martedì 31 ottobre 2017

5 utili suggerimenti zen per avere successo sul lavoro



di PAOLO ARMELLI per CENTODIECI 
il Magazine di Mediolanum Corporate University 

“I leader delle future generazioni devono assolutamente studiare lo zen”: di questo è convinto Steve Chang, CEO del colosso mondiale della sicurezza online Trend Micro. Ma anche Steve Jobs aveva infuso i principi dello zen in Apple, a partire dal design minimale dei prodotti; o ancora Google raccomanda ai propri dipendenti di prendersi delle pause dal lavoro frenetico, magari bevendo una tazza di tè, rituale di meditazione (kissako) diffuso nella filosofia orientale. Da questi e altri esempi prende il via Manuale di un monaco buddhista per avere successo sul lavoro di Kiyohiko Shimazu, appena pubblicato da Vallardi: secondo l’autore, manager giapponese divenuto monaco buddhista dopo il terremoto del 2011, conoscere il linguaggio zen aiuta a ritrovare il ritmo giusto, stimolare la creatività, ma soprattutto conoscere sé stessi e relazionarsi meglio con gli altri.

Lo zen affonda le sue radici nel buddhismo storico nato nel V secolo in India ma, passando per la Cina, attecchisce in Giappone attorno al XII secolo. Fu solo però nel Novecento che questa filosofia uscì dai confini nazionali per diffondersi in tutto il mondo, e ora torna in terra nipponica dove sta vivendo una seconda giovinezza, in quella che Kiyohiko chiama“l’epoca del cuore e della mente”. In un periodo difficile dal punto di vista economico e finanziario, e in un Paese come il Giappone in cui le gerarchie e i valori legati al lavoro sono esasperati all’inverosimile, gli uomini d’affari si rivolgono allo zen come soluzione alla ricerca dell’essenza autentica. 

Per l’autore di questo Manuale, “il fondamento dello zen sta in una comunicazione in grado di creare un legame fra le persone”, anche perché “quando riusciamo a trovare il nostro equilibrio interiore siamo in grado di cambiare sia il presente che il futuro”. Dette così sembrano concezioni estremamente astratte, invece questo libro aiuta a percorrere la via dello zen attraverso momenti concreti, pratiche che ognuno di noi può applicare quotidianamente per rendere più equilibrato il luogo di lavoro. Vediamone alcune. 

Il saluto (Aisatsu)
Nella pratica zen si incoraggia in modo deciso il confronto, anche serrato ma sempre costruttivo, fra maestro e discepolo. Ribaltare la concezione gerarchica per cui siano sempre i sottoposti a dover salutare per primi i superiori (regola ferrea in Giappone) significa creare un luogo di lavoro più inclusivo e personale più motivato. Anche il banale gesto di salutare con cortesia e attenzione chiunque ci capiti davanti diventa un mezzo per instaurare un rapporto che possa essere sempre proficuo, di valutazione continua dei progressi e di riconoscimento dei risultati. 

Il rimprovero (Katsu) 
In un’epoca di suscettibilità sempre più accentuata, rimproverare sul luogo di lavoro sembra divenuto un tema tabù, da una parte per l’ipersensibilità di certi individui dall’altra a causa di abusi di questa stessa pratica. Eppure, rifacendosi sempre al rapporto fra maestro e allievo zen, il rimprovero racchiude in sé un sentimento di attenzione, affetto e uno stimolo per far crescere l’interlocutore. Per questo il manager illuminato deve utilizzare questo strumento con parsimonia e al momento adeguato, e compensarlo con Aigo, le parole d’affetto e motivazione. 

Il saper gettare via (Hōgejyaku) 
Sicuramente anche Marie Kondo, l’autrice del bestseller internazionale Il magico potere del riordino, si è ispirata a questo principio. Si riesce a lavorare meglio se si crea ordine attorno a sé, liberandosi di documenti accumulati, oggetti superflui, orpelli inutili. Questo vale sia in senso fisico (organizzare lo spazio equivale a organizzare la mente) ma anche a livello psicologico: liberarsi da ciò che ci frena è positivo per procedere più spediti. Ciò significa anche che non bisogna aver paura, quando davvero è arrivato il momento, di lasciare un lavoro o vendere un’attività. Liberarsi dalle cose significa essere più liberi di muoversi. 

Sedersi in modo corretto (Shikantaza) 
Sembra più un consiglio posturale, invece anche questa pratica nasconde risvolti sia pratici che mentali. Ovviamente assumere una posizione corretta quando ci si siede si connette alla meditazione, parte fondamentale della filosofia zen. Ma sta anche a significare che bisogno assumere la corretta posizione (o atteggiamento) nei confronti del lavoro: concentrarsi sugli obiettivi, dunque, senza aver paura delle complicazioni o del risultato, per migliorare così le prestazioni. Il compito dei buoni leader è quello di creare un ambiente in cui tutti riescano a star “seduti” correttamente. 

Il beneficio altrui (Riyaku) 
Dare priorità alla crescita altrui è uno dei fondamenti dell’approccio zen alla vita e al lavoro. Perché dare benefici agli altri è il primo passo per ottenerne noi stessi. Questo significa valorizzare sempre colleghi e dipendenti, perché il loro progresso equivale a quello dell’azienda tutta, ma anche al cliente: il prezzo di un prodotto, ad esempio, deve sempre essere superato dal suo valore. Questo spinge ognuno a impegnarsi al massimo verso l’utilità degli altri, e quindi verso la propria crescita personale e lavorativa. 

19 OTTOBRE 2017 

domenica 29 ottobre 2017

La pietra e il potere del suono - ARCHEOACUSTICA



Preistoria oggi di Giorgio Giordano per il SECOLO XIX

Archeoacustica

Tra pietra e suono esiste un rapporto misterioso che da sempre incuriosisce l’uomo. Da qualche tempo le strutture monumentali del passato vengono studiate dal punto di vista delle proprietà acustiche. Già nel Paleolitico superiore l’uomo “giocava” con le risonanze delle caverne: uno studio sull’arte rupestre europea, dai Pirenei francesi sino agli Urali, ha stabilito che la posizione dei dipinti all’interno delle grotte corrisponde ai punti di maggiore risonanza e dove non c’era abbastanza spazio per una figura completa sono stati disegnati dei puntini per marcare l’area. I test hanno dimostrato che la massima risonanza viene attivata dalla gamma della voce umana, più che da strumenti come flauti, fischietti o tamburi. In alcune grotte la densità dell’immagine è proporzionale alla qualità acustica, misurata in durata della risonanza o numero di echi. Le peculiarità sonore delle pietre sono state di evidente interesse anche durante le fasi successive della preistoria.
 
Il fenomeno megalitico ne rappresenta la massima celebrazione. Molte delle strutture monumentali preistoriche potrebbero essere state progettate per condurre le frequenze sonore e manipolare la mente umana, inducendo stati di percezione alterata, funzionali alle celebrazioni sacre e ai riti sciamanici. Se le risonanze nelle camere di pietra favoriscono la trance mistica, non stupisce che nel Medioevo i monaci eremiti abbiano rioccupato molte caverne e stanze ipogee preistoriche per ritirarsi in preghiera. 
 
Frequenze
 
A Gobekli Tepe, in Turchia, i pilastri umanoidi a forma di T, realizzati in calcare 11.500 anni fa, “cantano” se colpiti con il palmo della mano. Anche Stonehenge presenta interessanti proprietà: i megaliti sono stati disposti in modo che le onde sonore si rifrangano secondo uno schema, creando particolari fenomeni di propagazione acustica. La grande rivelazione sulle conoscenze degli antichi in questo campo è arrivata prendendo in esame l’ipogeo di Hal Saflieni a Malta, scavato tra il 3600 e il 2500 a.C. Si è capito che l’intenzione dei costruttori era edificare un ambiente in grado di indurre uno stato di trance attraverso la modulazione del canto. Nella cosiddetta Camera dell’Oracolo c’è una nicchia che consente di diffondere la propria voce in tutto l’ipogeo, semplicemente parlando nell’incavo con tono profondo.
 
Emettendo una modulazione di suono a 110 Hz, le attività cerebrali si spostano dall’emisfero sinistro a quello destro e si disattiva il centro del linguaggio, favorendo la meditazione. Più in generale, è stato riscontrato che le camere di pietra nei templi di Malta e Gozo presentano questo modello di risonanza, con una frequenza di 110 o 111 Hz. Pure i costruttori dell’ipogeo di Cividale del Friuli hanno voluto produrre questo tipo di effetto. Sono state effettuate misurazioni anche a Wayland’s Smithy, Chun Quoit e Cairn Euny nel Regno Unito, poi a Newgrange, Cairns e Carbane West in Irlanda. Nonostante la differenza di forme e dimensioni, le stanze all’interno di questi siti, risalenti a un periodo intorno al 3500 a.C., presentano modelli di risonanza simili, le concentrazioni avvengono nei medesimi punti, tutti gli ambienti rispondono a una frequenza tra 95 e 120 Hz.
 
In alcuni casi sono state posizionate pietre verticali per migliorare le proprietà acustiche delle camere e talvolta i disegni realizzati sulle rocce assomigliano a quelli delineati dai modelli di risonanza. Analoghe considerazioni sono state proposte a riguardo dei nuraghi e di altre stanze di pietra, di fogge diverse ed epoche anche lontane, diffuse in tutto il mondo. Un significativo fenomeno di risonanza, con una risposta a frequenze basse che perdura fino a 20 secondi dopo la fine di un canto armonico, è stato anche registrato nei tunnel di Ravne in Bosnia. In Africa, a Grande Zimbabwe, sotto le mura dell’Acropoli, è stato realizzato un passaggio in grado di condurre la voce umana sino al tempio, situato a 400 metri di distanza. 
 
Dall’altra parte dell’Atlantico
 
Analoghe conoscenze si evidenziano anche nell’America precolombiana. Il sito maya di Chichen Itza, nella penisola messicana dello Yucatan, presenta numerose particolarità acustiche: le parole sussurrate a un’estremità del Cortile della palla (161 metri di lunghezza e 66 di larghezza) sono chiaramente udibili dall’altra parte e un battito di mani può produrre nove distinti echi. La piramide di Kukulkan, nota come El Castillo, risponde alle onde sonore di un applauso rimbalzando indietro un’eco che ricorda il cinguettio dell’uccello sacro Quetzal, associato al dio Kukulkan/Quetzalcoatl. Non solo, le frequenze sonore che si producono salendo i gradini della piramide assomigliano al rumore della pioggia e questa stessa caratteristica è stata notata studiando la piramide della Luna a Teotihuacan, nel Messico centrale. Anche il complesso settentrionale di Palenque è particolarmente adatto a diffondere la voce umana e i suoni prodotti dagli strumenti musicali rinvenuti in loco. Nel sito andino di Chavin de Huantar, in Perù, esiste un collegamento acustico tra la piazza circolare del centro cerimoniale e uno degli ambienti sotterranei del cosiddetto Tempio antico, dove sorge il Lazon, una stele monolitica che raffigura la divinità principale del luogo: è stato costruito un condotto che amplifica una determinata gamma di suono, in particolare le frequenze della voce umana e quelle della caratteristica trombetta a forma di conchiglia marina in uso all’epoca.
 

venerdì 27 ottobre 2017

Meditare fa bene, è scientifico


 
Dopo tanto scetticismo la ricerca scientifica conferma: l’uso delle tecniche orientali di meditazione può prevenire e curare molte malattie.
 
di Amelia Beltramini per FOCUS

Fino agli Anni ’50 la meditazione è stata prerogativa dei monaci. Poi con i Beatles diventò pratica dei figli dei fiori, seguiti negli anni successivi da calciatori e attori: meditano Roberto Baggio e Richard Gere. In tempi più recenti è stata la volta degli amministratori delegati delle grandi multinazionali: Rao Dalio (Bridgewater associates) e Marc Benioff (Oracle e Salesforce.com). E oggi si è dato alla meditazione persino Dmitry A. Medvedev, primo ministro della Federazione Russa.
 
Da qualche anno però la meditazione non si occupa più solo di “benessere psicologico” ed è entrata negli ospedali con molte applicazioni: dal controllo del dolore all’immunologia, dalla cura dell’ipertensione al rallentamento del declino cerebrale. In che cosa consiste? Che risultati dà e con quali meccanismi agisce?
 
IN PRINCIPIO. Tutto è iniziato una trentina di anni fa quando Jon Kabat Zinn fondò il Center for Mindfulness all’University of Worcester (UK) e cominciò a usare la meditazione come strumento terapeutico. Strumento tutt’altro che facile da proporre: nella frenetica vita contemporanea la meditazione di tradizione orientale è pratica difficile. Ma i suoi vantaggi non sono più in discussione: migliora l’attenzione, le abilità cognitive e la memoria, riduce l’ansia e i sintomi depressivi. Non solo.

Alla Brown University di Providence (Usa), Catherine Kerr sfrutta la meditazione per il suo effetto analgesico: sostiene che funziona come una specie di manopola che regola la percezione delle sensazioni sgradevoli. Nel 2010, quando era al Mit di Harvard, ha dimostrato che, se si focalizza l’attenzione sulle sensazioni della mano sinistra, la “mappa” cerebrale corrispondente a quella mano registra una significativa caduta dell’ampiezza delle onde che filtrano le sensazioni lasciando passare solo quelle che superano una certa soglia.
Se invece l’attenzione si focalizza su un’altra parte del corpo, le onde tornano normali. L’anno successivo, usando la magneto-encefalografia, una tecnica di imaging cerebrale, ha dimostrato che i ritmi di queste onde nel cervello sono correlati con l’attenzione sensoriale e che l’abilità di regolare queste onde nella corteccia cerebrale è maggiore nei soggetti capaci di meditazione.
 
In altre parole, meditare consente un maggior controllo sul sistema sensoriale e permette di scegliere su cosa focalizzare l’attenzione. Risultato? La meditazione fa andare sullo sfondo quello che non si vuole sentire, per esempio – e non è poco – i dolori cronici. Fadel Zeidan, neurobiologo della Wake Forest Baptist University (Usa), ha persino quantificato l’effetto della meditazione rispetto al potere analgesico della morfina: «Potrebbe ridurre del 40% l’intensità del dolore e del 57% la sua spiacevolezza, contro una riduzione del solo 25% ottenuta con la morfina» sostiene Zeidan.
 
Un’arteria colpita da aterosclerosi. L’ipertensione è un problema di tubature: se il “tubo” è stretto la pressione sale, se si allarga la pressione scende: il rilassamento ottenuto con la meditazione fa dilatare i vasi sanguini e scendere la pressione
 
Ai due estremi di ogni cromosoma ci sono i telomeri, cappucci che a ogni divisione cellulare (e dunque con l’età) si accorciano. Uno studio su 60 anziani ha scoperto che l’enzima che blocca l’accorciamento aumenta in chi medita

ANTINFIAMMATORIO. Molte malattie cardiovascolari e neurodegenerative sono legate a uno stato di infiammazione di cui non si conosce esattamente né l’origine né la cura: se si riuscisse a ridurre lo stato infiammatorio forse le si potrebbe prevenire. È la strada percorsa quasi per caso da Steven Cole, dell’University of California Los Angeles (Ucla): voleva studiare se la meditazione fosse in grado di ridurre la sensazione di solitudine degli anziani, condizione che aumenta il rischio di malattie cardiache, Alzheimer, depressione e persino morte prematura. Così ha messo una quarantina di soggetti in meditazione mezz’ora al giorno per 8 settimane. Ma presto ha scoperto che questa “terapia” non si limitava a influire sul benessere psicologico: la meditazione riduceva anche l’attivazione dei geni correlati all’infiammazione e quindi riduceva l’infiammazione stessa.

Il passo è breve anche per valutare gli effetti sul sistema immunitario. La meditazione sembra essere efficace anche su un particolare tipo di globuli bianchi, i linfociti CD4 T. Sono considerati il cervello del sistema immunitario perché coordinano l’attività dell’esercito di difesa quando il corpo subisce un attacco infettivo. Ma sono anche le cellule che devasta il virus Hiv, responsabile dell’Aids, indebolendo la risposta immunitaria dei pazienti.
 
Nel 2008 David Creswell, del Counsins center for Psychoneuroimmunology della Ucla, ha messo in meditazione per 8 settimane un gruppo di 24 soggetti sieropositivi (cioè infetti, ma non malati di Aids), confrontandoli con un equivalente gruppo di controllo. Nei soggetti in meditazione la riduzione dei linfociti CD4 T era inferiore rispetto al gruppo di controllo: l’effetto era della stessa portata in tutti i 12 meditanti, sia quelli in terapia antiretrovirale, sia in quelli che non lo erano.
Recitare l’Ave Maria in latino, non solo sincronizza con Dio, ma, secondo la scienza, fa bene alla salute. La prescrizione è niente meno che in un articolo del British Medical Journal. I ricercatori di Pavia, Oxford e Firenze hanno studiato battito cardiaco, respirazione, irrorazione cerebrale, attivazione del sistema nervoso autonomo e hanno concluso che il rosario è una pratica di salute con risultati analoghi alla meditazione.

 La meditazione si rivela un toccasana in molti campi. Sembra essere efficace persino contro il raffreddore: Bruce Barrett, dell’University of Wisconsin (Usa), ha studiato la meditazione su 51 individui e ha calcolato che chi fa meditazione ha una riduzione del 40-50% delle giornate lavorative perse per infezioni respiratorie acute, influenza compresa, rispetto a chi non medita. La durata della malattia è minore e i sintomi sono più lievi.
 
CARATTERE. Che meditare possa placare gli animi più agitati sembra banale, ma si è accertato che gli effetti sono ben più rilevanti e profondi. Prendete quelle che per la psicosomatica sono personalità di tipo A: competitive in tutti gli aspetti della vita, tendono alla lotta, manifestano aggressività (anche se repressa), impazienza, insofferenza per i ritmi altrui.
 
La meditazione riduce l’attivazione dei geni responsabili dell’infiammazione alla base di malattie cardiovascolari, tumori e malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Di questa infiammazione ancora non si conoscono la causa e una specifica terapia. Di solito si tratta di individui di successo, ma con un rischio maggiore di patologie cardiovascolari. Circa 30 anni fa Herbert Benson, cardiologo del Massachusetts general hospital di Boston (Usa) e fondatore del Mind/Bondy Medical Institute, aveva cominciato a usare il rilassamento e la meditazione in questo tipo di pazienti.
 
Altri cardiologi come Randy Zusman, direttore del programma ipertensione del Massachusetts general hospital, non credevano affatto all’efficacia di questi metodi e continuavano a prescrivere farmaci anti-ipertensivi. Dal 2008, anche Zusman ha cambiato rotta e ora punta sulla meditazione e sul corretto stile di vita. L’ha convinto una sperimentazione su 60 pazienti ipertesi: in 40 la meditazione aveva ridotto l’ipertensione tanto da consentire un drastico calo dell’assunzione di farmaci. Zusman ha anche trovato una spiegazione biologica: «L’ipertensione è tutto un problema di tubature: se il calibro dei tubi è stretto la pressione sale, se il calibro si allarga la pressione scende: il rilassamento produce monossido di azoto che fa dilatare i vasi sanguigni e quindi fa scendere la pressione». Non è sempre facile far stare ferme e in silenzio personalità di tipo A per mezz’ora. Ma funziona.