martedì 11 ottobre 2016

STUDIO AMERICANO - Meditare fa bene al cuore e alle arterie



di Roberta Villa

 Dedicare ogni giorno un po’ di tempo all’introspezione vale tanto quanto prendere una medicina. «Tanto per fare un confronto» ha detto Robert Schneider, della Maharishi University of Management di Fairfield, in Iowa alle Scientific Sessions dell’American Heart Association di Orlando, «le statine, riducendo i tassi di colesterolo, abbassano il rischio di attacchi cardiaci e ictus del 30-40 per cento e i farmaci antipertensivi lo fanno calare del 25-30 per cento. Ma la meditazione trascendentale, nel nostro studio, ha quasi dimezzato la probabilità di andare incontro a uno di questi gravi eventi».

LO STUDIO 
 Finché si parlava di controllo del dolore, depressione, qualità di vita e così via era facile credere ai vantaggi della meditazione trascendentale, ma nello studio in questione è difficile invocare l’effetto placebo: i numeri parlano di vita o di morte. Schneider e i suoi colleghi hanno reclutato più di 200 malati afroamericani che avevano un ridotto afflusso di sangue al cuore documentato con una coronarografia. Tutti hanno ricevuto le cure mediche che di solito si danno in questi casi e sono stati sottoposti a un programma di educazione a stili di vita più salutari, ma alla metà dei partecipanti è stato insegnato anche a effettuare ogni giorno da 15 a 20 minuti di meditazione trascendentale. La pratica, inventata da un guru indiano di nome Maharishi Mahesh Yogi, si è diffusa in Occidente soprattutto dopo essere stata adottata con entusiasmo dai Beatles negli anni sessanta; richiede di concentrarsi sulla ripetizione di un mantra, il più noto dei quali, tra i non iniziati, è il famoso Om, secondo la religione induista il suono primordiale che ha dato origine alla creazione, manifestazione stessa di questo suono.
I RISULTATI
 Era già stato dimostrato che questa pratica riduce la pressione arteriosa e lo stress in persone giovani e sane, ma Schneider, insieme con Theodore Kotchen, endocrinologo del Medical College of Wisconsin di Milwaukee, ne ha verificato gli effetti benefici in individui ad alto rischio di malattie di cuore e vasi e su ciò che poi alla fine conta di più, non tanto i valori della pressione, quanto il rischio di incappare in eventi che mettono a rischio la vita. «Nei cinque anni di durata dello studio» dice l’esperto di medicina preventiva, «chi si atteneva al suo quarto d’ora quotidiano di meditazione ha avuto il 47 per cento in meno di attacchi cardiaci, ictus e morte rispetto agli altri». L’effetto, anche qui, è stato comunque mediato principalmente dall’azione sulla massima, ridotta in media di 5 millimetri di mercurio.
IL COMMENTO 
 «La progressione lenta e subdola della malattia ostruttiva delle coronarie e i fenomeni che scatenano l’infarto cardiaco sono talmente complessi che è riduttivo pensare di risolvere il problema solo con i farmaci o con interventi che dilatano le coronarie là dove sono maggiormente ristrette» commenta Marco Bobbio, primario di cardiologia presso l’Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo. «Ben vengano quindi ricerche nella quali si verifica se intervenire su altri aspetti della vita può ridurre il rischio»
 Purtroppo non sono ancora stati pubblicati tutti i dettagli della ricerca: «Dal testo finora reso pubblico non si può capire quante persone abbiano davvero avuto la costanza di seguire il programma di meditazione trascendentale, quanti eventi siano stati prevenuti, quale sia stata l’interferenza dei farmaci» prosegue il cardiologo piemontese: «per esempio sarebbe interessante sapere se i pazienti che si sottoponevano a questa pratica assumevano con più o meno scrupolo degli altri le terapie prescritte»
 Sarebbe interessante anche capire se lo yoga, il training autogeno, la preghiera o anche solo gratificanti attività ricreative possano ridurre le probabilità di infarto e se ciò vale per tutti o solo per chi è già colpito da una malattia delle coronarie. «Questi dati comunque ci permettono di sperare che una vita più lunga e migliore non debba passare solo attraverso l’assunzione di medicine e la dilatazione delle arterie con l’angioplastica» conclude Bobbio.


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