giovedì 15 settembre 2016

Corea, lo sciamano sotto il grattacielo




Modernità e radici millenarie si intrecciano. E ci si rigenera con i ritmi dei monaci buddhisti.




MARCO MORETTI

   Ottobre è il mese migliore per visitare la Corea del Sud, per i foliage che colorano di rosso i boschi di aceri e per i festival che animano alcune città. È una destinazione emergente ricca di contrasti. Un Paese modernissimo con radici millenarie. Dove l’eredità orientale si mescola con l’american way of life, introdotta da 60 anni di simbiosi con Washington. Dove i templi Seon (lo Zen coreano) si mescolano ai grattacieli, i costumi tradizionali ai gadget hi-tech, i bonsai ai treni superveloci, la superstizione al più sfrenato liberismo. L’origine buddhista del suo popolo e l’etica confuciana non impediscono al cristianesimo di essere la prima religione. Così in uno straordinario melting-pot culturale la meditazione mistica convive con le 11 università che a Seul sfornano ingegneri, tecnici e quadri per una delle industrie più aggressive del globo. 

   Per scoprire i luoghi della tradizione bisogna però lasciare Seul - una immensa megalopoli ipertecnologica che, insieme con l’adiacente Incheon, somma 27 milioni di abitanti - e viaggiare tra montagne e città storiche dell’Est e del Sud della penisola. Il Gangwon-do, la regione a Est di Seul, offre i più spettacolari foliage e l’occasione di fare trekking tra i boschi. Ma è soprattutto la culla del taekwondo, l’arte marziale coreana, una tecnica di autodifesa che impiega i piedi come le mani, una disciplina con risvolti fisici, mentali e spirituali: ha l’obiettivo di sviluppare carattere e personalità

   L’esperienza più profonda è il soggiorno in uno dei 20 monasteri buddhisti aperti al turismo. Sono in buona parte situati sulle creste di montagne foderate di aceri. Offrono una full immersion culturale al prezzo di alcune rinunce: è vietato bere alcolici e fumare, si lasciano i propri abiti per una tunica arancione, la dieta è vegetariana e il ritmo quotidiano è monacale. Si alloggia in dormitori, separati per uomini e donne, si riposa su materassi appoggiati a pavimenti riscaldati di legno. La sveglia è tra le 3.30 e le 4.30, a seconda del monastero, per le preghiere del mattino nel tempio, spesso accompagnate dal suono dei tamburi. Segue una prima meditazione Seon da seduti o camminando. Alle 6 si va al refettorio per la prima colazione: riso, verdure e brodi vegetali. Poi un’ora di lavoro comunitario. La visita agli eremi. Nuove cerimonie religiose. E a mezzogiorno il pranzo a base di riso e verdure. Per gli ospiti (non per i monaci) è prevista una cena alle 18. Alle 20.30 ci si ritira in camera e dopo un’ora si spengono le luci. 

   Nel Sud-Est la città di Andong, rivoluzionata nel 1976 dalla costruzione dell’omonima diga, è diventata per reazione una culla della tradizione coreana. Le antiche case che sarebbero state sommerse dall’impianto idrico sono state dislocate nel Folk Village, trasformato in un museo dell’architettura e della cultura contadina. Un’operazione analoga è stata fatta nel vicino centro di Hahoe, dove si trova il Museo delle maschere coreane. Andong, sede di molte manifestazioni gastronomiche e culturali, dal 30 settembre al 9 ottobre ospita il Maskdance Festival, evento per lo più femminile che abbina la danza all’arte del travestimento. Il Festival del Gingseng ha invece luogo quest’anno (fino al 3 ottobre) nella più occidentale provincia di Geumsan. La radice, tra i simboli dell’identità coreana, è una panacea esportata in tutto il mondo: le vengono riconosciute proprietà toniche, digestive, purificatrici e preventive dei radicali liberi

   Si arriva quindi tra santuari e monumenti nell’ex capitale Gyeongju: la Firenze coreana con antichi templi buddhisti in città e nella regione di Gyeongsabgbuk-do. Il Bulguska costruito nel 535 dopo Cristo. E il Buseoksa Josadang, tra i più famosi, fondato nel 676 e ricostruito nel 1377. Capitale della dinastia Silla (57 a.C. - 935 d.C.), Gyeongju ospita le tombe dei re nel Parco dei Tumuli, una distesa di erbose colline funerarie. Ai Silla si deve l’osservatorio Cheomseonsdae, il più antico dell’Asia (VII secolo), di cui resta una monumentale torre. Più a Ovest, tra i monti Gaya, si trova il monastero di Haeinsa, considerato uno dei tre gioielli buddhisti della Corea: costruito nel 802 d.C. , fu rinnovato l’ultima volta nel 1644; custodisce la maggiore collezione asiatica di sutra (80 mila) incisi nel legno. 

   E, prima di lasciare Seul, nella metropoli si hanno tre occasioni per scoprire le tradizioni coreane. La prima, legata al potere, è il cambio della guardia tra antiche scenografie e costumi al Gyeong Bok Gung, l’antica reggia: tre volte al giorno, oltre cento comparse in abiti medievali, con cappelli a falde larghe e lunghe barbe che impugnano alabarde e stendardi e avanzano con passo marziale, tra sventolii, rullio dei tamburi e presentazione delle armi. 

   La seconda commerciale: sotto il Millenium Building, il più futuribile grattacielo, fatto costruire dalla Samsung secondo le regole del feng-shui (la disciplina che regola gli spazi per indirizzare la sorte), c’è il quartiere di Insadong con antiche case da tè, guesthouse dove si dorme su pavimenti riscaldati, il teatro di danza tradizionale, il Korean Temple Cooking Sanchon (vegetariano), e negozi che vendono tè, ceramiche, pennelli per l’arte calligrafica, acquerelli, ventagli, tessuti e costumi tipici. E la terza curativa: il Kylingt Herbal Market (dal 1393), il maggiore bazar di erbe mediche al mondo. Tra effluvi di decotti di foglie, radici e funghi, l’intero quartiere è votato all’antica medicina cinese con 1044 tra negozi e laboratori, 185 cliniche che praticano anche l’agopuntura e 207 farmacie. Qui la Corea smette i panni avveniristici per tornare all’antico sciamanesimo.


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