mercoledì 29 novembre 2017

Trascorrere un quarto d'ora da soli ogni giorno migliora l'umore e allevia lo stress


Di Francesca Biagioli per Greenme.it 

Spesso consideriamo la solitudine come qualcosa di negativo. In realtà questa condizione, ovviamente se scelta e goduta e non subita, ha anche molti risvolti positivi. Una nuova ricerca svela, ad esempio, i vantaggi di passare ogni giorno un quarto d’ora da soli dedicandosi ad attività come lettura, meditazione o semplicemente pensando.
Un team di ricerca americano, che ha visto pubblicati i risultati del suo studio sulla rivista Personality and Social Psychology Bulletin, sostiene che bastano 15 minuti al giorno in solitudine per riscontrare notevoli vantaggi sull’umore e sulla gestione delle emozioni negative.
Non si deve però stare soli a rimuginare ma compiere attività positive come ad esempio leggere un bel libro, praticare meditazione e yoga ma anche semplicemente pensare. Questo tempo completamente dedicato a se stessi e al proprio benessere avrebbe ripercussioni positive sul nervosismo e sullo stress alleviando le tensioni. Sembrerebbe dunque un mezzo semplice che tutti abbiamo a disposizione per ricaricarci un po’ dalle fatiche della giornata.
Gli studiosi dell'Università di Rochester (New York) per arrivare ad affermare questo hanno preso a campione 114 adulti che sono stati fatti stare soli per 15 minuti dopo aver intrattenuto una conversazione nei 15 minuti precedenti. Trascorso il tempo gli è stato chiesto di compilare dei questionari. Si è visto così che i partecipanti avevano provato meno agitazione, nervosismo, sofferenza e in generale le emozioni negative erano minoritarie rispetto a quelle di benessere.
In un secondo esperimento i ricercatori hanno esaminato le reazioni di 108 partecipanti che avevano trascorso un quarto d’ora in solitudine a pensare o a leggere. Si è visto così che in entrambi i casi le persone ne avevano guadagnato in relax. 
La controprova è avvenuta con un terzo esperimento condotto su 173 persone che hanno trascorso un quarto d’ora da sole ogni giorno per una settimana non facendolo poi nella settimana successiva. Anche in questo caso si è visto che trascorrere del tempo da soli è in grado di regalare un maggior relax e sensazioni positive.
Si è stabilito in 15 minuti quanto necessario a godere dei benefici della solitudine, andare oltre quel tempo, infatti, in alcuni casi faceva subentrare una sensazione di malinconia e malessere.
Naturalmente quando si parla di vantaggi della solitudine si fa riferimento alla solitudine attiva, ovvero quella voluta dalla persona stessa e non all'isolamento sociale, condizione che spesso vivono gli anziani e che è tutt’altro che positiva per la salute.
Se da una parte, dunque, la solitudine mette a rischio la socialità dall’altra offre dei vantaggi. Anche in questo caso è importante raggiungere il giusto mezzo tra lo stare da soli e la vita in comunità. 

giovedì 16 novembre 2017

Ascetismo zen, giovani giapponesi in fuga dal caos quotidiano



Grande partecipazione a programmi di meditazione, digiuni e ritiri in montagna. Per i monaci, è il segno delle complessità della società moderna. 

Tokyo (AsiaNews/Agenzie) – Una vita senza computer e cellulari, con restrizioni a mangiare e a lavarsi, a volte anche trovandosi appesi a un precipizio a testa in giù. Sono pratiche di vita ascetica a cui prendono parte sempre più giovani giapponesi per fuggire dal caos cittadino, in cerca di se stessi e della pace mentale. 

L’offerta di programmi di ascetismo non è una novità per i templi buddisti, ma sono i tempi ad essere cambiati. Secondo diversi monaci è proprio la complessità della società moderna a motivare il crescente numero di aderenti alle iniziative di vita ascetica. Alcuni partecipano per superare le difficoltà fisiche e psicologiche di tutti i giorni; altri perché stufi dei rapporti umani. 

Un esempio è un programma che si è tenuto verso la fine di settembre, quando 30 persone, per lo più giovani, hanno praticato il buddismo zen al tempio Hosenji di Kameoka, nella prefettura di Kyoto. Durante il ritiro, i partecipanti si svegliavano alle 5.20 del mattino. La giornata procedeva con attività di meditazione, preghiera e lavoro manuale all’aperto fino alle 10 di sera, ora di andare a letto. I responsabili del tempio sostengono che il numero dei giovani che aderiscono è cresciuto negli ultimi anni, in particolare fra le persone sui 20 anni. 

A Narita (prefettura di Chiba), il tempio Naritasan Shinshoji organizza sessioni di digiuno che durano fra i tre e sette giorni. Il numero degli iscritti è più che raddoppiato nel corso degli ultimi dieci anni: da 200 a 460 all’anno. Dopo una settimana di preparazione e un controllo all’ospedale, coloro che si sottopongono al digiuno si ritirano in un seminario di “confinamento”: non possono lasciare il tempio, sono obbligati a due cerimonie nella giornata, ma possono spendere il resto del tempo come preferiscono, fra lettura e meditazione zen. Fare il bagno è proibito in quanto debilita il fisico. 
Un ultimo esempio è il monte Ominesan a Tenkawa, nella prefettura di Nara. Esso è un luogo sacro per l’ascetismo di montagna “Shugendo” – una scuola religiosa del folklore giapponese che unisce elementi di adorazione della montagna, buddismo esoterico e altre correnti di pensiero. In estate, sul monte Ominesan si tengono numerosi programmi ascetici. Il rigoroso “Nishi-no-Nozoki” (introspezione dall’occidente) include l’essere appesi per i piedi da un precipizio, e a parteciparvi non sono solo i giapponesi, ma anche occidentali. 

venerdì 10 novembre 2017

Mindfulness e sport: lasciar andare e…vincere!




Attraverso l'utilizzo della mindfulness nello sport, l'atleta troverebbe un modo per affrontare gli ostacoli interiori al raggiungimento del risultato. La mindfulness sta diventando una pratica sempre più diffusa in ogni ambito, da quello clinico a quello aziendale passando anche per la psicologia dello sport. 

di Patrizia Vaccaro per State Of Mind 

Gli atleti nell’affrontare una gara mettono in atto una serie di strategie psicologiche per gestire lo stress determinato dalla competizione (emozioni negative, paura di sbagliare/perdere, pensieri disfunzionali che possono influenzare negativamente la loro performance). In aggiunta ci possono essere alcune caratteristiche di personalità o l’adozione di stili di coping evitanti o, ancora, elementi psicopatologici, che possono peggiorare ulteriormente la prestazione (Birrer, 2012). 

Fino a qualche anno fa all’interno della psicologia dello sport veniva utilizzato un programma di terapia cognitivo-comportamentale (CBT) per potenziare l’autocontrollo rispetto a pensieri ed emozioni che avrebbero potuto inibire la performance (Moore, 2009) 

Gli studi più recenti invece hanno cercato di introdurre un programma basato sulla mindfulness e sull’accettazione. 

Nel 2012 Birrer e i suoi collaboratori, hanno cercato di elaborare un modello che spiegasse la maggiore efficacia della Mindfulness rispetto al programma tradizionale, sulla base della letteratura sulla Mindfulness e gli studi sulla psicologia dello sport. 

La pratica mindfulness 

Ma innanzitutto, cos’è la mindfulness? La parola mindfulness, in italiano consapevolezza, traduce il termine Vipassana, il nome in lingua pali di un’antica tecnica di meditazione buddista. E’ stato John Kabat Zinn, un biologo molecolare statunitense a ideare nel 1979 un protocollo scientifico (Mindfulness based-stress reduction) a partire dalle antiche tecniche della presenza mentale, protocollo la cui efficacia è stata confermata in termini sperimentali e ampliata in diversi ambiti. 

La pratica mindfulness va distinta da quella che è stata definita come dispositional Mindfulness (DM) perché la prima indica un metodo che va coltivato, mentre la seconda indica la tendenza a “Essere mindfulness” una propensione innata alla consapevolezza intenzionale, ovvero l’essere consapevoli dei propri pensieri e sentimenti nel momento presente. 

Gli atleti con maggior pratica Mindfulness ed elevata dispositional Mindfulness migliorano il livello di strumenti psicologici richiesti attraverso diversi meccanismi che agirebbero come mediatori tra la mindfulness e la performance finale. In particolare si tratta di: 

Attenzione “nuda”: la Mindfulness migliora l’attenzione e le abilità percettive e cognitive. Gli atleti si distraggono di meno, sono più capaci di controllare la loro attenzione, di concentrarsi e di direzionare l’azione sull’obiettivo. Se l’attenzione non si disperde su contenuti irrilevanti, c’è una maggior lucidità e quindi efficacia nell’ottenere il risultato migliore. 

Attitudine: atteggiamento della pratica di consapevolezza (accettazione, non giudicante, apertura, rispetto di sé e non reattività). La pratica della consapevolezza aumenta l’accettazione esperienziale (Hayes et al., 1999). Gli atleti accettano una discrepanza di prestazioni (prestazioni inaspettate e prestazioni inattese) non mettendo in atto delle risposte reattive che incidano sulle loro abilità motorie. 
Chiarimenti dei valori: la pratica di consapevolezza porta a una chiarificazione dei valori personali (Shapiro et al., 2006). Gli atleti potrebbero identificare i conflitti tra i loro valori personali e il loro comportamento nel raggiungimento di un risultato o nella soddisfazione di un bisogno. 

Autoregolazione e regolazione delle emozioni negative. Gli atleti possono diventare più capaci a gestire la rabbia, la paura e altre emozioni negative. La regolazione dell’arousal, le capacità di coping, la comunicazione e la capacità di leadership migliorerebbero con la Mindfulness. 

Chiarezza circa la propria vita interiore: la Mindfulness insegna a vedere con chiarezza i nostri movimenti interiori e a essere meno reattivi in presenza di emozioni negative. Una migliore consapevolezza ha un effetto positivo sullo sviluppo personale e sulla vita, sul sé così come sulla capacità di comunicazione, di coping e di leadership. 

Esposizione: la pratica incide sull’esposizione in particolare permette di rimanere in contatto con le esperienze spiacevoli senza evitarle. In termini sportivi, significa che gli atleti possono essere maggiormente in grado di gestire un momento stressante o spiacevole durante una gara o durante l’allenamento. 

Flessibilità cognitiva, emotiva e comportamentale:l’adattamento e flessibilità nel rispondere all’ambiente come risultato della MD permette il consolidamento dello sviluppo personale e degli strumenti di comunicazione e leadership. 

Non-attaccamento: ovvero la credenza che ciascuno di noi possa essere felice è indipendente dall’ottenere risultati positivi, questo è il risultato della pratica Mindfulness. 

Minore rimuginio: la Mindfulness riduce il rimuginio o la sensazione di incontrollabilità del rimuginio

Questi meccanismi vanno quindi a influenzare una serie di abilità utilizzate dagli atleti tra cui le abilità di coping, motivazionali, gestione del dolore, abilità attentive, legate all’arousal, percettive, cognitive, motorie e comunicative. La riduzione del rimuginio sembra essere quello che produce effetti su una quantità maggiore di abilità. 

La performance ad alti livelli 

Per dimostrare l’efficacia degli interventi di Mindfulness sugli atleti bisogna però comprendere meglio cosa sia la performance ad alti livelli per la psicologia dello sport. 

Essa può essere compromessa da alcuni fattori psicologici (non necessariamente patologici). Tra gli altri, gli inibitori della performance includono anche le aspettative irrealistiche spesso determinate da una personalità perfezionistica o problematica, ansia da competizione, timore di sbagliare, tensione percepita, comportamenti evitanti, problemi relazionali, difficoltà di vita….tutti questi elementi abbassano la performance. 

Al contrario uno stato psicofisico caratterizzato da processi orientati all’obiettivo permettono una performance eccellente. Durante la gara gli atleti adottano una serie di comportamenti automatici in risposta a specifiche situazioni. Questo processo è chiamato adattamento alla discrepanza e consiste nell’automonitoraggio, nell’autovalutazone e nella scelta del comportamento migliore (più adattivo). 

Uno degli effetti della mindfulness è proprio quello di modificare il modo con cui le persone si relazionano ai propri stati interni intesi come pensieri ed emozioni. Secondo la psicologia buddista, diminuisce la proliferazione mentale, cioè l’abituale reazione di attaccamento o avversione a quegli stati che possono essere giudicati come piacevoli, spiacevoli o neutrali (Grabovac, 2011). 

Mindfulness e sport: come è possibile il connubio tra meditazione e prestazione sportiva? 

Ma come si può mettere insieme la Mindfulness che si fonda sull’accettazione del qui e ora con la prestazione sportiva? 

Se attraverso la Mindfulness si cerca di liberarsi dal desiderio osservando gli attaccamenti, ciò può sembrare in contraddizione con l’atleta che vuole vincere la gara. È un paradosso che forse può essere spiegato dalle parole di un famoso tennista che perse in modo del tutto inaspettato, visto il vantaggio nell’ultimo set, durante una semifinale degli US Open. Il suo commento è stato: “ho pensato, è fatta. Prima di giocare l’ultimo match ball ero molto eccitato all’idea che le cose andassero così bene. 15’ dopo ho perso la partita. Perdere così è veramente deludente, anche perché avevo capito che il mio avversario aveva già rinunciato alla vittoria nella sua testa“. Un altro nuotatore, dopo aver conseguito l’ennesimo record mondiale, ha affermato: “chi pensa di vincere ha già perso“. 

In queste affermazioni c’è il punto di incontro tra lo sport e la Mindfulness: focalizzare l’attenzione sul momento presente accettando ciò che arriva in quel momento, senza fare previsioni su quello che accadrà. Stare lì con un’esperienza spiacevole o con un dolore fisico o con un pensiero che arriva o con l’eccitazione che travolge. 

Stare lì. Accettare e lasciare andare senza aspettarsi nulla sul dopo. 

A partire da questo modello, in una ricerca svedese del 2107 si cerca di fare un passo in più. In particolare si fa riferimento a due studi che indagano il rimuginio e la capacità di regolazione emotiva come mediatori tra la consapevolezza e l’uso di strategie di coping adeguate nello sport. 

Si ipotizza che in un contesto sportivo la mindfulness non agisca direttamente sulla prestazione, ma attraverso altre variabili. In particolare la tesi di fondo è che l’ansia da competizione medi tra la naturale predisposizione alla mindfulness e la performance sportiva. Dunque, il risultato finale sembra essere influenzato indirettamente attraverso una riduzione del rimuginio, ovvero un pensiero negativo incontrollabile, ripetitivo e autocentrato, e un miglioramento della regolazione emotiva. 

Quest’ultima non si riferisce tanto al controllo emotivo, quanto alla capacità di gestire, adattarsi e rispondere alle emozioni. Perché ciò avvenga occorre essere consapevoli, riconoscere e accettare le proprie emozioni. In secondo luogo occorre mettere in atto comportamenti finalizzati al risultato e inibire comportamenti impulsivi come risposta reattiva alle emozioni negative. Ciò comporta una certa flessibilità o uso di strategie appropriate per modulare l’intensità delle risposte emotive. Infine, occorre lavorare sull’accettazione degli stati negativi come facenti parte della vita. 

Come si legano allora rimuginio, regolazione emotiva e mindfulness nello sport? In questi studi vengono esaminati 244 giovani atleti in uno studio trasversale e 65 nello studio longitudinale. Tutti vengono sottoposti a questionari sulla regolazione emotiva, rimuginio e sull’essere consapevoli. In entrambe le ricerche risulta che gli atleti con una predisposizone innata alla mindfulness avevano una maggiore capacità di comprendere i propri stati interni, una minore reattività, una maggiore capacità di autoregolazione in situazioni di stress e quindi una migliore performance. 

D’altra parte negli anni 70 Gallwey aveva già introdotto l’utilità della meditazione o meglio della consapevolezza, nel miglioramento della gestione dello stress nello sport ispirandosi alla filosofia zen e alla psicologia umanistica. Gallwey nel “Il gioco interiore del tennis” parlava di due sfide: la partita con l’avversario e quella interiore con i propri stati, ovvero il dubbio su se stessi, l’insicurezza, l’ansia e il conseguente calo di concentrazione. 

Già allora dunque il punto di partenza era proprio un miglioramento della consapevolezza con l’obiettivo di trovare il modo migliore per affrontare gli ostacoli interiori al raggiungimento del risultato. 

Lo stesso Kabat Zinn nel 1985 aveva messo a punto un training di Mindfulness per gli atleti di canottaggio futuri olimpionici. I ricercatori hanno riferito che gli atleti avevano superato le aspettative dell’allenatore in riferimento sia all’esperienza che avevano sia per le abilità fisiche. Gli stessi atleti hanno affermato che la Mindfulness li aveva aiutati a svolgere al loro pieno potenziale. Tuttavia, nonostante i buoni risultati questo programma era stato accantonato nella psicologia dello sport per i due decenni successivi. 

Negli ultimi dieci anni sono stati sviluppati dei programmi di training basati sulla Mindfulness e sono stati compiute una serie di ricerche sugli atleti per testarne l’efficacia in modo più rigoroso. 

Insomma anche in questo ambito, imparare a stare fermi nella tempesta, qualunque forma essa prenda, ancorati al corpo e al respiro, sembra essere la direzione per poter affrontare le sfide che arrivano. 

Bibliografia

Birrer D, Röthlin P, Morgan G., (2012), Mindfulness to Enhance Athletic Performance: Theoretical Considerations and Possible Impact Mechanisms, Mindfulness, 3; 325-346.
Gallwey, W. Timothy (1974). The Inner Game of Tennis (1st ed.). New York: Random House.
Gardner, F. L., & Moore, Z. E. (2007). The psychology of enhancing human performance. The mindfulness–acceptance–commitment approach (MAC). New York, NY: Springer.
Garbovac A., Lau M, Willem B., (2012), Mechanisms of Mindfulness: A Buddhist Psychological Model, Mindfulness, 2, 154-166. DOWNLOAD
Hayes, S. C., Strosahl, K., & Wilson, K. G. (1999). Acceptance and commitment therapy: an experiential approach to behavior change. New York: Guilford.
Moore, Z. E. (2009). Theoretical and empirical developments of the Mindfulness–Acceptance–Commitment (MAC) approach to per- formance enhancement. Journal of Clinical Sport Psychology, 4, 291–302.
Kabat-Zinn, J. (1982). An outpatient program in behavioural medicine for chronic pain patients based on the practice of mindfuness meditation: theoretical considerations and preliminary results. General Hospital Psychiatry, 4, 33–42.
Kabat-Zinn, J. (1990). Full catastrophe living. Using the wisdom of your body and mind to face stress, pain and illness. New York: Dell.
Kabat-Zinn, J., Beall, B., & Rippe, J. (1985). A systematic mental training program based on mindfulness meditation to optimize performance in collegiate and Olympic rowers. Paper presented at the World Congress in Sport Psychology, Copenhagen, Denmark, June
Shapiro, S. L., Carlson, L. E., Astin, J. A., & Freedman, B. (2006). Mechanisms of mindfulness. Journal of Clinical Psychology, 62, 373–386.
Josefsson T., Ivarsson A.,l Falkevik,(2017), Mindfulness Mechanisms in Sports: Mediating Effects of Rumination and Emotion Regulation on Sport-Specific Coping, Mindfulness, 8, 1354-1363. 

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