domenica 31 agosto 2014

Tecniche di Meditazione


a cura di Italia Salute
http://www.italiasalute.it/news.asp?ID=2336 


  Come la cultura indiana afferma, ciò che sta nel mentale, risulta dalle impressioni che i fatti della vita hanno determinato in noi attraverso i sensi. Gli avvenimenti sono comparabili a film archiviati che costituiscono la nostra memoria storica. Attraverso un particolare e complesso meccanismo, tali pellicole vengono riproposte al conscio e rielaborate, per non dire “ricolorate”, dal nostro regista interiore e dai suoi stati d’animo

  Egli essendo in continua evoluzione le rivede modificandole in continuazione. Si tratta pur sempre di passato, anche se rielaborato, e quando manca la conoscenza viene purtroppo scambiato per presente. Le vie orientali sono impegnate da migliaia di anni nel tentativo di riportare l’uomo nel presente proponendone la sperimentazione nella coscienza. Anche per questo, un termine più adatto per definire tali pratiche potrebbe essere "contemplazione". E, specialmente nelle tradizioni dell’India, la contemplazione assume una grande importanza, al punto, da essere considerata nelle pratiche spirituali determinante ai fini dell’illuminazione

  In ogni caso, i conti vanno sempre fatti con il mentale e gli antichi maestri hanno proposto vari metodi per ottenere il superamento del suo contenuto: essi vanno dall’induzione o suggestione all’inganno, dal rallentamento dell’attività alla raffinata e univoca concentrazione. Come dice il maestro Amadio Bianchi, "la via dell’inganno, ad esempio, implica la conoscenza e lo studio dei procedimenti usati dal mentale per poterli aggirare mediante astuzia; la via del rallentamento si persegue con la riduzione dell’attività mentale attraverso appropriate tecniche di rilassamento o ascetiche; la via della raffinata univoca concentrazione, elegge come strumenti preferiti il mantra, lo yantra, e qualsiasi altro strumento che faciliti la focalizzazione della mente in un punto". In qualche caso è ammesso passare attraverso uno stato di sovraeccitazione attraverso un carico specifico, che tende a uniformare le onde cerebrali fino a farle divenire un unica onda dello stesso tipo. 

  La pratica, tuttavia, considerata più produttiva dalla maggior parte dei maestri è quella che sviluppa il “vairagya” o distacco. Questa, che promuove la capacità di contemplare il proprio mentale, senza venirne coinvolti, è reputata la via della conoscenza. Facciamo di nuovo un passo indietro e prendiamo ancora in considerazione taluni metodi comuni soprattutto in uso nelle scuole di yoga occidentali, basati sull’induzione o autosuggestione. Dice Bianchi: "Ritengo che essi siano conseguenza dell’approccio di tipo salutistico che l’occidentale mette in atto nei confronti delle discipline orientali ma che risultano, a mio parere, essere molto lontani dagli obiettivi più alti di queste discipline. Tali tecniche consistono nel sedersi sul pavimento, ad occhi chiusi, e come prima esperienza praticare la consapevolezza del proprio piano fisico. Attraverso il risveglio dell’attenzione è possibile divenire consapevoli dello stato di disagio o di sofferenza su questo piano. Esso si manifesta con la presenza di tensioni di vario tipo localizzabili nelle diverse aree del corpo". 

  Normalmente, si rimuovono le tensioni attraverso la decontrazione di tali parti, inducendo uno stato diverso da quello riscontrato. Si procede poi nei confronti dell’atto respiratorio spontaneo: si induce un ritmo che può richiamare stati di maggiore tranquillità e serenità che si riflettono anche sul piano emotivo. Infine attraverso l’autosuggestione, il più delle volte procurata con l’evocazione di immagini piacevoli, si può modificare il contenuto della mente. 

  "Ripeto che questo è forse il metodo maggiormente in uso nelle scuole di yoga sia occidentali, sia orientali poco “impegnate”. Tale metodo è “provvisoriamente” salutare ma, come ho già affermato, assai lontano dagli alti obiettivi dello yoga della “Conoscenza”. La Conoscenza oggettiva, risulta tale, solo se non viene alterata dalla partecipazione del meditante. Nella via più elevata, cioè, si procede sviluppando la qualità dello spettatore e, con l’esercizio, si impara ad essere coinvolti il meno possibile. La tecnica grossomodo è la seguente: lo studente si siede in posizione di meditazione e nella fase iniziale impara a contemplare il suo corpo senza intervenire, semplicemente prendendo atto delle sue tensioni". 

  La stessa cosa fa con il respiro: contempla il respiro spontaneo senza modificarne il ritmo. Infine, cosa assai più difficile, prova a osservare con distacco il contenuto della sua mente... proprio come dovrebbe fare uno spettatore “evoluto” in una sala cinematografica. Egli dovrebbe sempre essere cosciente di essere seduto, di respirare e essere consapevole che le immagini sullo schermo non sono la realtà oggettiva, ma la proiezione della mente del regista. Tale giusto atteggiamento non porta al coinvolgimento in un “falso” quale può essere un film che spesso viene scambiato dagli spettatori non “risvegliati” per il reale. 

  Il Vairagya o distacco, consente, a mano a mano che l’abilità del meditante si fa più raffinata, di affrontare gli strati più profondi del subconscio e dell’inconscio liberandoli per riviverli nuovamente nel conscio. In questo modo, senza coinvolgimento, possiamo conoscere la loro vera natura e origine e liberarci dalle impressioni che li rivestono. Essi torneranno ad essere utili come memoria-esperienza ma non saranno più in grado di creare disturbo nè impedimento all’esplorazione di ciò che sta oltre il mentale. 

  Trascendere il mentale, porta a conoscere la natura essenziale e reale delle cose, non più rivestite dalle sovrastrutture costruite dall’ego. E’ questa la via considerata della liberazione e conoscenza

mercoledì 13 agosto 2014

Necessità e difficoltà della Meditazione



di Don Alfredo Morselli  


Necessità della Meditazione 

  La pratica quotidiana della meditazione rende l'anima raccolta profondamente in Dio, mentre il tralasciarla la rende dissipata. (S. Francesco di Sales) 

   Un cristiano che non ama la meditazione è moralmente impossibile che viva fervoroso, ma vivrà tiepido e rilassato. A maggior ragione un sacerdote o un religioso. (S. Alfonso de Liguori) 

  La persona che non medita, conoscerà poco i suoi bisogni spirituali, poco i pericoli per la sua salvezza, poco i mezzi che deve usare per vincere le tentazioni, poco la necessità di pregare e certamente si perderà. (S. Alfonso dei Liguori) 

  La tentazione di lasciare la meditazione fu la maggiore che io ebbi ed avendola lasciata per un anno e mezzo mi ero già messa da me nell'inferno senza bisogno di demoni che mi facessero andare . Il demonio sa bene che un'anima fedele alla meditazione è perduta per Lui. (S. Teresa d' Avila) 

  La meditazione è il principio per acquistare tutte le virtù e tutti i cristiani devono praticarla. Nessuno, se Dio l'ispira a questo santo esercizio, oserà lasciarla. (S. Teresa d'Avila) 

  Quando noi pensiamo alle cose divine non per apprenderle, ma per innamorarci di esse, allora possiamo dire di fare meditazione, nella quale il nostro spirito come un'ape sacra, vola qua e là sopra i misteri della fede per estrarne il miele del divino amore. (S. Francesco di Sales) 

 Se un giorno non potete meditare, riparate questa perdita con brevi preghiere e atti d'amore, con la lettura di qualche pagina di buon libro o con qualche penitenza che impedisca la continuazione di questo difetto, rinnovando una ferma risoluzione, di non lasciarla il giorno dopo. (S. Francesco di Sales) 

  Iniziate sia l'orazione mentale che quella vocale col mettervi alla presenza di Dio, mantenete questa regola senza alcuna eccezione e in poco tempo ne sperimenterete il profitto. (S. Francesco di Sales) 


Difficoltà che incontriamo nel meditare  

  Voi mi dite che nella meditazione vi rimanete come un fantasma o una statua. Sappiate che il rimanervi così non è poco, perchè è grande felicità per noi stare alla presenza di Dio. Accontentatevi di ciò. Anche questo stare produce il suo frutto. (S. Francesco di Sales) 

  Perseverare nella meditazione senza ricavarne frutto non è tempo perduto, ma molto fruttuoso, perchè si lavora senza interesse per la sola gloria di Dio. (S. Teresa d'Avila) 

 Nella meditazione, dobbiamo sopportare con pazienza, quella folla di pensieri, di immaginazioni importune o di movimenti naturali e impetuosi, che provengono sia dall'anima per la sua aridità e dissipazione; sia dal corpo perchè non troppo sottomesso allo spirito. Ma non scorgeremo tutte queste imperfezioni se non quando Dio ci aprirà gli occhi dell'anima come usa fare con chi medita. (S. Teresa d'Avila) 

  L'uomo spirituale, quando medita, stia con attenzione amorosa in Dio e con tranquillità d'intelletto, quando non può meditare, pur sembrandogli di non far nulla. Se per questo avesse scrupoli rifletta che non sta facendo poco tenendo l'anima in pace senza bramosia o desideri(S. Giovanni della Croce) 

  Se avviene che non avete gusto o consolazione nella meditazione, vi prego di non turbarvi. Se non restate consolato per la vostra grande aridità non preoccupatevi. Continuate a stare davanti a Dio con contegno devoto e tranquillo. Egli, certamente gradirà la vostra pazienza. (S. Francesco di Sales) 

martedì 12 agosto 2014

Alla ricerca dei nostri 5 talenti interiori. Ecco come scoprirli



di Redazione ANSA 
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA 
http://www.ansa.it/sito/notizie/speciali/tempo_di_esami/2014/07/25/universita-ingegneria-ed-economia-facolta-con-piu-matricole-_0f0711e0-b0be-4c60-8e9f-f61a8c34cdb8.html 


Da uno studio americano, i consigli del Talent Coach Fiorella Pallas 

  La Gallup, società americana che studia le tendenze socio-economiche-demografiche di tutto il mondo, insieme allo psicologo Donald Clifton, ha studiato per 40 anni oltre 300.000 persone di successo di tutte le categorie sociali (studenti, casalinghe, impiegati, sportivi, liberi professionisti, top-manager, imprenditori, ecc.) per cercare di capire quali fossero le caratteristiche di pensiero, azione, comportamento che li portassero a raggiungere rapidamente i loro obiettivi. Il risultato di questo lungo studio ha portato a identificare 34 talenti e un test di 177 domande che fa emergere i 5 talenti dominanti di ogni individuo. 
  Scoprire i propri talenti è un passo importante che cambia anche la curva di apprendimento, verso una crescita esponenziale e inarrestabile. E’ stato infatti dimostrato che una persona può acquisire le competenze in qualsiasi settore, grazie ai suoi talenti, in soli 2 anni, competenze normalmente acquisibili in 10 anni. Nel mondo, oltre 1.000.000 di studenti hanno scelto questa strada per conoscersi al fine di orientare la propria vita non più a caso ma scegliendo un sentiero sicuramente più efficace. 
I TALENTI SECONDO LA CLASSIFICA GALLUP – Quali sono dunque i 5 talenti dominanti in ognuno di noi? Per scoprirlo, ecco la lista dei 34 talenti della Gallup, da leggere per identificare i propri 5. Per farlo è consigliabile chiedere anche il parere obiettivo di un amico o di qualcuno che si conosce bene. 
1 - L’IPERATTIVO (ACTIVATOR) - Ha sempre bisogno di fare qualcosa per creare progredire stimolare gli altri. Eccelle nel lanciarsi a capofitto nelle cose: quando iniziamo? 
2 - IL FLESSIBILE (ADAPTABILITY) - Dotato di scioltezza e spirito di adattamento, accoglie con facilità l’imprevisto, anche se le cose vanno diversamente dai programmi. 
3 - IL DETERMINATO (ACHIEVER) - Preciso, meticoloso, scompone i suoi progetti in tappe e obiettivi da raggiungere. Ha bisogno di evolvere in un universo prevedibile per realizzare i suoi obiettivi. 
4 - L’ANALITICO (ANALITICAL) - Analitico , logico e razionale, ama i fatti e vuole la prova di ciò che si afferma. Prende tempo e verifica tutto. Dicono di lui che è affidabile. 
5 - L’ORGANIZZATORE (ARRANGER) - è multifunzionale e gestisce diverse variabili in contemporanea per ottimizzare il risultato. Più una situazione è complessa più cerca le combinazioni di massima efficacia. 
6 - IL FOCALIZZATORE (FOCUS) - una volta presa la decisione, resta concentrato sull’obiettivo e investe tutta la sua energia finche non lo raggiunge. Può essere paragonato a un missile. 
7 - IL LEADER (COMMAND) - Sa e ama comandare, dare direttive e prendere in mano le situazioni. Il confronto, per lui, non è un problema. 
8 - IL POSITIVO (POSITIVITY) - Vede sempre il bicchiere mezzo pieno e il lato buono di ogni situazione. Eccelle nel mettere in luce ciò che è positivo. 
9 - IL RESPONSABILE (RESPONSABILITY) - il suo senso di responsabilità e dei valori, fa si che se dà la sua parola e si impegna per portare a termine il compito, costi quel che costi. Onestà rettitudine e lealtà sono i fondamenti della sua reputazione. 
10 - IL COMUNICATORE (COMMUNICATION) - Come un abile narratore, fa passare il messaggio rendendolo accattivante. Elabora la forma e non si accontenta di enunciare i fatti. 
11 - IL PERSUASIVO (WOO) - Sa convincere gli altri, persuadendoli del suo punto di vista. E’ bravo a sedurre e a vendere e soprattutto vuole piacere a tutti i costi. 
12 - IL MEDIATORE (HARMONY) - Sviluppa rapporti di collaborazione, creando armonia intorno a sé. Vuole a tutti i costi evitare le situazioni conflittuali. 

13 - L’EMPATICO (EMPATHY) - Sa mettersi al posto dell’altro e sentire ciò che prova, mantenendo la distanza necessaria per non essere travolto della emozioni altrui.
14 - IL COMPETITIVO (COMPETITION) - Confronta il livello delle sue prestazioni con quelle degli altri e ha bisogno di questo per trarre energia e motivazione poiché il suo obiettivo è essere il migliore riesce a fare sempre di più e meglio. 
15 - IL POTENZIATORE (DEVELOPER) - Riconosce il potenziale intorno a sé, sa vedere ciò che è unico e speciale nell’altro per sostenerlo ed aiutarlo a crescere. Sa vedere il potenziale e cerca modi per mettere le persone in ottica di crescita. 
16 - L’ECCELLENTE (MAXIMIZER) - L’eccellenza non è la media ma la sua misura: adora trasformare qualcosa di forte in superbo. E’ un naturale scopritore di talenti. 
17 - IL VISIONARIO (FUTURISTIC) - Ama guardare il futuro e questa immagine lo spinge ad andare avanti. E' un sognatore che vede i dettagli del domani, permettendogli di avere le visioni che gli permettono di andare avanti. 
18 - IL CREATIVO (IDEATION) - Innovativo, creativo e intelligente , le idee lo affascinano. Ama prendere il mondo come tutti lo conosciamo e rigirarlo in modo da vederlo da uno nuovo punto di vista. 
19 - LO STRATEGA (STRATEGY) - Questo modo particolare di pensare gli permette di trovare sempre le strade migliori. Vede soluzioni li dove tutti vedono complessità. 
20 - IL COLLEZIONISTA (INPUT) - E’ un curioso di natura e ama collezionare cosa tangibili, informazioni che immagazzina. E’ un ottimo archivista. 
21 - L’INTELLETTUALE (INTELLECTION) - Ama pensare, ragionare sulle cose: il piacere gli deriva dall’esercitare i suoi muscoli mentali. Ama stare da solo per andare in introspezione porsi le domande e darsi le risposte. 
22 - LO STUDIOSO (LEARNER) - Ama imparare, è il processo di apprendimento che lo interessa e non il risultato in termini di diploma o riconoscimenti. 
23 - IL CONNESSO (CONNECTEDNESS) - Crede che niente succede per caso nella vita, e che ogni cosa è collegata. Ha valori che lo guidano in ogni decisione. 
24 - IL DIFFERENZIATORE (INDIVIDUALIZATION) - Il tema lo guida ad essere intrigato dalle qualità uniche di ogni persona. Non gli piacciono le generalizzazioni perché non vuole oscurare ciò che è speciale e distinto di ognuno, mentre si focalizza sulle differenze negli individui. 
25 - IL RISERVATO (DELIBERATIVE) – Attento, vigile e riservato, sa che il mondo è imprevedibile. Sa evidenziare i rischi delle situazioni. 
26 - L’ACCOGLIENTE (INCLUDER) – Vuole sempre includere le persone per farle sentire nel gruppo. Non gli piacciono i gruppi esclusivi, tende ad evitarli. Vuole espandere il gruppo affinché tante persone possano beneficiare del suo supporto. Odia la vista di qualcuno che canta fuori dal coro. 
27 – IL SOLUTORE (RESTORATIVE) - Risolve i problemi, laddove gli altri si scoraggiano di fronte ai problemi lui si sente energizzato. Gli piace analizzare i sintomi, identificare ciò che è sbagliato e identificare le soluzioni. Gli piace riportare in vita le cose o le situazioni. 
28 - IL SICURO IN SE’ (SELF ASSURANCE) - Convinto che si risolleverà sempre, la critica non colpisce, la sua sicurezza e la fiducia in se stesso. Assomiglia al gatto che cade sempre in piedi. 
29 - IL CONTESTUALIZZATORE (CONTEST) - Ama guardare il passato per spiegare il presente. Per prendere decisioni ha bisogno di guardare indietro per capire la struttura di ciò che c’è sotto. 
30 - IL SISTEMATICO (DISCIPLINE) - Ama avere un mondo prevedibile e ordinato, quindi impone una struttura nel quale muoversi. E’ focalizzato nelle tempistiche e scadenze, è molto preciso. Vuole routine e strutture che gli permettano di mantenere il controllo sugli eventi. 
31 – IL COLLEGATORE (RELATOR) – Ama andare verso persone che già conosce per andare in profondità nelle relazioni, scrutare il dettaglio e capire tutto fino in fondo. 
32 – IL SIGNIFICATIVO (SIGNIFICANCE) – Vuole essere riconosciuto a tutti i costi, vuole essere ascoltato e apprezzato. Gli piace essere ammirato per il suo successo. E’ molto indipendente, perché vuole avere libertà d’azione. Su qualunque cosa si focalizzi, andrà verso l’alto fuori dalla mediocrità. 
33 – IL CREDENTE (BELIEF) - Ha dei forti valori, molto radicati: generalmente questo talento porta ad essere una persona con un credo molto radicato. 
34 - L’EQUO - L’equilibrio è importante, vuole che le persone siano trattate tutte allo stesso modo, ci deve essere parità di trattamento. Gli piacciono quindi le regole chiare e fare in modo che siano applicate: in questo modo tutto è prevedibile e imparziale. 

domenica 10 agosto 2014

Meditazione si dimostra efficace in caso di depressione


A cura di [lm&sdp]


Un nuovo studio afferma che la meditazione può regolare l’attività cerebrale collegata allo stress e la risposta a esso. Scansioni del cervello mostrano importanti modifiche nelle aree deputate al controllo delle emozioni. 


  Mettere a tacere la mente, o “cavalcare la tigre”, è l’obiettivo principale della meditazione, che si traduce in consapevolezza. E, sebbene raggiungere la consapevolezza sia un passo da gigante nel raggiungere l’equilibrio interiore, a livello più “materiale” praticare la meditazione può modificare l’attività cerebrale in quelle aree coinvolte nella regolazione dell’umore e gestione dello stress. Infine, secondo un nuovo studio, questa tecnica può dimezzare il rischio di avere ricadute nella depressione

  Ecco dunque quanto scoperto dai ricercatori del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford, nel Regno Unito, coordinati dal professor Mark Williams, i quali hanno condotto uno studio sugli effetti della cosiddetta Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT) sulle persone affette da depressione. 

  «La psicoterapia coinvolge i pazienti con l’analisi di pensieri e sentimenti, con la speranza che la loro comprensione possa portare qualche tipo di cambiamento. La consapevolezza [mindfulness] è parte di questo, ma coinvolge anche la meditazione», sottolinea al Daily Mail il professor Williams. I risultati di questo studio mostrano come la MBCT possa realmente agire sui processi del cervello, così come mostrato dalle scansioni per immagini prodotte durante le ricerche. 

  «La meditazione, che è una pratica antica e una parte della filosofia orientale spirituale, richiede di sedersi, di solito in silenzio, e concentrarsi su una cosa, come le sensazioni dell’inspirare e l’espirare – spiega Williams – La mente vaga, e l’invito è di tornare a focalizzare la vostra attenzione concentrando su quanto si faceva. Le persone che fanno regolarmente meditazione si sentono molto tranquille. E, per mezzo di tecniche di scansione moderne che misurano l'attività nel cervello, stiamo cominciando a capire perché». 

  Queste modifiche nell’attività cerebrale sono state individuate a seguito di studi condotti dai colleghi di Williams in Usa e Canada, che hanno fotografato quanto avviene nel cervello durante e a seguito della meditazione

  In particolare, «la meditazione aiuta a ridurre l’attività della parte del cervello chiamata amigdala, che regola i sentimenti di stress», precisa Williams – Coloro che sono più stressati e ansiosi hanno una amigdala che è iperattiva. Meditando questo evento si riduce». 

  Ma non solo: la meditazione ha un effetto anche su un’altra area del cervello detta Insula, che è coinvolta nelle emozioni più profonde, come anche l’amore, fa notare l’autore dello studio. 

  «Sappiamo da altri studi che l’insula ci permette di provare emozioni, così quando abbiamo il “cuore spezzato” sperimentiamo realmente un certo tipo di dolore – spiega ancora Williams – Normalmente l’attività in questo settore è strettamente collegata alla parte del cervello coinvolta nel pensiero analitico. Quindi, se siamo in lotta con il nostro partner, non solo ci sentiamo male, ma cominciamo a pensare al perché, che cosa tutto questo dice sul nostro rapporto e che cosa potrebbe accadere se non si riuscisse a rimediare». 

  Nelle persone che soffrono di una qualche malattia mentale – come la depressione – questo processo si amplifica, assumendo anche caratteri ossessivi. Ma tutto ciò si può prevenire. «Meditando si spezza questo ciclo – rassicura Williams – riducendo i legami tra l’insula e le parti del cervello che analizzano, come abbiamo osservato nelle scansioni cerebrali. Non blocca il pensiero o le emozioni di una persona, ma separa queste due parti del cervello, dando al paziente il controllo». 

  Ma i vantaggi derivanti dal meditare non finiscono qui e il professor Williams ricorda che nel corso di studi clinici si è scoperto come la mindfulness funzioni al pari di un antidepressivo nel prevenire le ricadute della depressione, da usare anche in contemporanea ai farmaci. 

  Insomma, essere “consapevoli” non solo fa bene a chi non soffre di disturbi mentali come la depressione, ma anche a chi sta bene o soffre di piccoli disturbi come sindrome da stress, ansia, disagio

sabato 9 agosto 2014

Demenza e Stress dei caregivers si controllano con gli esercizi olistici



di LM&SDP 



  Cure reali per la demenza ancora non si conoscono. Tuttavia esistono alcuni semplici metodi per migliorare le condizioni delle persone affette da questa patologia. 

  Spesso tali individui soffrono di depressione, oltre che di declino delle capacità fisiche e mentali. Tuttavia, l’esercizio fisico contribuirebbe a migliorare il benessere piscologico, mentale e fisico. 

  A suggerirlo sono stati gli scienziati della Teesside University che hanno elaborato un programma che combina attività cognitive a elementi di yoga, Tai chi, Qi-gong e meditazione per pazienti affetti da demenza. Questo programma di esercizi “olistici” che si focalizza sia su corpo che mente, sembra essere in grado di migliorare la qualità della vita di questo tipo di pazienti. 

  Lo studio, condotto in collaborazione con la UK Alzheimer’s Society, ha utilizzato un programma che è stato denominato “Happy Antics”. Si tratta sostanzialmente di esercizi che integrano i movimenti fisici insieme ad attività che coinvolgono il piano emozionale, l’intelletto e la spiritualità

  Si inizia con un breve esercizio cognitivo incentrato sulla foto di un oggetto e la relativa spiegazione da parte degli istruttori. I partecipanti dovevano poi parlare di tale oggetto e porre tutte le domande del caso. Terminata la prima parte del programma, si passava alla seconda fase dedicata al corpo. Quindi danza, Tai chi, yoga, Qi-gong eccetera. 

  Al termine si eseguivano esercizi di meditazione guidata, associati a quelli di respirazione. 

  Per la ricerca sono stati coinvolti quindici partecipanti di età compresa fra i 52 e gli 86 anni.
Tutte le persone coinvolte erano molto contenti di partecipare e si sono sentiti sostenuti anche dal punto di vista sociale. Molti accusavano meno dolori e asserivano di sentirsi molto più rilassati

  «Quando l’approccio benessere è applicato all’esercizio, l’esercizio olistico si sforza di incoraggiare le persone, non solo a partecipare alle attività fisiche, ma anche di prendere coscienza dei propri stati fisici e psicologici, e a eseguire l’esercizio che ritengono più mirato e significativo per loro», spiega Yvonne J-Lyn Khoo dell’Istituto di Sanità e Sociale della Teesside University

  Al termine dello studio i partecipanti hanno riferito di essere stati molto soddisfatti delle sessioni svolte; di aver migliorato la loro memoria e i movimenti associati alla musica. 

  «Le osservazioni durante la sesta sessione hanno mostrato che anche se le persone con demenza non riuscivano a ricordare quello che era accaduto durante le sessioni precedenti, 6 persone affette da demenza che hanno partecipato alle sessioni di allenamento olistico potevano anticipare i movimenti fisici associati alla musica specifica, e tre persone con demenza sono state in grado per ricordare la sequenza dei movimenti fisici», sottolinea la dott.ssa Khoo. 

  Il programma Happy Antics ha incluso la partecipazione dei caregivers – ovvero dei familiari che generalmente si prendono cura del malato. Anche la presenza di tali persone sembra aver influito positivamente sul risultato della sessione.

  «Questo suggerisce che la partecipazione all’esercizio olistico può offrire qualche sollievo degli oneri anche per i caregivers che devono affrontare molte sfide nel fornire assistenza per i pazienti con demenza, tra cui disagio fisico e psicologico», aggiunge Khoo. 

  «Il programma Happy Antics è stato in grado di stimolare e coinvolgere le persone con demenza nell’esercizio, così come fornire un ambiente di apprendimento sociale e offrire potenziali benefici psicologici», ha concluso la dott.ssa Khoo. 

 I risultati dello studio sono stati pubblicati sul Journal of Bodywork and Movement Therapies.

venerdì 8 agosto 2014

La sofferenza distrugge le maschere



di Lidia Vitale 

In antitesi alla corrente che identifica la psichiatria nell’area delle neuroscienze tout court, lo psichiatra fenomenologico Eugenio Borgna (2003) ne rivendica la natura etica di scienza umana. 


 Ogni funzione psichica non può esaurirsi in funzioni cerebrali, come sostenuto dalle neuroscienze
  Per le neuroscienze, ci sono disturbi psichici condizionati geneticamente, e ci sono disturbi psichici (mentali) condizionati, invece, nella loro insorgenza da fattori ambientali; ma gli uni e gli altri sono reciprocamente intrecciati. In ciascuna malattia psichica, secondo Kandel, le condizioni genetiche e quelle ambientali sono diversamente rappresentate: talora prevalendo le une e talora le altre. 
  In ogni caso, al di là delle loro componenti ereditarie, o ambientali, i disturbi psichici non sono se non la risultante fatale di modificazioni strutturali nei contesti cerebrali. 
  In questo discorso non ci sarebbe, in accordo col filosofo Carlo Sini, traccia di riflessione e, tanto meno, di una spiegazione del miracolo attraverso cui l’oggettivo diventa soggettivo, attraverso cui l’insieme di “fatti”, accertabili neuroscientificamente, si “trasformi” nei “significati” che essi dovrebbero spiegare, chiarire, indicare nel loro fondamento. 
  Un po’ come se si pretendesse di definire in maniera compiuta un “orgasmo” a partire dalla elencazione delle componenti fisiologiche di: risposte fisiche, trasformazioni corporali, produzioni, restringimenti, contrazioni… Senza accenno alcuno alla complessità emotiva, al coinvolgimento psicologico e allo stravolgimento di pensieri, sensi, sentimenti ed emozioni che una esperienza totale e limite come quella, inevitabilmente comporta. 
 La psichiatria non può risolversi e dissolversi nella neurologia, o nella neurobiologia
  Kurt Schneider a proposito ha affermato: «Si è cercato d’indagare il cervello come l’organo della vita psichica: si è creduto di avere trovata la via che doveva condurre, alla fine, alla localizzazione e ad una spiegazione dei disturbi psichici, e di conseguenza ad una articolazione scientifico-naturale delle malattie psichiche»; e ancora, radicalmente «…Con la introduzione della tecnica microscopica cresceva la speranza di una psichiatria fondata sull’anatomia: dalla quale il concetto di anima scomparisse sempre più». 
  La soluzione più semplice al disturbo psichico indicherebbe nell’uso del farmaco l’unico razionale terapeutico. Intervenire sulla capacità neurotrasmettitoriale cerebrale, sulla recettorialità dei modulatori cerebrali, favorirebbe certamente un riassetto elettrolitico ma non raggiungerebbe il cuore del problema: il groviglio di significati, ambivalenze, confusioni, solitudini e delusioni che caratterizzano il travaglio mentale di una persona sofferente e che solo il dialogo e il confronto, la relazione e la condivisione possono far estrinsecare
  Il farmaco uniformerebbe i modi di vivere ed elaborare gli eventi della vita, sottraendoli ad ogni risonanza emozionale, tentando di cicatrizzare le ferite dell’anima, raggelando sensibilità e fragilità che sono in noi. 
  Il tentativo di cogliere e condividere la qualità dell’esperienza diventa allora un tentativo coraggioso non solo per i professionisti ma anche per tutti coloro che si trovano ad affrontare da vicino una malattia psichica
  Borgna conclude sostenendo che: «…Non è possibile, forse, accostarsi al segreto delle anime ferite dalla sofferenza (dall’angoscia e dalla tristezza, dalla dissociazione e dalla ossessività, dal desiderio di morire e dalle inquietudini del cuore) se non siamo capaci di cogliere la sofferenza come la nostra possibile sofferenza: partecipando ad essa e ri-conoscendola nella sua dimensione umana, e nella sua inemendabile dignità». 

mercoledì 6 agosto 2014

Mediti? Combatti lo stress



da Londra, Silvia Guzzetti 
per il quotidiano Avvenire
© riproduzione riservata 



  Una candela che brucia al centro di un tavolino accanto a una rosa appena colta. Sei persone, in circolo, ferme e concentrate, dopo una preghiera a Gesù, ripetono dentro di loro la parola «Maranathà», «Vieni Signore Gesù». Nel convento delle suore Rosminiane a Loughborough, nel centro di Inghilterra, è l’ora della meditazione. Dalle 10 alle 11, ogni giovedì mattina, una decina di adulti si ritrovano per una mezz’ora di silenzio e immobilità durante la quale cercano di rimettere al centro della loro vita Dio. «Frequento la chiesa anglicana ma non mi definirei religiosa piuttosto alla ricerca del senso della vita», spiega Jeanine Sepede, 40 anni, «La meditazione mi aiuta a dare la giusta prospettiva alle cose, a fermarsi e contemplare la bellezza del mondo». «La mente umana è distratta e salta di pala in frasca e, con la meditazione, impariamo a controllarla, a dirigerla dove vogliamo», dice ancora Jeanine. 

  «Oggi nel Regno Unito la meditazione è diffusissima e molto popolare perché aiuta a controllare lo stress riducendo gli effetti di quest’ultimo sul cervello», spiega Kim Nataraja, ex docente universitaria, direttrice della Scuola di meditazione della "Comunità mondiale per la meditazione cristiana", diretta da Laurence Freeman, «È dimostrato che gli esseri umani reagiscono a una situazione difficile aggredendo o scappando. La meditazione, al contrario, ci rilassa e spegne questa risposta automatica dei nostri geni. Così facendo ha effetti benefici sulla salute perché riduce la pressione e aumenta il livello della serotonina, l’ormone della felicità. Questo è il motivo per cui, in migliaia, la praticano in tutto il Regno Unito ed essa viene usata come terapia dai medici». 

 La cosiddetta "mindfulness", basata sulla terapia cognitiva, è raccomandata dall’ "Istituto Nazionale per la salute e l’eccellenza clinica" del Regno Unito perché è efficace quanto i farmaci nel prevenire la depressione. Tutti benefici che, nella meditazione cristiana, con la quale si cerca di arrivare a Dio, sono ancora più efficaci. «Per noi questi effetti della meditazione sulla salute sono soltanto collaterali, solo l’inizio della vera contemplazione», continua la professoressa Nataraja, «Noi ci rilassiamo per poter meditare anziché meditare per rilassarci. Molti cristiani non conoscono questa pratica eppure è antichissima e risale ai padri del deserto. È stato John Main a riscoprire per noi questa tradizione che consiste in una preghiera profonda e silenziosa». 

  «Molte persone cominciano a meditare per ragioni di salute e, in questo modo, arrivano a Dio», spiega ancora la professoressa Nataraja, «Meditare è un percorso interiore che può portarci a sentire la presenza di un essere più grande di noi. Alcuni che non sono religiosi definiscono questa una "Realtà ultima" mentre noi la chiamiamo Dio. I primi cristiani dicevano che, qualunque nome diamo a questo essere o energia di amore, si tratta di una definizione insufficiente, non in grado di descrivere davvero che cosa esso sia. Molte persone, attraverso la meditazione, superano sentimenti negativi che avevano nei confronti della chiesa e vi ritornano». 

   La "Comunità mondiale per la meditazione cristiana" ha, nel Regno Unito, 4.000 membri, che diventeranno 4.500 quest’anno, grazie all’avvio di nuovi 50 gruppi. La contemplazione viene praticata anche nelle scuole. Oggi, nel Regno Unito, vi sono 30.000 bambini, tra i 5 e gli 11 anni, che la fanno ogni giorno insieme a oltre un migliaio di insegnanti. Ad averla diffusa in diverse scuole elementari e superiori  è suor Anna Patricia Pereira dell’Ordine Rosminiano che la pratica da 50 anni. «Gli alunni ne traggono beneficio perché si concentrano meglio nel loro lavoro accademico e diventano più gentili gli uni con gli altri. Il loro comportamento migliora», spiega suor Anna, «Meditando arrivano a conoscere meglio loro stessi e le parti di loro stessi che trovano meno accettabili come la gelosia. Cambiano e diventano più calmi, contenti e gentili. Arrivano a capire che Dio è con loro sempre». 

  Accanto al filone tradizionale, ce n’è anche uno più legato alla spiritualità orientale. A praticare una meditazione di origine indiana, nata in Birmania ai tempi del Budda è Simon Gieve, 62 anni, professore universitario in pensione, che vive a Exeter, nel sud dell’Inghilterra. «Ho cercato per 15 anni un senso alla mia vita. Ho provato le arti marziali e lo yoga prima di conoscere, nel 1982, il "Centro di meditazione Vipassana" che frequento ancora oggi», spiega il professor Gieve, «Cerco di meditare per almeno un’ora al giorno e mi serve a calmare la mente. Imparo a non reagire, se qualcuno mi offende e a dimenticare le aggressioni subite. Alla fine di ogni sessione chiedo perdono, dentro di me, agli altri, per gli sbagli che posso aver fatto durante la giornata. Non credo in un Dio particolare, ma, grazie alla meditazione, raggiungo una consapevolezza acuta di me stesso e di una entità che esiste in tutto il creato». 

martedì 5 agosto 2014

La Meditazione Cristiana profonda




di Padre Enrico Bosoni e Suor Marisa Bisi



   Il Catechismo della Chiesa Cattolica presenta la meditazione come una ricerca orante che si svolge nel cuore, il centro profondo e nascosto dell'uomo. 

   La meditazione conduce l'uomo a penetrare, a dimorare nel proprio intimo, per cogliervi le profondità dell'ineffabile mistero dell'amore di Dio. 

   La meditazione mette in moto tutte le facoltà dell'essere umano (il pensiero, il desiderio, la volontà, l'attenzione, l'intuizione, l'immaginazione, il cuore) per andare fino a "Betlemme", cioè fino alla accoglienza della Parola definitiva: Gesù Cristo. 

   Il Centro dell'essere - il Cuore - si apre al mistero e ci si abbandona silenziosamente e fiduciosamente per essere "istruito e guarito", superando il rischio di confondere l'esperienza psicologica della grazia con l'azione stessa della Grazia. 

 La meditazione profonda non è quindi chiacchiericcio mentale, sentimentalismo, devozionismo, emozionalità, abitudinarietà, ma è soprattutto silenzioso, riverente, obbediente ascolto e accoglienza della Parola per assimilarla, conservarla, trasformarla in vita e "fare la verita". 

   La meditazione esige pratica regolare (un tempo speciale dedicato al Signore), metodo, disciplina, verifica, preparazione. 

   Lo specifico del cammino meditativo si può così sintetizzare: 

  • Riscoprire il valore del silenzio come "luogo teologico" favorevole alla riflessione, alla contemplazione, all'ascolto integrale (di se stessi, di Dio, degli altri) alla purificazione e unificazione della persona. 

  • Abitare il paese dell'anima, il "cuore profondo" (1Pt, 3,15), per vivere consapevoli e attenti alla "Presenza" nel presente, nella concretezza del quotidiano. 

  • Vivere con consapevolezza gioiosa la nostra consacrazione battesimale e crismale, per operare servizi pastorali di comunione e di partecipazione in risposta a Dio Trinità che ci ha chiamati alla vita, ci chiama continuamente, ci abita, ci nobilita e ci abilita alla comunione.

   Se ti interessa approfondire cos'è la meditazione, puoi leggere nel Catechismo della Chiesa Cattolica i numeri 2705-2708, e nel Catechismo degli Adulti "La Verità vi farà liberi" i numeri 996-997


Cos'è che qualifica la Meditazione Cristiana

   Nella nostra cultura occidentale di questi nostri giorni, più orientata al futuro che immersa nel presente con la ricchezza consapevole del passato e la responsabilità di un futuro prefigurato nella luce di valori condivisi, è il pragmatismo che tende a governare i nostri comportamenti. 

   Abbiamo un interesse pragmatico verso tutto ciò che ci aiuta a fronteggiare il futuro. Cerchiamo risposte sul come-fare le-cose più che indagare sul loro significato. Da qui nasce il predominio della tecnologia, che non è negativa di per sé, anzi offre tante splendide opportunità; ma spesso tende a governarci più che ad essere governata da noi. 

   La tecnologia è un saper-come-fare. Ci sentiamo a nostro agio solo quando conosciamo il modo di poter fare qualcosa; il che è una cosa buona, solo che - nella congerie attuale - corriamo il rischio di confondere il mezzo con il fine. 

 Per esempio, come posso pregare? Quale 'tecnica' mi aiuterà? Lo zen? Lo yoga? la respirazione controllata? Tenere un diario? Ripetere un mantra? Se solo potessi installarmi nella giusta pratica, trovare il guru che mi aiuterà, perseverare in ciò finché non mi sia dato di premere il dovuto bottone... 

  Come l'attuale cultura occidentale, le religioni orientali tendono a specializzarsi nelle tecniche di preghiera, nella tecnologia spirituale. Esse tendono a mettere l'accento sulla tecnica, sul come-fare, sui metodi. 

  Così, nella nostra epoca tecnologica, molti che cercano Dio o una qualche esperienza religiosa si volgono alle tecniche delle religioni orientali per impare come trovare Dio, intraprendono una serie di pratiche, passando dall'una tecnica all'altra, come la donna che ha consultato tutti i medici e non ha trovato sollievo. Ella, infine, reagisce e tocca Gesù che la guarisce (Lc8, 43-48; Mt9, 20-22). 

   Ebbene, è la contemplazione che tocca Gesù. 

   La contemplazione non è tanto quella che faccio io, quanto quella che il Signore mi dà. È un dono, un dono fatto a me, un dono del Suo Spirito. Posso disporre me stesso/a (e in questo le tecniche, che favoriscono la pacificazione, la concentrazione, il raccoglimento, possono essermi di aiuto) a ricevere il dono della contemplazione e a crescere in questo dono, ma anche questa disposizione viene dal Signore, è grazia

   Nessuna tecnica può realizzare o ottenere la contemplazione. Essa può far raggiungere il cosiddetto samadhi, satori, o nirvana che dir si voglia, ma non è scontato che sia la stessa cosa rispetto alla contemplazione dono. Gesù dice: "Vi lascio la Pace, vi do la mia Pace", che non è una beatitudine disincarnata, ma il frutto del rapporto con la Sua Persona e il segno della Sua Presenza, che nella vita di ogni giorno concretizza la nostra personale "Incarnazione". 

   Il modo per disporci a ricevere il dono della contemplazione e crescere in esso non è un cercare, un bramare la contemplazione, un lottare per essa: invece è un cercare, un bramare Gesù, un lottare per Lui. A suo tempo e modo Egli si darà a noi, attraverso le crescenti grazie della contemplazione. 

   La contemplazione cristiana non è una tecnica, è un rapporto interpersonale - un rapporto con Dio presente a me e per me qui e ora in Gesù Cristo. Differisce radicalmente dalla contemplazione zen e da tutti i tipi di contemplazione buddhista, come pure dalla contemplazione yoga e dalla meditazione trascendentale: perché fa centro sul Signore, su una Persona. E' essenzialmente un rapporto d'amore

   Questo non significa che chi pratica il buddismo o lo zen o qualunque altra religione ed ha nel cuore il desiderio sincero di cercare Dio non possa incontrare il Signore, perché sappiamo che "lo Spirito soffia dove vuole"; ma noi dobbiamo essere consapevoli della nostra identità e di quella che è la nostra chiamata di cristiani. 

  Questa è la ragione per cui la cosiddetta preghiera centrante differisce dall'uso di un mantra. Un mantra, una parola o una frase su cui ci si concentra e che si ripete molte volte, non è interpersonale. La preghiera centrante centra, invece, non una parola, una frase come ad esempio il nome "Gesù" ma, attraverso la parola o la frase, una Persona. Ripetendo il Nome Gesù in continuazione, lentamente, non con le labbra, ma silenziosamente, nel mio cuore, centro la Persona di cui dico il nome nel mio cuore, invoco nel mio cuore questa Persona e riposo in essa. 

  Oppure posso ricorrere alla preghiera di Gesù, alla preghiera del pellegrino: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me peccatore", ripetendo la frase, via via, in silenzio dentro di me. Il fuoco, qui, è su Gesù Cristo, non su una tecnica. Ed è il Suo Spirito - non la mia concentrazione o l'uso della frase come fosse una formula magica - il fuoco che alimenta il mio essere e purifica le mie negatività. 

   A questo modo di pregare, di ripetere nel mio cuore una giaculatoria o il Nome di Gesù o una frase della scrittura che mi 'tocca' particolarmente, è sicuramente un modo buono di pregare; può condurre alla vera contemplazione.

   Ma la contemplazione in sé, questo misterioso incontro interpersonale con Gesù Cristo, che trascende ogni concetto, rimane un suo dono: un suo dare e un mio ricevere, non qualcosa da ottenere o compiere attraverso una tecnica, da conquistare o meritare. 

lunedì 4 agosto 2014

Laurence Freeman: meditazione cristiana, un metodo per tutti


di Alessandro Ananda 
© FCSF – Popoli 
http://www.popoli.info/EasyNe2/Primo_piano/Laurence_Freeman_meditazione_cristiana_un_metodo_per_tutti.aspx


«Siediti. Resta seduto con la schiena eretta: chiudi gli occhi delicatamente. Stai rilassato ma vigile. In silenzio, interiormente, comincia a pronunciare una sola parola. Noi suggeriamo il mantra Maranatha. Recitalo scandendo le quattro sillabe di eguale lunghezza. Ascoltale mentre le pronunci, gentilmente ma continuamente. Non devi pensare o immaginare nulla di spirituale o altro. I pensieri e le immagini si proporranno, ma tu limitati a lasciarli passare. Mantieni la tua attenzione al mantra con fedeltà, umiltà e semplicità, dall’inizio alla fine della tua meditazione». 

  Con queste parole il benedettino Laurence Freeman risponde alla domanda su cosa sia la «meditazione cristiana». Proseguendo, spiega che si tratta di una disciplina essenziale: non ci sono tecniche complicate da imparare; non si richiede né una preparazione culturale né alcuna attrezzatura costosa o speciale. Può essere praticata ovunque da chiunque. 

  Con questa affabilità che il 20 febbraio 2012, presso la redazione di Popoli al Centro San Fedele di Milano (Piazza San Fedele 4, Sala Ricci, ore 18), questo monaco di origini inglesi, direttore della Comunità mondiale per la meditazione cristiana ha tenuto una conferenza dal titolo: «La pace, realtà non facile, ma autentica». 

RITORNO ALLE ORIGINI

 A chi si chiedesse cosa c’entri la pace con la preghiera, Freeman risponderebbe immediatamente che «per trovare la pace dobbiamo conoscere che cosa c’è nei nostri cuori, non solo nelle nostre teste. La meditazione ci conduce a questa esperienza e, quindi, può definirsi una via di pace». Del resto, tutta la tradizione monastica occidentale, che ha nell’esperienza benedettina i suoi fondamenti, ha sempre articolato l’esperienza contemplativa con quella operativa: ogni azione autenticamente cristiana nasce dalla preghiera, che diventa autentica laddove diviene servizio. 

 Ma, per comprendere meglio di chi e di che cosa stiamo parlando occorre una breve ricognizione storica. «Meditazione cristiana» è il modo con il quale un altro benedettino, John Main (1928-1982) denominò nel 1969 una modalità di pregare apparentemente nuova, in realtà già attestata nel quarto secolo. Come molti altri maestri spirituali del secolo scorso - uno per tutti Thomas Merton -, Main riscoprì il patrimonio tradizionale cristiano, smarrito per molti secoli, grazie al contatto con le tradizioni spirituali dell’Asia. Infatti, in Malesia, dove prestava servizio presso il British Colonial Service prima di rispondere alla chiamata alla vita religiosa, un monaco indiano lo avvicinò alla meditazione. 

  Come egli stesso spiega nella sua biografia, all’epoca la preghiera silenziosa, non concettuale, era rara e sconosciuta per molti cristiani. L’antica tradizione contemplativa cristiana era stata dappertutto dimenticata e sostituita dalla «preghiera mentale» e rituale. 

 Dopo il servizio in Oriente, John Main tornò in Europa. Nel 1958 entrò nell’ordine benedettino a Londra: qui gli consigliarono di rinunciare alla meditazione, poiché si riteneva che non rientrasse tra le pratiche devozionali cristiane. Ma nel 1969 riscoprì la tradizione di meditazione cristiana chiamata «preghiera pura»: un’antica forma diffusa nel IV secolo da Giovanni Cassiano, che tramandò gli insegnamenti dei padri del deserto a san Benedetto e alla Chiesa occidentale. Main riprese quindi a meditare e dedicò il resto della vita a insegnare ai laici questa tradizione perduta del cristianesimo. Il suo apostolato oggi prosegue attraverso la Comunità mondiale per la meditazione cristiana, che ha ora un centro internazionale a Londra. A dirigerla è appunto padre Laurence Freeman. 

COME RICEVERE UN DONO 

  Riprendendo le sue note autobiografiche leggiamo che è nato a Londra nel 1951. Dopo alcune esperienze lavorative in campo giornalistico e bancario alle Nazioni Unite è entrato alla Abbazia di Ealing come monaco benedettino. La sua guida spirituale è stato lo stesso John Main, che Laurence conosceva da molti anni, ancor prima dell’inizio della sua vita monastica. Dopo aver studiato durante il periodo di noviziato con padre John e aver collaborato con lui alla costituzione del primo Centro di meditazione cristiana a Londra nel 1975, lo accompagnò in Canada nel 1977, su invito dell’arcivescovo di Montreal, per costituire una piccola comunità benedettina per l’insegnamento e la pratica della meditazione. Da qui John Main e Laurence Freeman hanno assistito all’espansione a livello mondiale di questa tradizione spirituale. Dopo la morte di John Main nel 1982, padre Laurence viaggia ovunque per continuare il lavoro iniziato dal predecessore. Nel 1991 è nata la Comunità mondiale per la meditazione cristiana. 

  «La contemplazione - spiega padre Freeman - è il dono che noi riceviamo, la meditazione è il modo in cui riceviamo il dono. Nella meditazione mettiamo in pratica questi essenziali insegnamenti di Gesù sulla preghiera: il primo elemento della meditazione è il silenzio, il secondo elemento è l’immobilità e il terzo è la semplicità».

 Infatti, «Gesù è un maestro di contemplazione: Egli insegna la preghiera contemplativa; quando è interrogato riguardo alla preghiera egli non parla di regole, norme e precetti, non dà principi morali. Egli dice di non usare forme esteriori di preghiera quanto piuttosto di entrare nel proprio cuore, e ci dice di non usare molte parole quando preghiamo, nella convinzione che più diciamo, più chiaramente Dio ci sente. Gesù ci insegna che il Padre conosce quello di cui noi abbiamo bisogno prima che noi lo chiediamo e non dobbiamo essere eccessivamente preoccupati riguardo ai problemi materiali: ci dice di concentrarci anzitutto sul Regno di Dio, prima che su ogni altra cosa, e di non preoccuparci del domani. I principali insegnamenti di Gesù sulla preghiera nel sesto capitolo del Vangelo di Matteo sono: interiorità, silenzio, fiducia, pace della mente, concentrazione, attenzione al momento presente. Proprio questi sono, anche, gli elementi della contemplazione; tutto ciò che Gesù insegna riguardo alla preghiera e alla vita spirituale ha a che fare con la contemplazione, non con l’esteriorità della religione». 

  Non c’è però il rischio di una spiritualità svincolata dalla concretezza della vita quotidiana, in stile new age? «Non dobbiamo dimenticare che Paolo nella Lettera ai Galati definisce i frutti dello spirito: essi sono l’amore, la gioia, la pace, la pazienza, la gentilezza, la fedeltà, la bontà, la generosità; sono le caratteristiche della vita divina che cresceranno e si espanderanno a poco a poco nella personalità umana, ed emergeranno specialmente nella relazione con il prossimo. Non possiamo amare il Dio che non vediamo se non amiamo le persone che vediamo».