spesso inizia come uno stato non duale temporaneo, ma poi progressivamente può diventare una struttura o onda non duale permanente. Sono completamente d’accordo con Forman quando afferma che questi sono tre eventi mistici molto reali e quasi universali; sono anche sostanzialmente d’accordo con le sue conclusioni circa che cosa questi eventi significhino per gli studi sulla coscienza, e questa è la ragione per la quale essi fanno parte della “cartografia a spettro intero” o “schema generale” presentato in Integral Psychology (che ho sintetizzato sopra). 

Forman sottolinea, mi sembra correttamente, che questi tre eventi sono spesso temporanei (nel qual caso sono ciò che definisco stati), ma gli ultimi due possono diventare acquisizioni più o meno permanenti (nel qual caso li definisco strutture, anche se alcuni sono “senza forma” o “senza struttura”; struttura, livello, onda significano semplicemente permanenza). Come afferma Forman, “Il modo di discriminare nei tre eventi rappresenta un mutamento profondo nella struttura epistemologica; la relazione sperimentata tra l’io e gli oggetti percepiti cambia profondamente. In molte persone questa nuova struttura diventa permanente” (186). 

La domanda diventa allora: questi tre eventi si dispiegano in una sequenza per stadi? Forman risponde con cautela: “Di solito”. “Questi mutamenti a lungo temine nella struttura epistemologica spesso assumono la forma di due salti quantici nell’esperienza [cioè, il passaggio da PCE a DMS e poi da DMS a UMS]; essi si sviluppano tipicamente in modo sequenziale” (186). 

Forman aggiunge: “Dico tipicamente perché talvolta qualcuno può saltare o non raggiungere uno stadio particolare. Ken Wilber difende la sequenza per stadi. William Bernard, d’altro canto, non è d’accordo con questa posizione” (186) Dopo molte discussioni reciprocamente utili su questo tema, Forman si è reso conto che la mia posizione è in realtà più complessa. Come abbiamo visto, ci sono temporanee esperienze di vetta delle dimensioni più elevate praticamente a ogni stadio, e quindi, per esempio, anche se una persona è permanentemente al livello DMS, può ancora avere esperienze di vetta temporanee di UMS. Questo rende molto difficile individuare un qualche tipo di sequenzialità, perché le strutture/stadi (che sono sequenziali) e gli stati (che non lo sono) possono esistere ed esistono simultaneamente. Quindi, per quanto concerne questi eventi più elevati, io sostengo che sono fenomeni spirituali sia sequenziali che non sequenziali (se prendiamo i quattro aspetti della spiritualità, descritti sopra, gli aspetti # 1 e # 4 non sono sequenziali, gli aspetti # 2 e # 3 lo sono), e chi sostiene o una o l’altra posizione non sembra possedere un modello molto integrale. 

Io sostengo, inoltre, semplicemente che per una acquisizione permanente di queste competenze più elevate, bisogna che ci siano alcuni prerequisiti. Per esempio, usando le categorie di Forman che sono molto utili, perché lo stato DMS sia un’acquisizione permanente, è necessario avere una qualche forma di accesso allo stato PCE, dal momento che DMS è una combinazione dell’esperienza della pura coscienza con agli oggetti e i pensieri della veglia. E’ inevitabile che ci sia un qualche tipo di sequenza per stadi, anche se breve (cioè, si può raggiungere PCE senza raggiungere DMS, ma non viceversa). 

Lo stesso avviene con UMS, in cui la barriera ultima tra la pura coscienza causale e il mondo delle forme è trascesa (sia temporaneamente come stato non duale, sia permanentemente come onda non duale). Perché ciò avvenga, la coscienza deve abbandonare l’attaccamento a qualsiasi oggetto particolare, mentre gli oggetti sono ancora presenti (cioè, DMS), altrimenti l’attaccamento nascosto impedirà la vera unione. Quindi, bisogna attraversare DMS, anche se brevemente, per raggiungere l’acquisizione permanente della coscienza unitiva permanente. Cioè, una persona può raggiungere DMS senza aver raggiunto UMS, ma non viceversa: abbiamo allora una sequenza per stadi se ci riferiamo all’acquisizione permanente. 

(Per una trattazione ulteriore di questi temi, vedi Integral Psychology; per quanto riguarda il modello Vedantico/TM dei sette stadi di coscienza, a cui il lavoro di Forman si ispira, vedi il cap. 10 di Eye of Spirit, seconda edizione riveduta, CW7.) 

Un ultimo commento circa lo stato UMS (stato mistico unitivo) e il misticismo della natura. Questi due aspetti sono spesso confusi, ma sono in realtà alquanto diversi. Riporto una nota tratta da Integral Psychology che tratta questo tema (nota 14 del cap.7) e che utilizza come punto di partenza la nozione di Mark Baldwin di “coscienza di unità”: 

“La “coscienza di unità” di Baldwin si riferisce all’unità con la dimensione grossolana o misticismo della natura (livello psichico). Non riconosce il misticismo archetipico, la coscienza sottile, il sogno lucido, o savikalpa samadhi (tutte le forme di misticismo della divinità o misticismo del livello sottile); e non riconosce neppure la coscienza senza forma (causale), e, quindi, non raggiunge il puro non duale (che è unione di forma e vuoto). L’unione con la natura, quando non riconosce lo stato senza forma della cessazione, riguarda sempre il livello psichico, la coscienza cosmica grossolana, o il misticismo della natura (non il misticismo non duale o integrale). Nondimeno, si tratta di una esperienza transpersonale profonda e genuina. 

Uno dei modi più semplici per definire se una “esperienza di unità” si riferisca alla dimensione grossolana (misticismo della natura), alla dimensione sottile (misticismo della divinità), alla dimensione causale (misticismo senza forma), o alla genuina coscienza non duale (unione delle forme di tutte le dimensioni con il puro senza forma) è quello di considerare la natura della coscienza durante il sogno e il sonno profondo. 

Se chi scrive parla di esperienza di unità avuta durante la veglia, si tratta di solito di misticismo della natura della dimensione grossolana. 

Se questa coscienza di unità continua nello stato di sogno – e allora lo scrivente parla di sogno lucido, unione con luminosità interiori e anche con la natura esteriore grossolana – questo è di solito il misticismo della divinità della dimensione sottile. 

Se questa coscienza continua nello stato di sogno profondo – così che chi scrive realizza un Sé che è interamente presente nei tre stati di veglia, di sogno e di sonno profondo – questo è di solito il misticismo senza forma della dimensione causale (turiya). 

Se poi si scopre che questo Sé senza forma è uno con le forme di tutte le dimensioni – grossolana, sottile e causale – questa è la pura coscienza non duale (turiyatita). 

Molti mistici della natura, ecopsicologi e neopagani considerano che l’unità con la natura della dimensione grossolana e dello stato di veglia sia la possibilità più elevata di unione disponibile, ma questo è in realtà la prima delle quattro maggiori unioni mistiche o samadhi. Il “sé profondo” dell’ecopsicologia non deve essere confuso con il Vero Sé dello Zen, l’Ati dello Dzogchen, il Brahman-Atman del Vedanta, ecc. 

Queste distinzioni aiutano anche a collocare filosofi come Heidegger e Foucault, i quali parlarono entrambi di unioni di tipo mistico con la natura. Esse erano spesso esperienze di unità con la natura profonde e autentiche (Nirmanakaya), ma non devono essere confuse con lo Zen o il Vedanta, perché questi ultimi si spingono fino al causale senza forma (Dharmakaya, nirvikalpa samadhi, jnana samadhi, ecc.), e quindi nella pura unità non duale (Svabhavikakaya, turiyatita) con tutte le dimensioni, grossolana, sottile e causale. Molti scrittori confondono Nirmanakaya con Svabhavikakaya, e così ignorano le principali dimensioni dello sviluppo interiore che si stendono tra i due, cioè Sambhogakaya e Dharmakaya). 

Appendice B. Il Problema di Difficile Soluzione 

Il modello “tutti-i-quadranti, tutti-i-livelli” (AQAL) presentato in questo testo, poiché include le onde transpersonali e non duali ha – o pretende di avere – una soluzione per “il problema di difficile soluzione ” che riguarda la coscienza (il problema di come possiamo trarre esperienze soggettive da un mondo che si suppone materiale, oggettivo e non esperienziale). 

Le tradizioni di saggezza operano generalmente una distinzione tra verità relativa e verità assoluta (la prima si riferisce alle verità relative nel mondo convenzionale, dualistico e l’ultima si riferisce alla realizzazione del mondo assoluto o non duale, una realizzazione nota come satori, moksha, metanoia, liberazione, ecc. (Deutsch, 1969; Gyatso, 1986; Smith, 1993). Un modello integrale include auspicabilmente le due verità. Io propongo di considerare che, dalla prospettiva relativa, tutte le entità esistenti hanno quattro quadranti, incluse un’interiorità e un’esteriorità, e che, di conseguenza, le “esperienze soggettive” e la “materia/energia oggettiva” emerge in modo correlato dal primo momento.(28) 

Dalla prospettiva assoluta, un modello integrale suggerisce che la soluzione finale di questo problema può essere realmente scoperta soltanto nel satori, o risveglio personale al Sé non duale. La ragione per cui il problema difficile rimane difficile è la stessa per cui la verità assoluta non può essere espressa con parole relative: il non duale può essere conosciuto soltanto attraverso un cambiamento della coscienza, non un cambiamento di parole, mappe o teorie. 

Il problema difficile ruota essenzialmente intorno alla relazione effettiva tra soggetto e oggetto, e si afferma che questa relazione svela la sua verità ultima soltanto nel satori (come sostengono i filosofi delle tradizioni non duali, da Plotino a Lady Tsogyal, a Meister Eckhart; vedi Alexander, 1990; Forman, 1998b; Murphy, 1992; Rowan, 1993; Smith, 1993; Walsh, 1999; Wilber, 1996c, 1997a). Potremmo dire che ciò che è “visto” nel satori è che il soggetto e l’oggetto sono non duali, ma queste sono soltanto parole, e quando si cerca di esprimerlo, l’assoluto o non duale genera solo antinomie, paradossi, contraddizioni. Secondo questo punto di vista, la “soluzione” non duale al problema difficile può essere trovata soltanto dallo stato o dal livello di coscienza non duale stesso, il che richiede di solito anni di disciplina contemplativa, e quindi non è una “soluzione” che possa essere trovata in un libro o in una rivista – e quindi rimarrà un problema di difficile soluzione per coloro che non trasformano la loro coscienza. In breve, la soluzione finale, assoluta, non duale al “problema difficile” si trova soltanto nel satori.
Sul piano relativo – che implica i tipi di verità che possono essere espresse in parole.