di Filippo Poli
L’autore della Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta ricorreva già nel 1936, anno di pubblicazione dell’opera, all’espressione animal spirits, al fine di alludere proprio alla dimensione emozionale ed istintuale che orienta il comportamento umano.
Più recente è invece lo sviluppo di quel progetto di ricerca che risponde al nome di neuroeconomia. Essa è caratterizzata da un approccio multidisciplinare nel quale trovano spazio economia, neuropsicologia, neurofisiologia e neuroimmagine. L’obiettivo è quello di riconoscere le aree cerebrali e i correlati neuronali sottesi ai processi di decision-making che i soggetti decisori attivano.
I risultati ottenuti grazie all’impiego del paradigma di ricerca proprio della neuroeconomia hanno contribuito al superamento di quel concetto di razionalità piena che, basandosi su un approccio normativo, intendeva prescrivere il modo in cui le persone avrebbero dovuto scegliere. Per anni, economisti come von Neumann e Morgenstern hanno supposto che gli individui fossero esseri puramente razionali, capaci dunque di soppesare correttamente i vantaggi di ciascuna alternativa di scelta.
Studi condotti col metodo della risonanza magnetica funzionale, che misura il flusso sanguigno richiamato dalle diverse aree cerebrali, hanno permesso alla neuroeconomia di scattare una sorta di istantanea delle zone del cervello che si attivano in corrispondenza di dati processi mentali.
Un esempio può essere utile per chiarire questa metodologia. Si pensi al cosiddetto ultimatum game: qui un soggetto proponente, impegnato nella suddivisione di una somma di denaro, avanza al proprio partner un’offerta di ripartizione monetaria iniqua; quest’ultimo può scegliere se accettare o meno tale proposta. Qualora non accetti, entrambi i giocatori non ottengono nulla. Ebbene, nonostante l’agire razionale suggerisca come anche un piccolo guadagno sia finanziariamente meglio di nulla, il partner rifiuta sistematicamente l’offerta giudicata non equa.
La neuroeconomia ha mostrato come nel gioco dell’ultimatum intervenga una parte del cervello nota come insula, coinvolta nell’elaborazione emotiva della situazione. Questa evidenza mostra quindi come la scelta di rifiutare l’offerta giudicata incongrua sia dovuta al prevalere di una reazione emozionale rispetto al mero calcolo monetario.
Con tutta evidenza, i risultati della neuroeconomia hanno contribuito e potranno contribuire in futuro a fare luce sui meccanismi che stanno alla base dei processi decisionali. Ciò potrà poi consentire di mettere a punto strategie d’azione basate su modelli economici non più astrattamente concepiti, bensì supportati dalle conoscenze sul funzionamento delle aree cerebrali.
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